Un articolo di Maurizio Molinari, pubblicato su La Stampa di oggi
Sull’attacco militare il Pentagono dice no
E uno studio rivela: in aumento le esportazioni Usa a Teheran
Washington risponde ai test missilistici di Teheran con il monito del Segretario di Stato Condoleezza Rice sulla «determinazione a proteggere i nostri alleati» ma il riferimento non è ad azioni militari perché nell’amministrazione Bush prevale al momento la posizione del capo Pentagono, Robert Gates, che è contrario.
Vince la linea Gates
Dietro l’opposizione di Gates c’è quanto ha scritto su «Atlantic» Robert Kaplan, esperto di questioni militari vicino alla Casa Bianca, spiegando come «dopo essere riuscito a stabilizzare l’Iraq» contro ogni pronostico il Segretario alla Difesa teme che una guerra con l’Iran possa «portare un diluvio di missili» su basi Usa e città irachene, rigettando il Paese nel caos. L’opinione di Gates pesa non solo perché il presidente Bush gli è grato per aver sanato gli errori ereditati da Donald Rumsfeld ma anche per un motivo pratico non indifferente: senza l’assenso del Pentagono gli aerei israeliani non possono colpire l’Iran in quanto per farlo dovrebbero attraversare i cieli del Medio Oriente minuziosamente controllati dai radar americani.
È una situazione simile a quella che si verificò nel 1991, quando durante la Guerra del Golfo il premier israeliano Shamir non fu in grado di ordinare all’aviazione di attaccare l’Iraq di Saddam – che aveva lanciato 49 missili contro lo Stato Ebraico – perché l’allora presidente George H. W. Bush si oppose a consegnare all’alleato i codici di volo che avrebbero consentito agli aerei di Gerusalemme di attraversare indenni la zona di operazioni. Il «no» di Gates è stato visto in diretta tv da milioni di americani quando, durante la conferenza stampa di mercoledì al Pentagono, ha liquidato con un monosillabo l’esplicita domanda sull’ipotesi di un blitz, americano o israeliano, contro gli impianti nucleari iraniani.«Lo scudo ci difenderà»
Quando la Rice, da Tbilisi, parla di «proteggere gli alleati» intende dunque dell’altro. Basta fare attenzione a quanto si sta discutendo a Washington per comprendere di cosa si tratta. Nei cinque mesi che le rimangono l’amministrazione Bush ha tre obiettivi. Primo: accelerare il più possibile la realizzazione dello scudo antimissile per neutralizzare la minaccia balistica iraniana nei confronti di una regione dove, Israele a parte, si trovano altri alleati strategici come Egitto, Arabia Saudita, Afghanistan, Iraq, India, Pakistan, Grecia, Giordania e Turchia. Secondo: indurire le sanzioni, d’accordo con i partner del G8, per fermare il programma nucleare colpendo l’Iran dove è più vulnerabile ovvero la necessità di importare oltre 44 milioni di litri di carburante raffinato al giorno per il proprio fabbisogno domestico. E’ infatti la mancanza di raffinerie il tallone d’Achille dell’Iran, come hanno dimostrato i disordini avvenuti la scorsa estate dopo il momentaneo razionamento della benzina. Il terzo obiettivo è quello di cui si parla meno: operazioni segrete per sabotare il regime dall’interno sul modello di quanto si faceva con l’Urss durante la Guerra Fredda.
Ma la strategia di ferreo isolamento del regime di Teheran nulla toglie al proliferare dei commerci bilaterali che a dispetto delle sanzioni, secondo uno studio dell’Ap, hanno consentito negli ultimi sette anni esportazioni Usa per 546 milioni di dollari, dalle sigarette fino ai fucili da guerra.