di M. Allam, sul Corsera di oggi
L’eurodeputato dei Comunisti Italiani e il direttore di Liberazione , l’organo di Rifondazione Comunista, non hanno mostrato il minimo segno di condivisione del dramma umano e della passione civile di un umile servitore dello Stato, costretto all’invalidità totale per le lesioni subite a organi vitali. E che, tuttavia, ha concluso l’intervista affermando: «Io lo rifarei, per l’Italia tornerei a Nassiriya». Un atteggiamento che s’inquadra nella cornice di tesi ideologiche preconcette secondo cui le forze italiane in Iraq sono «di occupazione», l’Iraq è uno Stato «occupato» e sottomesso all’arbitrio dell’America, la guerra preventiva americana e il terrorismo sono sullo stesso piano e si auto-alimentano. Di conseguenza solo il ritiro immediato dall’Iraq ci riscatterà dall’onta di forza occupante, ci emanciperà dalla sudditanza all’America e contribuirà a porre fine alla spirale guerra-terrorismo. Infine, soltanto la consegna del dossier iracheno alle Nazioni Unite potrà condurre alla stabilità e alla pace.
Ebbene credo che sia doveroso, nel giorno in cui rientrano in patria le salme di Franco Lattanzio, Carlo De Trizio e Nicola Ciardelli, riaffermare alcune verità sulla missione italiana, per rendere davvero giustizia alla loro memoria. Anche Rizzo e Sansonetti devono decidere da che parte stare. Se dicono di stare dalla parte dell’Onu, devono sapere che non è un menu à la carte . La si ordina quando piace e la si rigetta quando non conviene. Perché la risoluzione 1511 del 16 ottobre 2003 legittima pienamente la presenza della forza multinazionale, così come la risoluzione 1546 dell’8 giugno 2004 riconosce la piena sovranità dell’Iraq e ufficializza la fine del regime di occupazione, di fatto a partire dal 28 giugno 2004.
Quanto all’equivalenza guerra-terrorismo, riassunta nell’affermazione di Bertinotti «Bush e Bin Laden sono allo stesso livello un pericolo per l’umanità», si basa su un falso ideologico che nega la dinamica degli eventi nella guerra globalizzata del terrorismo islamico, ma anche in Israele, in Algeria, in Egitto e altrove. Mettere sullo stesso piano l’attentato e la rappresaglia è una forzatura ideologica che finisce per giustificare e legittimare il terrorismo. Immaginando che il terrorismo sia di natura reattiva e non, invece, come è di fatto, aggressiva.
Devo aggiungere che tutta questa impalcatura ideologica s’ispira a un antiamericanismo viscerale e a un’ostilità pregiudiziale nei confronti di Israele.
Aveva perfettamente ragione Andrée Ruth Shammah, direttore artistico del Teatro Parenti di Milano, presente alla trasmissione, quando ha affermato che «è vero che a bruciare le bandiere israeliane sono in pochi, ma è vero che loro idee sono condivise da un ampio fronte». È una sacrosanta verità: c’è una collusione ideologica tra taluni politici che siedono in Parlamento e gli estremisti che bruciano le bandiere e inneggiano «dieci, cento, mille Nassiriya», nel comune convincimento che Bush e Bin Laden, Israele e Hamas sono la stessa cosa.
Ecco perché non è sufficiente aprire una parentesi per piangere i nostri caduti a Nassiriya, per poi tornare alle speculazioni politiche dopo i funerali. Bisogna fare chiarezza. Dire la verità. Lo dobbiamo a noi stessi e, soprattutto, ai connazionali che hanno pagato con la vita la loro lealtà alla patria.