Da Il Foglio di ieri, un’intervista a Martin Kramer.
Tel Aviv. Né Israele né Hezbollah hanno vinto la guerra. Ne è convinto Martin Kramer, analista del Washington Institute for Near East Policy, grande conoscitore dell’islam politico. “Innanzitutto non sono sicuro che sia stata una guerra. E’ stata piuttosto una battaglia, preceduta da altre e che potrebbe avere un seguito. In questa battaglia, in un certo senso, hanno perso entrambe le parti – spiega al Foglio – Hezbollah ci ha rimesso le sue posizioni nel sud del Libano, Israele parte del suo prestigio per non aver raggiunto alcuni degli obiettivi che si era dato: la liberazione dei due soldati prigionieri e la fine del lancio dei razzi”. Kramer ha diretto per più di due anni il Moshe Dayan Center for Middle Eastern Studies dell’università di Tel Aviv e ha insegnato negli atenei americani di Cornell, Georgetown, Brandeis e Chicago. In queste ore di tregua tra le parti, una forza internazionale d’interposizione fatica a essere dispiegata nel sud del Libano. L’Europa, infatti, che in un primo tempo si era proposta per svolgere un ruolo centrale nella missione, sembra ora trascinarsi controvoglia verso quest’impegno. Kramer sostiene che “le forze internazionali servono a tenere i civili, da entrambe le parti, fuori dal campo di battaglia”. Un contingente armato rappresenta “la neutralizzazione del confine come arena di battaglia”. Ma – spiega l’analista – se il Libano non risolve la sua contraddizione, cioè avere una milizia armata diretta dall’Iran, che determina la politica di sicurezza e difesa, ci sarà un secondo atto del conflitto nel futuro. Il cessate il fuoco è fragile. In queste ore, secondo Kramer, “Iran e Siria cercano di rimpiazzare le armi che Hezbollah ha perso durante la guerra. Si tratta di una mossa importante soprattutto per l’Iran”. Teheran ha fino al 31 agosto, secondo una risoluzione delle Nazioni Unite, per mettere fine al suo programma d’arricchimento dell’uranio. Oltre questa data, come ha ricordato due giorni fa il presidente americano George W. Bush, rischia sanzioni. Oggi, l’Iran vuole mostrare d’essere in grado di colpire Tel Aviv, se gli Stati Uniti minacciassero un attacco, spiega l’analista, e usa il “successo” di Hezbollah come deterrente. “Il punto debole della risoluzione dell’Onu 1.701 sul Libano – dice – è che non prevede alcun meccanismo d’ispezione del confine tra il paese e la Siria per bloccare l’ingresso d’armi. Dobbiamo quindi aspettarci che Israele continui a compiere voli di ricognizione e operazioni”. Il conflitto ha cambiato sensibilmente la realtà. Infatti, secondo Kramer, “il confine non sarà più uguale a prima, se le forze internazionali e l’esercito libanese agiscono. Non mi aspetto che il tipo di guerra cui abbiamo appena assistito si ripeta. Il miglior modo per evitare un secondo round è stabilire la sovranità del governo libanese lungo la frontiera, creare una situazione dove le forze internazionali controbilancino l’influenza di Iran e Siria”. E’ necessario trovare un equilibrio lungo il confine. Sostiene Kramer che il conflitto non abbia rafforzato Hezbollah: “L’influenza del Partito di Dio ha un limite: l’ampiezza della comunità sciita, numerosa ma non maggioritaria. A differenza dell’Iraq, dove gli sciiti sono la maggioranza e chi ha il loro controllo ha il potere sull’intero paese. Quando il ruolo di Hezbollah va oltre i propri limiti naturali – come in questo momento – le altre forze comunitarie cominciano a farlo indietreggiare. E quello che accadrà in Libano e nel resto del medio oriente. La popolazione in Libano comincerà a realizzare il costo di questa guerra. Hezbollah, inoltre, nel conflitto ha perso il controllo del confine con Israele”.