Nella certezza che il vero pericolo alla sicurezza nazionale italiana sia costituito dalle mafie nostrane, allego qui di seguito un articolo del Corsera sui dati contenuti in un rapporto della Confesercenti.
Rapporto allarmante non tanto per le cifre riguardanti il fatturato dell’industria mafiosa, quanto per la capacità di distorsione che i gruppi criminali esercitano sull’economia nazionale.
Sottolineo "nazionale" – e non solo meridionale – perchè a molti sembra sfuggire quello che invece è piuttosto evidente e cioè che ad essere collusi con la mafia non sono solo alcuni potentati politico-economici locali (leggasi: del Mezzogiorno) ma anche ampi settori dell’industria (e della finanza) nazionali (leggasi: Settentrionali).
ROMA – Allarme mafia nel rapporto «Sos impresa» della Confesercenti sulla criminalità, presentato a Roma alla presenza del viceministro dell’Interno Marco Minniti. Secondo il documento, la prima azienda italiana si chiama «Mafia spa» e ha un fatturato annuo di 90 miliardi di euro: il 7% del Pil, pari a cinque manovre finanziarie e otto volte il Tesoretto. Nel rapporto della Confesercenti si sottolinea anche che usura e racket – con 40 miliardi di fatturato – costituiscono il principale business per le associazioni mafiose. Ma il fatturato della malavita organizzata è alimentato anche da estorsioni, furti e rapine, contraffazione e contrabbando, imposizione di merce e controllo degli appalti. «Dalla filiera alimentare al turismo, dai servizi alle imprese a quelli alla persona, dagli appalti alle forniture pubbliche, al settore immobiliare e finanziario – afferma il rapporto – la presenza della criminalità organizzata si consolida in ogni attività economica».
UN CANCRO PER L’ECONOMIA – Si tratta, di fatto, di una piovra dai mille tentacoli, che stritola ogni attività economica: commercianti e imprenditori, secondo il rapporto, sono costretti a subire 1.300 fatti-reato al giorno, «praticamente 50 all’ora», sottolinea lo studio. Malgrado la frenetica attività di forze dell’ordine e magistratura, la criminalità organizzata mantiene la propria forza in virtù delle caratteristiche tipiche del fenomeno: scarsa esposizione, consolidamento degli insediamenti territoriali tradizionali, capacità di spingersi oltre i confini regionali e nazionali, soprattutto per quanto riguarda il riciclaggio e il reimpiego dei proventi illeciti.
PIZZO, USURA E GESTIONE DEL BUSINESS – Secondo il rapporto, i componenti delle organizzazioni criminali sono sempre più impegnati direttamente nella gestione delle attività economiche. Per questa ragione, a volte, limitano l’imposizione del «pizzo», richiedendo somme puramente simboliche, perché sono più interessati a imporre merci, servizi, manodopera o a eliminare la concorrenza. I commercianti taglieggiati oscillano intorno ai 160.000, ben oltre il 20% dei negozi italiani, con un fortissimo radicamento al Sud. In Sicilia sono colpiti l’80% dei negozi di Catania e Palermo. «Nei cantieri sotto controllo mafioso si lavora e basta. Diritti sindacali non esistono, le norme di sicurezza sono un optional», dice il rapporto. Quanto ai prestiti da strozzini, altra attività tipica di impiegare i soldi mafiosi, il numero dei commercianti coinvolti in rapporti usurari è oggi stimato in oltre 150.000, dice lo studio.
«COLLUSIONE PARTECIPATA» – In «Sos impresa» si sottolinea anche il continuo sviluppo dell’area della cosiddetta «collusione partecipata» che investe anche la grande impresa italiana, soprattutto quella impegnata nei grandi lavori pubblici, che a volte preferisce venire a patti con la mafia piuttosto che denunciarne i ricatti. «Si tratta – si legge nel rapporto presentato dal presidente di Confesercenti, Marco Venturi – per lo più di grandi aziende che scendono a patti per "quieto vivere", quasi a sottoscrivere una polizza preventiva, perché la connivenza rende più forti rispetto alla concorrenza, perché per stare dentro certi mercati bisogna fare così, o semplicemente perché è più conveniente».