Il grande tabù delle elezioni
di Angelo Panebianco – Corriere della Sera del 7 aprile
Le questioni di politica internazionale hanno una curiosa caratteristica: in campagna elettorale valgono meno di zero, non portano voti, se ne parla il meno possibile. Però, a elezioni concluse, sono quelle questioni a provocare alcune delle più gravi turbolenze, talvolta anche sismi capaci di fare oscillare violentemente i palazzi della politica. Il governo Berlusconi si trovò immerso nella temperie internazionale seguita agli attacchi dell’11 settembre 2001 e, dopo, fronteggiò formidabili opposizioni di piazza per il suo appoggio agli americani nella guerra in Iraq. Il governo Prodi, a sua volta, con la sua risicata maggioranza, si è trovato continuamente sulla graticola a causa dell’impegno in Afghanistan. Nulla fa ritenere che le cose possano andare diversamente per il prossimo governo. Tra i tanti omissis di questa campagna elettorale c’è anche una mancanza di riferimenti ai cambiamenti dello scenario europeo. La novità è data dal ruolo del presidente francese Sarkozy. Superando almeno in parte il vecchio asse franco-tedesco, Sarkozy si sta muovendo a tutto campo con l’intento di rilanciare il primato francese in Europa. La mossa più spettacolare è stata l’intesa con il premier britannico Gordon Brown. Ne è scaturita la promessa di Sarkozy di ricucire lo strappo di De Gaulle del 1966 (quando il generale fece uscire la Francia dall’organizzazione militare della Nato) abbinandola però a un deciso impegno per la difesa europea, un tema da sempre cavallo di battaglia dei britannici. La difesa europea promette quindi di diventare, in tempi difficili per l’Unione, uno dei nuovi motori dell’integrazione. Se così sarà, i Paesi che non saranno pronti a investire risorse su questo (costoso) fronte saranno tagliati fuori dal club degli stati europei influenti. Parlare di difesa europea significa parlare di spese militari. Veltroni e Berlusconi non vi accennano. Anche nei programmi dei due partiti mancano impegni espliciti e quantificabili. Il problema è serio anche perché pesa (in stridente contrasto con i nostri impegni nelle missioni di pace) una tradizione di disattenzione ai problemi della sicurezza: se, ad esempio, sono necessari tagli di bilancio, il settore della difesa è sempre il primo a essere colpito. La «nuova Europa» è un ambiente difficile e competitivo. Conta ormai assai poco essere stato un «socio fondatore». Ora si pesa solo per la forza che si ha e per il contributo che si è disposti a dare. Se la difesa europea, come pare, diventerà una questione davvero importante nei prossimi anni, l’influenza politica tornerà a essere misurata in Europa, almeno in parte, sulla base del più classico dei criteri: la forza e la qualità dell’organizzazione militare (dimmi quante divisioni hai e ti dirò quanto conti). I leader tacciono su un tema inadatto alla propaganda ma chi vincerà se lo ritroverà sulla scrivania.
Una lettura consigliata da un illustre utente del blog: "Globalization and Its Implications for the Defense Industrial Base", di T. R. Guay.