Inutile sottolineare che il giornalista in questione è uno dei pochi, veri, esperti di questioni militari…
"Le «bombe improvvisate» incubo della coalizione", da Il Giornale del 28
Anche se ancora non è sicura la natura dell’arma che ha colpito il blindato Vm-90p dei carabinieri (potrebbe trattarsi infatti di un razzo a carica cava sparato da breve distanza) rimane assodato che la minaccia più pericolosa per le forze della coalizione è costituita dagli ordigni esplosivi improvvisati (Ied), anche in variante «mobile», cioè un’autobomba (e si parla allora di Vbied). Infatti la maggior parte dei caduti è vittima di queste bombe, che vengono collocate quotidianamente in numero massiccio: la media mensile si aggira sui 1.500 ordigni. Di questi circa 500 sono scoperti e neutralizzati in anticipo, mentre un migliaio esplode, anche se fortunatamente non sempre con effetti letali.
Questo risultato è il merito degli innumerevoli programmi di emergenza che il Pentagono ha avviato per rispondere alla terribile minaccia. Infatti le statistiche dicono che, malgrado il numero degli attacchi continui ad aumentare (c’è stata una flessione solo ultimamente, con il divampare delle violenze confessionali), già nel 2005 il numero di morti e feriti è sceso del 45% rispetto all’anno precedente e un ulteriore miglioramento è atteso per l’anno in corso.
Del resto quella in corso è una vera guerra tecnologica. Le diverse anime della guerriglia hanno una inventiva e una capacità ingegneristica artigianale eccezionale. I tecnici più in gamba sono ex membri dei reparti speciali della Guardia repubblicana e dei servizi di sicurezza di Saddam, che si sono preparati per tempo. Ma anche gruppi non sunniti o la stessa legione internazionale di Al Zarkawi hanno dimostrato competenze significative.
Sono così arrivate in Irak vere mine anticarro a carica cava e «a tutta larghezza», persino quelle più devastanti, autoforgianti, usate contro le truppe britanniche, nonché sistemi di attivazione sofisticati, all’infrarosso e a microonde.
I tradizionali detonatori attivati a contatto diretto, a pressione, sono stati presto affiancati da comandi a distanza. Si è cominciato con i telecomandi, come quelli utilizzati per antifurti o per l’azionamento di cancelli, per poi passare a trasmettitori più potenti e sofisticati, senza dimenticare l’attivazione mediante telefoni cellulari, Gsm o addirittura di tipo satellitare. Anche la carica esplosiva è diventata sempre più letale: esplosivi militari, plastico, tritolo, interi proietti d’artiglieria combinati con bombe da mortaio, cariche sagomate. I guerriglieri possono attivare le bombe da una distanza minima di 100-300 metri se usano i telecomandi più semplici, per arrivare a 4-5 km in caso di attacchi in terreno aperto comandati con radio o telefoni.
Il Pentagono non ha ancora trovato un sistema per vincere la battaglia delle bombe: si usa una combinazione di soluzioni, comprendente l’impiego di veicoli meglio protetti, di sistemi elettronici di sorveglianza, montati su veicoli, elicotteri, aerei senza pilota, in grado di scoprire i possibili ordigni a distanza, nonché di apparati di disturbo che possono impedire ai trasmettitori di attivare i detonatori o addirittura «friggono» i componenti elettronici delle bombe. Ma i guerriglieri non sono da meno: ad esempio scoprono quali bande di frequenza vengono coperte dai sistemi americani e modificano i loro apparati di conseguenza.
Inoltre hanno imparato a camuffare le bombe nel modo più strano: buche, finte rocce, cespugli, rottami di veicoli, copertoni, piante, carcasse di animali.
"Non c’è veicolo che resista a quelle «mine»", da Il Giornale di ieri
Eccole, immancabili, arrivando le polemiche sull’adeguatezza dei mezzi in dotazione al contingente italiano. Ma si tratta di discussioni pretestuose, intanto perché il mezzo perfetto, ideale, invulnerabile, non esiste. In secondo luogo perché il discorso sulla validità di un mezzo non riguarda solo la protezione ma anche il tipo di missione che è chiamato a svolgere.
In Irak sono stati distrutti anche i più protetti carri armati da 70 tonnellate o mezzi da combattimento della fanteria da oltre 30 tonnellate.
Come del resto è successo a Israele, che ha perso a causa delle super-mine realizzate da Hezbollah alcuni corazzatissimi carri Merkava. Almeno una parte dei guerriglieri è in grado di scegliere le armi in funzione del tipo di veicolo che vuole colpire. E ha tutto il tempo per decidere quando attaccare, dove, e con che cosa. Il caso del VM-90P dei carabinieri è esemplare. Gli addetti ai lavori dovranno analizzare con cura i rottami, il luogo dell’agguato prima di stabilire cosa lo ha distrutto. Però anche dalle prime immagini diffuse si può formulare qualche ipotesi.
La tesi che sia trattato di una “banale” Ied, una bomba improvvisata, collocata nel centro della carreggiata, è già decaduta. Un’alternativa è rappresentata da una mina con carica cava sagomata e orientata. E contro questo tipo di ordigni anche un mezzo decisamente più pesantemente protetto del VM-90P non avrebbe avuto scampo. Ma ormai ci si orienta su una mina «off rout» con testata autoforgiante (Efp), collocata sul ciglio della strada. Questo tipo di mine è apparso in Irak già lo scorso anno e ha fatto moltissime vittime: truppe americane e britanniche (nei pressi di Bassora), i «contractor» delle compagnie private di sicurezza. Mine simili sono state impiegate da Hezbollah contro Israele. E ora sono giunte anche a Dhi Qar, la provincia dove operano gli italiani.
Anche se Teheran smentisce, le mine sono progettate e fornite alla guerriglia dai Pasdaran iraniani. I quali hanno ottimi rapporti con alcune milizie estremiste sciite… e non solo. Arrivano smontate, corredate di istruzioni per l’assemblaggio e l’impiego.
Sono costituite da un tubo di acciaio lungo 15-25 centimetri, chiuso da un tappo saldato che ospita l’innesco. Il tubo è riempito di alto esplosivo e alla estremità è collocato un disco concavo in rame o acciaio. Quando la carica esplode, il disco viene «forgiato» in un penetratore allungato, un dardo sparato, a una velocità di 2.000 metri al secondo, contro il fianco del veicolo. Il dardo è capace di bucare come fosse burro una piastra d’acciaio di 10 centimetri. Contro un proietto del genere qualunque mezzo blindato, piccolo o medio, compresi i modelli più moderni, è vulnerabile. L’attivazione avviene poi in modo diabolico: un osservatore, collocato al di fuori del raggio d’azione dei disturbatori elettronici usati dalle forze della coalizione, sceglie il momento più opportuno, aziona il telecomando. L’impulso attiva un sensore di movimento, passivo, a infrarossi, che quando percepisce l’arrivo di un mezzo, fa esplodere la carica, posta a 10-15 metri dal bersaglio. Mine e sensori sono camuffati dentro finti blocchi di cemento, cordoli, guard-rail e puntati alla giusta altezza e angolazione. Possono essere deposti pochi minuti prima dell’azione. Con un po’ di addestramento si può centrare un veicolo in movimento fino a 40-60 km/h, scegliendo anche la parte da colpire.
Se è stata una mina di questo tipo ad aver colpito il VM-90P, l’esito non sarebbe stato differente se al suo posto ci fosse stato una blindo Puma o persino il nuovo Vtml, realizzato da Iveco, uno dei mezzi migliori della categoria. Certo, tutti gli eserciti stanno introducendo in servizio, un po’ alla volta, nuovi mezzi meglio protetti e studiati per sopravvivere a mine e razzi di potenza limitata. Ma sono mezzi più grandi, pesanti, meno agili, di quelli che rimpiazzano, per non parlare dei costi. E più ci si chiude in scatole corazzate, meno si riesce a controllare la situazione intorno al mezzo, il che può esporre il personale a rischi gravissimi. Molti comandanti preferiscono far viaggiare la truppa su mezzi telonati (come i VM-90T usati dai nostri soldati) o in semplici jeep aperte, perché così in caso di guai la squadra può abbandonare subito il mezzo, disporsi nel modo migliore e rispondere al fuoco. Cosa molto difficile con i mezzi più protetti. Per non parlare delle tante vite salvate quando i razzi anticarro tirati contro i veicoli leggeri sono passati attraverso i teloni, senza attivarsi come sarebbe accaduto se avessero colpito una piastra blindata.
Certo, non c’è mai limite al meglio, la ricerca tecnologica continua, ma la lotta tra cannone e corazza non avrà mai fine.