Per la prima volta dalla fine della Guerra Fredda si parla di minacce che provengono dal Vecchio Continente (La Stampa 13-04-06)
Le testimonianze di tre alti funzionari dell’amministrazione Bush di fronte al Congresso come l’uscita nelle librerie di due saggi sull’Europa coincidono nel disegnare un nuovo fronte della guerra al terrore: le cellule estremiste islamiche che proliferano nel Vecchio Continente pongono una minaccia diretta alla sicurezza degli Stati Uniti. «Pur essendo parte di un fenomeno globale, l’estremismo islamico in Europa Occidentale è diverso, tanto per le caratteristiche che per la potenziale minaccia agli Stati Uniti», ha detto Dan Fried, assistente Segretario di Stato per l’Europa, deponendo di fronte alla commissione per gli Affari Europei della Camera dei Rappresentanti. Queste «caratteristiche» hanno a che vedere con il fatto che sebbene «solo l’1 o il 2 per cento dei musulmani europei è implicato in attivista estremiste» il fatto di vivere in società libere offre loro opportunità uniche, come quelle che hanno consentito di organizzare gli attentati dell’11 settembre contro New York e Washington – pianificati da una cellula che si trovava ad Amburgo – del 2003 a Madrid e del 2005 a Londra. La cooperazione fra Usa ed europei per sradicare queste cellule è molto stretta ma, come ha spiegato sempre alla Camera Henry Crumpton, coordinatore del Controterrorismo al Dipartimento di Stato, «pur condividendo la percezione della minaccia fra noi vi sono disaccordi su come contrastarla perché alcuni in Europa continuano ad affermare che il terrorismo è solamente un problema di criminalità». La richiesta di Crumpton agli europei è di lasciarsi alle spalle tali differenze per «affrontare la minaccia terroristica come un’insurrezione globale sviluppando una strategia che attacchi il nemico, gli neghi ogni rifugio ed affronti le cause socio-economiche e politiche che ne sono alla base». Dietro queste parole c’è il timore che le garanzie giuridiche con cui i jihadisti si fanno scudo in Europa possano aiutarli a mettere a segno nuovi devastanti attacchi contro gli Usa. Ma non è tutto: tanto Fried che Crumpton ritengono che terroristi come il franco-marocchino Zacarias Moussaoui, l’anglobritannico Richard Reid, i responsabili dell’omicidio di Theo Van Gogh in Olanda e degli attacchi di Madrid e Londra abbiano alle spalle «problemi di integrazione» e «politiche di immigrazione» che negli ultimi decenni hanno prodotto «alienazione fra gli immigrati». Se per smantellare le cellule in Europa Crumpton indica la necessità di evitare che le tutele dello Stato di Diritto finiscano per proteggere i terroristi, l’ambasciatore Usa in Belgio Tom Korologos disegna anche un altro terreno di scontro ovvero la «battaglia di idee» da ingaggiare per far venire allo scoperto «la grande maggioranza dei musulmani europei, che è moderata e integrata». È un fronte sul quale Korologos vede l’Europa in ritardo identificando nelle maggiori organizzazioni di musulmani americani un valido ed efficace vettore di dialogo. A dimostrazione che le tesi di Fried, Crumpton e Korologos riflettono un orientamento palpabile dell’opinione pubblica ci sono le vendite di due recenti volumi. In «While Europe Slept» (Mentre l’Europa dormiva) lo scrittore Bruce Bawer racconta la sua vita in Europa – dove risiede dal 1998 – descrivendo la «cecità» delle élites politiche e culturali che «in questi anni non hanno esitato a svendere i diritti di donne, ebrei, omosessuali e i principi democratici in genere nel tentativo di fare la pace con gli islamici radicali nell’illusione di mantenere un’armonia multiculturale» in realtà da tempo tramontata. Il titolo del libro della giornalista del «New York Times» Claire Berlinski è quasi un riassunto della testimonianza di Fried e Crumpton: «Minaccia in Europa, perché la crisi dell’Europa è anche dell’America». I contenuti sono altrettanto espliciti: il fallimento europeo di integrare i musulmani ha generato radicalismo islamico e odio dilagante per l’America portando a riemergere istinti distruttivi a lungo repressi. Nulla da sorprendersi dunque se ai viaggiatori europei di passaggio in America capita di confrontarsi con queste tesi, come è avvenuto al vicepresidente francese del Parlamento Europeo Pierre Moscovici, che durante un incontro al Council on Foreign Relations ha ribattuto: «È vero che abbiamo commesso errori con gli immigrati ma chi cerca in Europa il nuovo nemico dell’America si sbaglia, non siamo noi il nuovo Saddam».
da http://www.mauriziomolinari.org/it/article_view.asp?IDarticles=254