Un articolo dal Corriere della Sera del 14 giugno e le slides di un intervento di Fatih Birol, il capo economista dell’International Energy Agency, sulle sfide strategiche per il sistema energetico internazionale.
Non si cerca più petrolio Il mondo ha paura
di G. Radice
«Una situazione molto pericolosa», la definisce Fatih Birol. Quello che sospetta il capo economista della International Energy Agency (Iea), il più autorevole «osservatorio» mondiale in materia energetica, è che il pianeta resti presto a secco di petrolio. Per questo sta lavorando da mesi, alla guida di un team di 25 ricercatori, per mettere a punto la prima mappa completa del rischio. Stavolta non si tratta dell’ ipotesi (contestata da molti esperti) di un progressivo esaurimento delle riserve nel sottosuolo. Né sono in gioco le stime sull’ aumento dei consumi dovuti al boom di economie emergenti come Cina, India e Brasile. Tutt’ altro. I timori della Iea sono semmai legati all’ insufficienza dell’ offerta da qui a pochi anni, sia per effetto dell’ invecchiamento dei giacimenti attualmente in fase di sfruttamento, che si sta già traducendo in un evidente declino della produzione in Paesi come Russia e Messico, sia per l’ inadeguatezza degli investimenti da parte dei governi come delle grandi corporation multinazionali. E’ il rovesciamento di un paradigma che ha resistito fino ad oggi: quello secondo cui la crescita dell’ output sarà in grado di compensare l’ aumento del fabbisogno mondiale, che dagli attuali 87 milioni è destinato a salire a 115-120 milioni di barili di greggio al giorno entro il 2030. Ora l’ organizzazione con sede a Parigi prefigura invece che nei prossimi 20 anni non si riusciranno a estrarre più di 100 milioni di barili quotidiani. Peggio: già nel 2015 la capacità di produzione aggiuntiva rispetto a quella odierna, prevista in 25 milioni di barili al giorno, appare del tutto insufficiente a soddisfare un aumento della domanda stimato in 37,5 milioni di barili. Con la prospettiva di una drammatica ricaduta sui prezzi. Tanto che sembreranno un bel ricordo anche i 140 dollari per barile verso cui (in buona parte a causa del deprezzamento della valuta Usa) stanno viaggiando in questi giorni i futures petroliferi sul mercato americano. Ma, soprattutto, quello che si profila all’ orizzonte è lo scenario, devastante, di una recessione economica globale. La stessa Iea preferisce comunque andarci cauta. Mentre in questi giorni mezza Europa è attraversata dalle manifestazioni di camionisti e pescatori contro il caro-gasolio, gli uomini di Birol stanno faticosamente raccogliendo i dati per arrivare a un rapporto conclusivo, destinato a essere diffuso non prima di novembre, che rompe con la tradizione dell’ istituto.
Consistenza dei giacimenti e reticenze
In passato, infatti, Iea si è concentrata soprattutto sui consumi petroliferi mondiali e sulla consistenza delle riserve. Calcolare l’ effettiva dimensione dell’ offerta è tutt’ altra cosa. Una missione (quasi) impossibile, soprattutto a causa della reticenza dei Paesi produttori. E non solo di quelli che fanno parte dell’ Opec. Venezuela, Iran e Cina, per esempio, hanno finora rifiutato di collaborare. E quanto all’ Arabia Saudita, ogni indiscrezione sui suoi giacimenti è custodita come un segreto di Stato. Così, per compensare la mancanza d’ informazioni ottenute direttamente sul campo, l’ Iea sta ricorrendo anche ai dati del Geologic Survey americano e della Ihs Incorporated, uno dei maggiori fornitori di analisi statistiche sul settore energetico, oltre che a modelli previsionali basati su algoritmi. Un metodo analogo, del resto, lo sta applicando la Energy Information Administration degli Stati Uniti, anch’ essa alle prese con un’ indagine sull’ offerta mondiale di petrolio. Le conclusioni sono attese entro l’ estate. Ma le indicazioni preliminari, diffuse poche settimane fa, non sembrano discostarsi di molto da quelle che trapelano dall’ Iea. L’ agenzia energetica Usa stima infatti in 84 milioni di barili al giorno il «tetto» massimo di produzione che gli attuali giacimenti in funzione saranno in grado di assicurare. L’ obiettivo di almeno 100 milioni di barili, ritenuto necessario per soddisfare la domanda mondiale da qui al 2020, potrà essere raggiunto solo ricorrendo a carburanti «non convenzionali», come l’ etanolo. «Siamo ottimisti per quanto riguarda la disponibilità potenziale di risorse – ha spiegato pochi giorni fa al Wall Street Journal Guy Caruso, capo della Energy Information Administration -. Il problema è semmai quello degli investimenti: sono pochi e vengono pianificati su tempistiche inadeguate alle esigenze di mercato. Il rischio è che quando se ne vedranno gli effetti in termini di aumenti di produzione, si sarà già formato un forte scompenso fra domanda e offerta». La stessa Iea ha più volte puntato il dito contro i Paesi dell’ Opec: con gli attuali prezzi stellari del petrolio i loro governi non hanno alcun incentivo a investire per aumentare l’ output. Si limitano a incassare profitti record, poi si vedrà. A bloccare nuovi progetti di sviluppo contribuiscono poi fattori «politici»: dalla guerra in Iraq, che impedisce ogni intervento sui giacimenti in funzione nel Paese, fino all’ embargo imposto all’ Iran, che ha tenuto lontano da Teheran gli investimenti, e agli attacchi dei miliziani del Mend ai pozzi nel delta del Niger. Ma se la scarsità di investimenti è nota, sono altri gli interrogativi che aspettano una risposta dall’ indagine della Iea. Un punto chiave, decisivo per valutare il rapporto domanda-offerta e prevedere quali prezzi il greggio potrà raggiungere sui mercati internazionali, è quello del tasso di declino dei giacimenti oggi in uso e, dunque, del calo della loro produzione.
Ritmi di «esaurimento» in crescita
Uno studio diffuso all’ inizio dell’ anno dalla società di ricerche Cambridge Energy Research Associates, condotto analizzando gli 811 maggiori giacimenti mondiali, suggerisce un ritmo di «esaurimento» del 4,5% annuo. Altre fonti lo stimano addirittura superiore. E, secondo Birol, «questa tendenza appare destinata ad accelerare in futuro». Quel che è certo è che il rapporto dell’ International Energy Agency è atteso con grande ansia sia dai governi dei Paesi industrializzati che fanno parte dell’ Ocse, cioè i primi «clienti» dell’ istituto parigino, sia dagli gnomi di Wall Street, sia dai leader dell’ Opec e delle grandi corporation multinazionali. «L’ Iea è considerato oggi l’ unico osservatorio serio e indipendente per tutto quanto riguarda lo scenario energetico mondiale – osserva Edward Morse, capo economista di settore della banca d’ affari americana Lehman Brothers -. E’ per questo che il suo lavoro è importante. Renderà più trasparente il mercato». Ma lo stesso Morse invita a non prenderlo come fosse la Bibbia. E butta lì una battuta: «Per quanto accurati possano essere i loro dati, non potranno dire niente circa le risorse di petrolio e gas che sono pronte per essere esplorate in fondo ai mari e sotto l’ Artico»