da Milano Finanza del 31 maggio (su indicazione di illustre utente).
Qui il saggio pubblicato su Gnosis n° 1/2008 ("Contenere e gestire le ingerenze dei Fondi Sovrani di investimento nell’economia nazionale") di cui si parla nell’articolo.
Gli investimenti sovrani in Europa e negli Stati Uniti aiutano le economie in crisi. Ma sollevano timori per le possibili ingerenze politiche Una preoccupazione anche italiana. Che i servizi segreti non nascondono.
Sintonia, la holding lussemburghese controllata dalla famiglia Benetton assieme a Mediobanca e Goldman Sachs, la Ferrari e la Piaggio Aero Industries hanno in comune due cose: l’ingresso nel capitale dei fondi sovrani stranieri (il Government Singapore Investment Corporation per Sintonia, il Mubadala Investment Company di Abu Dhabi per il gruppo presieduto da Luca Cordero di Montezemolo e la società aeronautica) e l’interesse dei servizi segreti italiani per questi nuovi soci. Non si tratta di società di poco conto: Sintonia, attraverso Atlantia, controlla Autostrade per l’Italia e ha partecipazioni in Aeroporti di Roma, in Telco, cioè in Telecom Italia, e in Grandi Stazioni. Il fenomeno dei sovereign wealth funds, è dibattuto da parecchio tempo sia in Europa sia soprattutto negli Stati Uniti, dove s’è acuito in seguito ai salvataggi delle grandi banche internazionali (vedi tabella) realizzato da questi fondi, in gran parte di Paesi mediorientali o asiatici, traboccanti di liquidità grazie ai proventi del petrolio e! di altr e risorse naturali sempre più scarse. La ricchezza dei primi 15 fondi è stata stimata dal Fmi in circa 3 mila miliardi di dollari. Solo nel marzo 2008 le transazioni transfrontaliere di tali fondi sono state pari a 48,5 miliardi, in larga parte proprio verso istituzioni finanziarie. Ma anche in Italia il fenomeno inizia a sollevare interrogativi e preoccupazioni per le sue future implicazioni politico-diplomatiche, oltre che economico-finanziarie. Non è un caso allora che un poderoso studio su Fondi sovrani e sovranità nazionale, 28 pagine fitte di analisi, grafici e notizie, sia stato pubblicato sull’ultimo numero di Gnosis, la rivista ufficiale dell’Aisi, l’Agenzia informazioni e sicurezza interna, ovvero l’ex Sisde, guidato dal 23 maggio scorso dal generale dei Carabinieri Giorgio Piccirillo (anche se il numero del trimestrale è firmato dall’ex direttore, il prefetto Franco Gabrielli). E gli aspetti delicati evidenziati dall’analisi, non firmata e quindi attribuibile all’intelligence, sono parecchi. Il punto fermo del dossier è che l’ingerenza dei fondi sovrani nelle economie nazionali è «un dato incontrovertibile», trattandosi della presenza finanziaria statale straniera in settori pubblici e privati interni. Di conseguenza il problema sollevato è quello di come «governare l’ingerenza» e soprattutto come evitare che l’interesse nazionale venga indebolito da scopi «occulti» come «progetti di controllo di tecnologie (di natura industriale, finanziaria o militare) del paese dove il fondo sovrano investe, o di acquisizione di posizioni dominanti in imprese detentrici di brevetti, o di controllo a fini ostili di infrastrutture critiche (telecomunicazioni, energia o porti) o di accesso alle risorse naturali, considerate strategiche in quanto leve di comando dell’economia nazionale». La cessione dell’americana 3Com a Bain Capital Partners e alla cinese Huawei Technologies, per esempio, è saltata a causa del ruolo di 3Com di fornitore di tecnologie informatiche all’esercito Usa, ricorda il dossier, e questo ha acuito lo scontro tra Pechino e Washington. Ma anche il ruolo che Paesi come Dubai o la Russia di Vladimir Putin possono avere grazie alla grande forza dei fondi o delle società statali è sotto stretta osservazione, e causa di tensioni o percezioni di «ostilità» verso Europa e Usa. Tanto che recentemente Ahmed Bin Sulayem il numero uno di Dubai World (il fondo che ha costruito fra l’altro, The Palm e The World nel piccolo emirato del Golfo), ha dichiarato di essere pronto a spostare i suoi investimenti se «le regole rendessero difficile per chi proviene da certe aree geografiche investire in Europa o in Occidente». E ancora, gli investimenti del Qatar nel Lse (e dunque nella Borsa Italiana) e nella francese Lagardère (al 7%), a sua volta azionista di Eads, o di Dubai in Sony, in Hsbc e (di nuovo) nel consorzio europeo Eads rendono caldo, e molto vicino a noi, il tema.Per come è stato condotto in Italia, il dibattito sui fondi sovrani non viene considerato dall’intelligence né approfondito né centrato: anzi, l’Italia viene definita senza mezzi termini un «attore passivo». L’idea che nel medio-lungo periodo tali investitori si adatteranno alle best practice e agiranno solo per creare valore è considerata debole dai servizi. Anzi, il cuore dell’analisi sta proprio nell’evidenz! iare il possibile conflitto d’interesse dei gestori-advisor esterni, quasi sempre di nazionalità straniera e occidentale, a cui il fondo sovrano si affida per le proprie scelte di investimento. I rischi sono di due tipi: da un lato c’è quello classico, della volontà di ingerire su settori sensibili dell’economia del Paese, che però può essere gestito e controllato direttamente dall’intelligence nazionale. C’è però anche un rischio più insidioso legato proprio al ruolo e alle competenze dell’amministratore del fondo. La forte competenza tecnica dei gestori rende i manager di fatto poco controllabili da parte degli stessi fondi, con conseguenti rischi di cattiva gestione oppure di corruzione o insider trading. Tuttavia questo è un pericolo che, secondo il rapporto, alcuni fondi potrebbero essere disposti a correre, per perseguire obiettivi occulti, «esogeni all’investimento, per i quali gli Stati-investitori potrebbero usufruire anche di complicità di intermediari coinvolti a vario titolo nelle transazioni». Insomma, se il fund manager ruba, fa la cresta sui capitali che gestisce, sfrutta a proprio vantaggio le informazioni riservate (magari perché siede nei cda delle società partecipate dal fondo in rappresentanza di quest’ultimo) o semplicemente chiede commissioni esose, questo potrebbe non essere sempre un danno, in quanto il fondo potrebbe ricavare contropartite di natura diversa. D’altronde in genere non ci sono azionisti o parlamenti cui rispondere né tantomeno (nella gran parte dei casi) governance e trasparenza adeguate. Per questo motivo, suggerisce l’analisi di Gnosis, servirebbe un controllo maggiore di questi fenomeni, o con una negoziazione con i Paesi-investitori sulle best practice, o con regole fissate unilateralmente, relative fra l’altro anche a una più ampia informazione sui gestori. Il rapporto critica poi l’Europa, che avrebbe una posizione «contraddittoria», mentre in Usa è unanime «l’atteggiamento di grande diffidenza» sui fondi sovrani, anche! a costo di suscitare l’irritazione dei governi di cui tali fondi sono emanazione. La linea proposta dal presidente della Commissione, José Manuel Barroso, di un approccio comune alla regolazione per evitare distorsioni a causa di diverse norme nazionali, non appare condivisa fra i vari governi, e anzi viene evidenziata nel rapporto la differenza di approcci fra Parigi, Londra e Berlino. Anche perché i temi sono tanti e diversi: che atteggiamento avere, per esempio, verso una società statale come la russa Gazprom, che pure ha grande influenza e affari in Europa ma non è tecnicamente un fondo sovrano? Senza scadere nel protezionismo, è la conclusione del rapporto, una maggiore controllo, sia esso soft o hard, è ormai necessario. E l’Italia deve decidere da che parte stare.