1) La foto taroccata della Reuters (il link porta al blog del bravo Mario Sechi, grazie al quale ho scoperto la cosa).
2) I sospetti di Toni Capuozzo sulla strage di Cana esposti in un articolo su Il Foglio:
"Non so perché, ma dubito ci sarà mai una controin- chiesta sulla strage di Cana. Temo che non di- venterà argomento di dibattito invece che bandiera insanguinata da sventolare nei blog. Sospetto che Rainews 24 non acquisirà testimonianze e documenti cruciali. Non diventerà, quel modesto paese di collina, un luogo obbligatorio come Fallujah o l’11 set- tembre. Piuttosto, le toccherà la sorte di Jenin, fermatasi, nella memoria collettiva, ai ti- toli del primo giorno: strage. O della Chiesa della Natività, archiviata alla voce “assedio alla Basilica”. Naturalmente potremmo anche fermarci qui, alle generiche considera- zioni che la migliore delle guerre non è esente da orrori, che gli Hezbollah si fanno scudo dei civili, che gli israeliani non vanno per il sottile. Accettare le giustificazioni di Olmert: “Non volevamo colpire loro, non cer- cavamo la loro morte, non sono loro i nostri nemici, non erano loro l’obiettivo della no- stra incursione”. Attendere i risultati della commissione d’inchiesta israeliana – una fal- la nell’intelligence spiega il tragico errore – e quelli della commissioni d’inchiesta inter- nazionale. Ma i fatti sono i fatti. A comincia- re dal fatto che sia il ministero della Sanità libanese sia Human Right Watch hanno con- fermato la conta – macabra, anche un solo corpo sarebbe stato di troppo – di 28 corpi – di cui 16 bambini – invece dei 57 delle noti- zie della prima ora. Due missili, uno solo dei quali è esploso, hanno colpito l’edificio il 30 luglio. L’esercito israeliano comunica: “Se- condo le informazioni in nostro possesso l’e- dificio non era abitato da civili ed era usato come nascondiglio dai terroristi”, ricorda che il bombardamento è avvenuto solo dopo che la popolazione civile era stata invitata ad abbandonare l’area, e che da un’area adiacente all’edificio erano stati lanciati nu- merosi razzi – 150, nei venti giorni prece- denti – contro il nord d’Israele. Potremmo fermarci qui, e stare all’efficace dichiarazio- ne di Dan Halutz, il capo di stato maggiore israeliano: “Il nostro esercito si frappone co- me uno scudo a difendere i civili israeliani, Hezbollah piazza i civili libanesi come uno scudo tra loro e l’esercito israeliano”. quali è esploso, hanno colpito l’edificio il 30 luglio Ma ci sono altri dubbi, e altri dettagli che meritano di essere valutati. Un sito web li- banese, antisiriano, ipotizza qualcosa di peg- gio: che Hezbollah abbia costruito una tragi- ca messa in scena, portando sul posto corpi già morti (il che non cambierebbe lo sdegno, se erano civili uccisi in altri luoghi, in raid sparsi, ma cambia radicalmente l’impatto mediatico) e radunando nell’edificio un gruppo di bambini handicappati, vivi. Man- ca, al momento, un rapporto della Croce ros- sa libanese, così come dei rappresentanti della Croce rossa internazionale in Libano, sul numero dei morti, sull’ora presunta del- la loro morte, sullo stato dei corpi, su even- tuali autopsie. Come si sa, uno degli elemen- ti poco chiari della tragedia di Cana è il fat- to che il palazzo fu colpito poco dopo la mez- zanotte, ma il crollo della struttura si verificò molte ore dopo, alle sette del mattino, quan- do era ormai giorno. E questo apre il campo alle ipotesi più diverse: lento cedimento strutturale, crollo determinato da violenti spostamenti d’aria di altre esplosioni ravvi- cinate, esplosione procurata da terra, a bel- la posta? Altri elementi di sospetto vengono dalle immagini che hanno fatto il giro del mondo: i corpi dei bambini non presentano macchie di sangue e, tranne in un caso, non sono coperti di polvere, come se non fossero stati uccisi da schegge o soffocati dal crollo del palazzo. Gli stessi soccorritori sono stra- namente puliti, come se non avessero scava- to tra le macerie. Alcuni volti avevano l’a- spetto di persone morte da qualche giorno, e qualche esperto ha notato che la rigidità dei cadaveri che si desume da qualche fotogra- fia fa la sua comparsa solo dopo un lasso di tempo più lungo di quello passato tra il bom- bardamento e l’arrivo dei giornalisti e dei fo- tografi. Davanti ai quali avviene – certo, que- sto fa parte del gioco tragico della guerra, e non dimostra nulla – una parata del dolore. Un sito inglese ha titolato “Chi è quest’uo- mo?” la fotografia di un soccorritore pubbli- cata sulle prime pagine di molti giornali bri- tannici. Perché quell’uomo appare in un’al- tra fotografia scattata dopo il bombarda- mento del 1996, quando più di cento persone trovarono la morte in un presidio dell’Onu, facendo di Cana un simbolo. Certo, potrebbe essere un soccorritore professionale, o sem- plicemente un abitante attivo e solidale… come può apparire un classico delle trage- die il fatto che una sequenza di foto d’agen- zia suggerisca una posa. Otto fotografie mo- strano uno stesso soccorritore che solleva in alto, sopra di sé, come a esporre al mondo, una piccola vittima. La sequenza è innatura- le, come se l’uomo deponesse il corpicino, e poi tornasse a sollevarlo più volte. E il guaio è che questa stessa vittima era stata fotogra- fata tre ore prima, mentre giaceva in un’am- bulanza. Reuters ha smentito che le foto fos- sero in posa, e riguardo all’inspiegabile se- quenza temporale ha addotto problemi tec- nici e flusso di immagini come giustificazio- ne. Basta tutto questo a dirci qualcosa di più, a spingerci oltre il tragico errore, o il giudizio politico sull’intera vicenda? A qualcuno, come avviene per l’11 settembre, come av- viene per Fallujah, è bastato. Dunque: Hez- bollah impedisce ai civili di allontanarsi, e spara dei missili. Raduna dei piccoli handicappati. Israele bombarda. Nel tempo che passa tra il bombardamento e il crollo, con- trollato e provocato, della palazzina, vengo- no racimolati tutti i morti della zona. Arriva il circo dei media e inizia l’esibizione, il cessate il fuoco è a portata di mano, esattamen- te come nel 1996, Cana torna a essere un ul- timo atto, un simbolo definitivo. Non so, ma è come un destino. Non si sa neppure se il luogo dell’acqua diventata vino al pranzo di nozze sia qui, a Kfar Qana, o a Kefr Kenna, vicino Nazareth, o più a nord ad ‘Ain Kana. E non si sa neppure, in definitiva, se il vil- laggio dell’affresco di Giotto a Padova sia davvero esistito, o se sia stato solo un nome con una funzione teologica e simbolica, più che storica e geografica."