di Martin Van Creveld
La guerra ha aperto la strada alla pace? Un fatto sorprendente si sta verificando in Medio Oriente: il cessate il fuoco imposto, o meglio richiesto, dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sta reggendo. Si sa che è già difficile far osservare una tregua tra Stati, ma lo è ancor più tra Stati e organizzazioni che non sono uno Stato, come Hezbollah. Questo perché di solito non vi è un fronte, la controparte non-Stato è difficile da distinguere dalla popolazione civile, e le catene di comando sono relativamente deboli. Per me è quindi una grande sorpresa che il cessate il fuoco abbia retto. Vi è un netto contrasto con la situazione del 10 giugno 1982 a Beirut e con le diverse tregue annunciate all’ inizio della seconda Intifada, nessuna delle quali si concretizzò. Neppure il raid israeliano sulla Bekaa, che secondo Kofi Annan ha costituito un’ evidente violazione, ha portato alla ripresa delle ostilità. Come interpretare questi fatti? Una possibilità, naturalmente, è che Nasrallah si stia già preparando al prossimo scontro. Si può però pensare anche ad altre ragioni. L’ intenzione dichiarata da Nasrallah nel lanciare il raid del 12 luglio era quella di riprendere i prigionieri libanesi in mano ad Israele. Non solo non ci è riuscito, ma attualmente nelle carceri israeliane ci sono più prigionieri di prima che la guerra iniziasse. Per non parlare delle fattorie di Shebaa, la località del Golan rivendicata da Hezbollah tuttora occupata da Israele. Certo, gli uomini di Nasrallah hanno combattuto bene e hanno inflitto perdite all’ esercito israeliano, oltre che alla popolazione civile. Il prezzo, però, è stato molto alto: mille morti, migliaia di feriti, circa 900 mila rifugiati, il Sud del Libano e le infrastrutture libanesi in rovina. Un prezzo, oltretutto, pagato in gran parte proprio dai membri della comunità sciita. In altre parole, è possibile che, grazie alla «risposta sproporzionata» (come dicono gli europei) e al comportamento alla majnun (come dicono molti arabi), Israele sia riuscito a ristabilire il suo potere di deterrenza di fronte a Hezbollah e al Libano. L’ improvviso parlare di pace del premier libanese Siniora, così come l’ annuncio del suo ministro della Difesa che chiunque (dalla parte libanese) violi il cessate il fuoco subirà delle sanzioni, potrebbero essere ulteriori segnali di ciò. Un’ altra possibilità è che la Siria stia giocando le sue carte: si sarà notato come alcune importanti personalità israeliane abbiano ora cominciato a parlare di una pace con quel Paese. Non sono un esperto di politica siriana, ma se fossi Assad sarei molto preoccupato del successo (quale che sia) di Hezbollah. Dopo tutto, nel 1982 suo padre è riuscito con difficoltà a soffocare un’ insurrezione islamica che minacciava di rovesciarlo e ucciderlo. Forse si stanno muovendo più cose di quanto appaia. Forse Assad figlio sta pensando alla possibilità di imitare Gheddafi in cambio delle alture del Golan. Pare che anche alcuni americani la pensino in questo modo, sostenendo che quel che occorre è staccare la Siria dall’ Iran. La guerra, combattuta con mezzi fisici, è uno scontro anche morale. In ultima analisi, quello che conta non è tanto il risultato sul campo, ma lo spirito con cui viene vissuto dai contendenti. Nel 1973-74 molti israeliani ebbero la sensazione che il loro Paese avesse perso la guerra di ottobre. Gradatamente, però, venne fuori che quell’ interpretazione era sbagliata. Per quanto possa aver avuto anche altri effetti, alla fine la guerra pose termine alle aspettative di molti leader arabi di riuscire a distruggere l’ entità sionista, mentre alcuni di coloro che non accettarono questa opinione, come il generale Sàad al Shazli, finirono a scrivere le loro memorie in esilio. Il risultato fu una pace che, nonostante tutte le provocazioni, ha retto per 27 anni, quanto è durato il conflitto tra Israele e l’ Egitto. Questa guerra non potrebbe dar luogo a una prospettiva simile? Lo dirà il tempo.