Un testo di Globalsecurity.com tradotto da "Il Riformista"
Fra le opzioni militari potenzialmente a disposizione degli Stati Uniti c’è quella degli attacchi aerei rivolti contro le armi di distruzione di massa e gli impianti missilistici presenti in Iran. In totale, in Iran vi sono forse poco più di una ventina di impianti nucleari sospetti. La centrale nucleare Bushehr, da 1000 megawatt, sarebbe il probabile obiettivo degli attacchi. Secondo il Nonproliferation Policy Education Center, il combustibile esaurito di questo impianto permetterebbe di produrre fra le 50 e le 75 bombe. Anche gli impianti nucleari sospetti di Natanz e di Arak sono probabili obiettivi di un eventuale attacco aereo.
Gli attacchi aerei americani sull’Iran avrebbero un’estensione enormemente superiore a quello sferrato nel 1981 da Israele contro la centrale nucleare Osiraq in Iraq, e somiglierebbe piuttosto alla campagna aerea del 2003 contro l’Iraq. Utilizzando la forza totale dei B-2 da bombardamento stealth operativi, partiti da Diego Garcia o provenienti direttamente dagli Stati Uniti, forse integrati da caccia stealth F-117 partiti da al Uleid in Qatar o da un’altra postazione sul teatro di guerra, verrebbero attaccati gli oltre venti siti nucleari sospetti. I pianificatori militari potrebbero modificare l’elenco degli obiettivi per adattarsi alle preferenze del governo, mantenendo un numero limitato di attacchi rivolti contro gli impianti più cruciali, con l’obiettivo di ritardare o ostacolare il programma iraniano; in alternativa, gli Stati Uniti potrebbero optare per una serie molto più estesa di attacchi rivolti contro un numeroso insieme di obiettivi legati alle armi di distruzione di massa, e contro le forze convenzionali e non-convenzionali che potrebbero essere utilizzate per contrattaccare le forza Usa in Iraq.
I mezzi americani. Molti aerei si trovano ancora nella regione che supporta le operazioni Enduring Freedon e Iraqi Freedom. Gli Stati Uniti avevano aerei posizionati in diversi punti dell’area del Golfo Persico, fra cui l’Iraq, il Kuwait, il Qatar, l’Oman, gli Emirati arabi e Diego Garcia. Nonostante il numero degli aerei presenti nella regione sia diminuito notevolmente dalla fine degli scontri principali in Iraq, gli Stati Uniti mantengono nella regione un certo numero di F-15E, F-16, velivoli marittimi, nonché un numero imprecisato di aerei pesanti da bombardamento. Le informazioni riguardanti il numero dei velivoli effettivamente presenti nell’area del Golfo Persico sono scarse, poiché al momento vi sono unità che rientrano negli Stati Uniti, e non è chiaro se si stiano inviando altre unità in sostituzione. A metà giugno 2003, nella regione non vi era più alcun aereo Awac, e gli aerei stealth erano da molto tempo ripartiti per gli Stati Uniti. Le insufficienti informazioni sui velivoli disponibili non consente di prevedere quanti aerei con capacità di “Joint Direct Attack Munition” fossero disponibili per gli attacchi, e quanti punti obiettivo potenziali ciò avrebbe fornito ai pianificatori della missione.
Il ridispiegamento delle forze Usa nell’area richiederebbe poco tempo, ma l’assenza di numeri significativi relativi a velivoli stealth, velivoli di allerta precoce, e altri asset al settembre 2004 era un possibile indice del fatto che gli Stati Uniti non stavano prendendo attivamente in considerazione l’ipotesi dell’attacco aereo. Gli Usa avevano messo a disposizione una serie di velivoli da bombardamento per l’attacco della Corea del Nord nella prima metà del 2003, e potrebbero avere programmi simili in previsione di un attacco contro l’Iran. Altrimenti, gli Usa potrebbero decidere di sfruttare l’effetto sorpresa, servendosi di velivoli pesanti da bombardamento arrivati direttamente dagli Stati Uniti. Dalla fine dei principali scontri in Iraq, gli Stati Uniti hanno generalmente mantenuto un gruppo di portaerei nella regione del Golfo Persico a sostegno di Iraqi Freedom. Potrebbero anche essere utilizzati missili cruise Tomahawk, dispiegati su incrociatori e sottomarini per colpire postazioni fisse. Un Gruppo di portaerei di attacco, generalmente, potrebbe avere 500 celle di sistema per il lancio dei veicoli, e ciò significherebbe avere 250 Tomahawks a disposizione per l’operazione. (…)
L’opzione israeliana. La valutazione annuale dell’intelligence presentata allo Knesset israeliano il 21 luglio 2004 notava che il programma nucleare iraniano è la maggiore minaccia che si presenta a Israele (…).L’8 settembre 2004, Ariel Sharon ha affermato che la comunità internazionale non ha fatto abbastanza per impedire all’Iran di sviluppare un’arma nucleare, avvertendo che Israele prenderà provvedimenti autonomi per difendersi. Ha inoltre annunciato che alcuni funzionari iraniani hanno detto chiaramente che il loro obiettivo è distruggere lo stato ebraico. I piloti dell’aviazione israeliana hanno simulato attacchi a un modello in scala del reattore di Bushehr nel deserto del Negev. Nell’ottobre 2004, Ephraim Kam, il vice capo del Centro studi strategici Jaffee, ha dichiarato che «sarebbe un’operazione complessa. Per ostacolare o distruggere il programma atomico iraniano, bisognerebbe colpire almeno tre o quattro siti… Altrimenti il danno sarebbe troppo limitato, e ritarderebbe il programma non più di un anno o due, il che sarebbe peggio che non fare nulla». Shai Feldman, anche lui membro del Jaffee, ha affermato che «è ragionevole agire contro l’Iran anche se non è nota la posizione di ogni centrale, perché già solo distruggendo le centrali note, specialmente se esse comprendono gli impianti di arricchimento e ad acqua pesante, si produrrebbe una seria degradazione del potenziale iraniano».
L’aviazione israeliana ha ricevuto i primi due di 25 F-15I [I sta per Israel, non per Iran] Ra’am (Tuono), la versione israeliana dell’ F-15E Strike Eagle, nel gennaio 1998, e già all’inizio del 2004 disponeva di un inventario di 25 velivoli. Secondo l’aviazione israeliana, questo aereo ha una portata di 4.450 km, ovvero un raggio di combattimento di 2.225 km. Le consegne dell’F-16I Sufa (Tempesta) sono cominciate all’inizio del 2004. Questo velivolo altamente modificato, con grandi serbatoi per il combustibile conformi, ha un raggio di combattimento dichiarato di 2.100 km. Probabili obiettivi degli attacchi, come Bushehr o Esfahan si trovano a circa 1.500 km da Israele. (…) Il 21 settembre 2004, Israele ha ammesso che era in procinto di acquistare 500 bombe antibunker BLU-109, che potevano essere impiegate per distruggere le centrali nucleari iraniane. Le bombe, in grado di penetrare più di 1,5 metri di cemento armato, fanno parte di un pacchetto da 319 milioni di dollari di bombe lanciabili da aerei vendute a Israele dal programma di aiuti militari americano. La rivista tedesca Der Spiegel ha riferito, nell’ottobre 2004, che Israele aveva concluso dei piani per un attacco preventivo contro le centrali nucleari iraniane. Der Spiegel indicava che un’unità speciale del Mossad aveva ricevuto ordine nel luglio 2004 di preparare un piano dettagliato, che era stato consegnato alla Air Force israeliana. La fonte dell’articolo, un pilota Iaf, ha dichiarato che il piano per la distruzione dei siti nucleari iraniani era «complesso ma fattibile». Il piano di Israele indica che l’Iran possiede sei siti nucleari, tutti i quali sarebbero stati attaccati simultaneamente.
Sarebbe difficile per Israele attaccare l’Iran senza che lo sapessero gli Stati Uniti, al momento che la missione dovrebbe passare per lo spazio aereo americano [prima iracheno]. Anche se gli Stati Uniti non partecipassero attivamente alle operazioni entro lo spazio aereo iraniano, sarebbero un partecipante passivo, avendo permesso agli aerei israeliani di passare liberamente. Agli occhi del mondo, si tratterebbe di un’impresa congiunta Usa-Israele, malgrado qualunque affermazione del contrario. (…)
In un’intervista dell’8 settembre 2004 sul Jerusalem Post, (…) Ariel Sharon ha affermato che Israele avrebbe preso delle misure per difendersi dalla minaccia iraniana, ma non ha precisato quali. Anche se la centrale ad uranio di Natanz è stata interrata, rimane vulnerabile. Come ha notato il luogotenente colonnello Eric M. Sepp, «le centrali “cut-and-cover” vengono costruite scavando un buco, inserendo la centrale e ricoprendo il buco con terra e pietre. Queste centrali “cut-and-cover” possono trovarsi subito sotto la superficie del terreno o possono raggiungere una profondità di circa 30 metri, e rappresentano la grande maggioranza degli impianti sotterranei attuali. Nel caso delle centrali “cut-and-cover” attuali, è impensabile che le munizioni convenzionali possano distruggerle».
I rischi principali. L’opzione degli attacchi aerei presenta gli stessi problemi che presenterebbe in Corea del Nord, ovvero che l’Iran possiede una notevole capacità di difesa aerea che potrebbe complicare i piaci. Tuttavia, al contrario della Corea del Nord, l’Iran non è nelle condizioni di tenere in ostaggio soldati Usa o civili alleati. Una rappresaglia militare iraniana su vasta scala, benché possibile, è molto improbabile, specialmente vista la significativa presenza di forze Usa in Iraq. E’ possibile che l’Iran utilizzi i propri missili balistici per colpire obiettivi Usa o alleati nella regione del Golfo Persico, e in effetti alcuni funzionari iraniani hanno promesso esplicitamente di farlo.
Una grande incertezza riguardante la possibilità di disarmare un attacco preventivo all’infrastruttura nucleare iraniana riguarda la questione delle valutazioni americane e israeliane della propria fiducia nelle loro valutazioni della completezza della comprensione delle infrastrutture nucleari iraniane. Si ricorderà che quando gli Usa presero in considerazione la possibilità di colpire le infrastrutture nucleari cinesi nel 1964, prima del primo esperimento nucleare cinese, esistevano dei dubbi sulla completezza delle informazioni in mano agli Usa. In effetti, gli Usa si sorpresero quando la Cina fece esplodere una bomba all’uranio, poiché avevano sovrastimato il progresso del programma cinese del plutonio, ma avevano decisamente sottostimato il progresso del suo programma di arricchimento dell’uranio. (…)
Non si può escludere la possibilità che il complesso di armi nucleari visibili costituisca in parte o in tutto uno specchietto per le allodole. E’ possibile che l’Iran, come la Corea del Nord e al contrario del Pakistan, abbia seppellito capacità di produzione di armi nucleari che sono sfuggite al rilevamento, e che continuerebbero a funzionare anche se gli impianti visibili fossero stati distrutti. Vi sono voci insistenti che parlano di queste centrali, ma ci sono poche prove a sostegno di queste voci.
Un programma parallelo. Amrom Katz, un esperto analista del controllo delle armi, in servizio presso la Rand Corporation per diversi anni, ha affermato: «Non abbiamo mai trovato nulla che i sovietici abbiano nascosto con successo» (…). La questione, per i pianificatori degli attacchi, è scoprire quante centrali non rilevate sono state nascoste con successo in Iran.
La valutazione della probabilità dell’esistenza di un programma clandestino parallelo deve tenere conto delle probabili strategie iraniane per il completamento del loro impegno di acquisizione di armi. Questa questione non è stata davvero affrontata in letteratura, e il perché è un mistero. Insomma: tutto si sta rivelando come era stato previsto, oppure le cose hanno preso una direzione inaspettata? (…) L’Iran potrebbe aver compreso molto chiaramente fin dall’inizio che le sue centrali di superficie sarebbero state scoperte poco dopo l’inizio della costruzione. In effetti, l’impianto di conversione dell’uranio di Esfahan si trova in un sito che era stato selezionato per tale capacità all’inizio del programma nucleare dello Scià, negli anni 70, un fatto che deve aver reso quest’area un sito sospetto ben prima dell’inizio della costruzione vera a propria. Le attività di costruzione a Natanz e Arak sarebbero visibili anche in immagini di reti geografiche con risoluzione di 10 metri. (…) Quindi bisogna assumere che l’Iran abbia previsto la crisi che sarebbe sorta quando i suoi piani fossero divenuti chiari, e si è mosso di conseguenza.
1. L’Iran potrebbe aver ritenuto che gli Usa e Israele non avrebbero raggiunto la volontà politica di colpire un programma anche altamente visibile, e che un insieme di pressione diplomatica dall’Europa e di paura di rappresaglia iraniana avrebbe frenato gli americani e gli israeliani. Inoltre, l’Iran potrebbe aver ritenuto che altri Paesi sarebbero stati disposti a convivere con un Iran “quasi nucleare”, con un complesso di produzione di materiale fissile sotto la supervisione internazionale, che però si sarebbe potuto rapidamente convertire alla produzione di armi, se necessario. (…)
2. L’Iran potrebbe aver ritenuto fin dall’inizio che si sarebbe quasi certamente formato un certo insieme di Stati Uniti e Israele che avrebbe attuato un attacco per il disarmo altamente confidenziale. In tal caso, vi sarebbero state ragioni serie per “scavare in profondità” e sotterrare il programma sottraendolo agli sguardi. In queste circostanze, tuttavia, è difficile comprendere perché l’Iran si sarebbe preoccupato di costruire le centrali in superficie, sapendo che avrebbero creato una serie di problemi.
3. L’Iran potrebbe non essere stato in grado di risolvere questo problema, e potrebbe aver scelto di costruire programmi paralleli in superficie e sotto terra. Nel migliore dei casi, ciò avrebbe aumentato le sua capacità totali, e nel peggiore dei casi avrebbe fornito capacità per armi nucleari nonostante i tentativi di disarmare gli attacchi militari. Il programma in superficie avrebbe fornito prove convincenti della capacità dell’Iran di intraprendere la produzione su scala industriale necessaria per sviluppare un insieme credibile di decine di armi. Anche se le infrastrutture visibili fossero state distrutte, l’esistenza delle altre centrali sotterranee collocate in punti segreti avrebbe potuto essere comunicata in maniera credibile al resto del mondo. (…)
Tempistica. Poiché alcune delle centrali sono ancora in costruzione e non sono ancora attive, gli Stati Uniti potrebbero avere la possibilità di distruggere quelle postazioni senza provocare i problemi ambientali associati con la distruzione di un reattore nucleare attivo. Le possibilità di attaccare l’Iran per disarmarlo si sono cominciate a ristringere nel 2005. A quanto pare, l’impianto di conversione dell’uranio di Esfahan ha cominciato le sue attività nel 2005, così come l’impianto di produzione di acqua pesante di Arak. A meno di ulteriori ritardi, il combustibile per il reattore di Bushehr dovrebbe essere consegnato nel 2005, e le attività del reattore dovrebbero partire alcuni mesi dopo la consegna. Un significativo processo di arricchimento del’uranio potrebbe essere avviato a Natanz nel 2006, e già nel 2010 ad Arak potrebbe iniziare la produzione di plutonio. (…)
Il 13 gennaio 2005, il Jerusalem Post ha riferito che il capo dell’intelligence militare Maj.-Gen. Aharon Ze’evi (Farkash), ha annunciato all’uditorio dell’Università di Haifa che l’Iran sarà in grado di produrre il proprio uranio arricchito entro sei mesi, e che potrà produrre la sua prima bomba atomica fra il 2008 e il 2010.
Il 16 febbraio 2005, il ministro degli Esteri israeliano Silvan Shalom ha dichiarato che all’Iran mancavano solo sei mesi per avere le conoscenze necessarie per la costruzione di una bomba atomica.«Stanno cercando in ogni modo di produrre un’atomica», Shalom ha detto ai giornalisti durante un briefing a Londra. «E’ molto importante, perché la questione non è se gli iraniani svilupperanno la bomba atomica nel 2009, nel 2010 o nel 2011», ha dichiarato. «La vera domanda è: svilupperanno le conoscenze per farlo? Noi crediamo che entro sei mesi avranno concluso tutti i test e gli esperimenti che stanno eseguendo per ottenere quelle conoscenze».
Tratto da Global Security
Gli attacchi aerei americani sull’Iran avrebbero un’estensione enormemente superiore a quello sferrato nel 1981 da Israele contro la centrale nucleare Osiraq in Iraq, e somiglierebbe piuttosto alla campagna aerea del 2003 contro l’Iraq. Utilizzando la forza totale dei B-2 da bombardamento stealth operativi, partiti da Diego Garcia o provenienti direttamente dagli Stati Uniti, forse integrati da caccia stealth F-117 partiti da al Uleid in Qatar o da un’altra postazione sul teatro di guerra, verrebbero attaccati gli oltre venti siti nucleari sospetti. I pianificatori militari potrebbero modificare l’elenco degli obiettivi per adattarsi alle preferenze del governo, mantenendo un numero limitato di attacchi rivolti contro gli impianti più cruciali, con l’obiettivo di ritardare o ostacolare il programma iraniano; in alternativa, gli Stati Uniti potrebbero optare per una serie molto più estesa di attacchi rivolti contro un numeroso insieme di obiettivi legati alle armi di distruzione di massa, e contro le forze convenzionali e non-convenzionali che potrebbero essere utilizzate per contrattaccare le forza Usa in Iraq.
I mezzi americani. Molti aerei si trovano ancora nella regione che supporta le operazioni Enduring Freedon e Iraqi Freedom. Gli Stati Uniti avevano aerei posizionati in diversi punti dell’area del Golfo Persico, fra cui l’Iraq, il Kuwait, il Qatar, l’Oman, gli Emirati arabi e Diego Garcia. Nonostante il numero degli aerei presenti nella regione sia diminuito notevolmente dalla fine degli scontri principali in Iraq, gli Stati Uniti mantengono nella regione un certo numero di F-15E, F-16, velivoli marittimi, nonché un numero imprecisato di aerei pesanti da bombardamento. Le informazioni riguardanti il numero dei velivoli effettivamente presenti nell’area del Golfo Persico sono scarse, poiché al momento vi sono unità che rientrano negli Stati Uniti, e non è chiaro se si stiano inviando altre unità in sostituzione. A metà giugno 2003, nella regione non vi era più alcun aereo Awac, e gli aerei stealth erano da molto tempo ripartiti per gli Stati Uniti. Le insufficienti informazioni sui velivoli disponibili non consente di prevedere quanti aerei con capacità di “Joint Direct Attack Munition” fossero disponibili per gli attacchi, e quanti punti obiettivo potenziali ciò avrebbe fornito ai pianificatori della missione.
Il ridispiegamento delle forze Usa nell’area richiederebbe poco tempo, ma l’assenza di numeri significativi relativi a velivoli stealth, velivoli di allerta precoce, e altri asset al settembre 2004 era un possibile indice del fatto che gli Stati Uniti non stavano prendendo attivamente in considerazione l’ipotesi dell’attacco aereo. Gli Usa avevano messo a disposizione una serie di velivoli da bombardamento per l’attacco della Corea del Nord nella prima metà del 2003, e potrebbero avere programmi simili in previsione di un attacco contro l’Iran. Altrimenti, gli Usa potrebbero decidere di sfruttare l’effetto sorpresa, servendosi di velivoli pesanti da bombardamento arrivati direttamente dagli Stati Uniti. Dalla fine dei principali scontri in Iraq, gli Stati Uniti hanno generalmente mantenuto un gruppo di portaerei nella regione del Golfo Persico a sostegno di Iraqi Freedom. Potrebbero anche essere utilizzati missili cruise Tomahawk, dispiegati su incrociatori e sottomarini per colpire postazioni fisse. Un Gruppo di portaerei di attacco, generalmente, potrebbe avere 500 celle di sistema per il lancio dei veicoli, e ciò significherebbe avere 250 Tomahawks a disposizione per l’operazione. (…)
L’opzione israeliana. La valutazione annuale dell’intelligence presentata allo Knesset israeliano il 21 luglio 2004 notava che il programma nucleare iraniano è la maggiore minaccia che si presenta a Israele (…).L’8 settembre 2004, Ariel Sharon ha affermato che la comunità internazionale non ha fatto abbastanza per impedire all’Iran di sviluppare un’arma nucleare, avvertendo che Israele prenderà provvedimenti autonomi per difendersi. Ha inoltre annunciato che alcuni funzionari iraniani hanno detto chiaramente che il loro obiettivo è distruggere lo stato ebraico. I piloti dell’aviazione israeliana hanno simulato attacchi a un modello in scala del reattore di Bushehr nel deserto del Negev. Nell’ottobre 2004, Ephraim Kam, il vice capo del Centro studi strategici Jaffee, ha dichiarato che «sarebbe un’operazione complessa. Per ostacolare o distruggere il programma atomico iraniano, bisognerebbe colpire almeno tre o quattro siti… Altrimenti il danno sarebbe troppo limitato, e ritarderebbe il programma non più di un anno o due, il che sarebbe peggio che non fare nulla». Shai Feldman, anche lui membro del Jaffee, ha affermato che «è ragionevole agire contro l’Iran anche se non è nota la posizione di ogni centrale, perché già solo distruggendo le centrali note, specialmente se esse comprendono gli impianti di arricchimento e ad acqua pesante, si produrrebbe una seria degradazione del potenziale iraniano».
L’aviazione israeliana ha ricevuto i primi due di 25 F-15I [I sta per Israel, non per Iran] Ra’am (Tuono), la versione israeliana dell’ F-15E Strike Eagle, nel gennaio 1998, e già all’inizio del 2004 disponeva di un inventario di 25 velivoli. Secondo l’aviazione israeliana, questo aereo ha una portata di 4.450 km, ovvero un raggio di combattimento di 2.225 km. Le consegne dell’F-16I Sufa (Tempesta) sono cominciate all’inizio del 2004. Questo velivolo altamente modificato, con grandi serbatoi per il combustibile conformi, ha un raggio di combattimento dichiarato di 2.100 km. Probabili obiettivi degli attacchi, come Bushehr o Esfahan si trovano a circa 1.500 km da Israele. (…) Il 21 settembre 2004, Israele ha ammesso che era in procinto di acquistare 500 bombe antibunker BLU-109, che potevano essere impiegate per distruggere le centrali nucleari iraniane. Le bombe, in grado di penetrare più di 1,5 metri di cemento armato, fanno parte di un pacchetto da 319 milioni di dollari di bombe lanciabili da aerei vendute a Israele dal programma di aiuti militari americano. La rivista tedesca Der Spiegel ha riferito, nell’ottobre 2004, che Israele aveva concluso dei piani per un attacco preventivo contro le centrali nucleari iraniane. Der Spiegel indicava che un’unità speciale del Mossad aveva ricevuto ordine nel luglio 2004 di preparare un piano dettagliato, che era stato consegnato alla Air Force israeliana. La fonte dell’articolo, un pilota Iaf, ha dichiarato che il piano per la distruzione dei siti nucleari iraniani era «complesso ma fattibile». Il piano di Israele indica che l’Iran possiede sei siti nucleari, tutti i quali sarebbero stati attaccati simultaneamente.
Sarebbe difficile per Israele attaccare l’Iran senza che lo sapessero gli Stati Uniti, al momento che la missione dovrebbe passare per lo spazio aereo americano [prima iracheno]. Anche se gli Stati Uniti non partecipassero attivamente alle operazioni entro lo spazio aereo iraniano, sarebbero un partecipante passivo, avendo permesso agli aerei israeliani di passare liberamente. Agli occhi del mondo, si tratterebbe di un’impresa congiunta Usa-Israele, malgrado qualunque affermazione del contrario. (…)
In un’intervista dell’8 settembre 2004 sul Jerusalem Post, (…) Ariel Sharon ha affermato che Israele avrebbe preso delle misure per difendersi dalla minaccia iraniana, ma non ha precisato quali. Anche se la centrale ad uranio di Natanz è stata interrata, rimane vulnerabile. Come ha notato il luogotenente colonnello Eric M. Sepp, «le centrali “cut-and-cover” vengono costruite scavando un buco, inserendo la centrale e ricoprendo il buco con terra e pietre. Queste centrali “cut-and-cover” possono trovarsi subito sotto la superficie del terreno o possono raggiungere una profondità di circa 30 metri, e rappresentano la grande maggioranza degli impianti sotterranei attuali. Nel caso delle centrali “cut-and-cover” attuali, è impensabile che le munizioni convenzionali possano distruggerle».
I rischi principali. L’opzione degli attacchi aerei presenta gli stessi problemi che presenterebbe in Corea del Nord, ovvero che l’Iran possiede una notevole capacità di difesa aerea che potrebbe complicare i piaci. Tuttavia, al contrario della Corea del Nord, l’Iran non è nelle condizioni di tenere in ostaggio soldati Usa o civili alleati. Una rappresaglia militare iraniana su vasta scala, benché possibile, è molto improbabile, specialmente vista la significativa presenza di forze Usa in Iraq. E’ possibile che l’Iran utilizzi i propri missili balistici per colpire obiettivi Usa o alleati nella regione del Golfo Persico, e in effetti alcuni funzionari iraniani hanno promesso esplicitamente di farlo.
Una grande incertezza riguardante la possibilità di disarmare un attacco preventivo all’infrastruttura nucleare iraniana riguarda la questione delle valutazioni americane e israeliane della propria fiducia nelle loro valutazioni della completezza della comprensione delle infrastrutture nucleari iraniane. Si ricorderà che quando gli Usa presero in considerazione la possibilità di colpire le infrastrutture nucleari cinesi nel 1964, prima del primo esperimento nucleare cinese, esistevano dei dubbi sulla completezza delle informazioni in mano agli Usa. In effetti, gli Usa si sorpresero quando la Cina fece esplodere una bomba all’uranio, poiché avevano sovrastimato il progresso del programma cinese del plutonio, ma avevano decisamente sottostimato il progresso del suo programma di arricchimento dell’uranio. (…)
Non si può escludere la possibilità che il complesso di armi nucleari visibili costituisca in parte o in tutto uno specchietto per le allodole. E’ possibile che l’Iran, come la Corea del Nord e al contrario del Pakistan, abbia seppellito capacità di produzione di armi nucleari che sono sfuggite al rilevamento, e che continuerebbero a funzionare anche se gli impianti visibili fossero stati distrutti. Vi sono voci insistenti che parlano di queste centrali, ma ci sono poche prove a sostegno di queste voci.
Un programma parallelo. Amrom Katz, un esperto analista del controllo delle armi, in servizio presso la Rand Corporation per diversi anni, ha affermato: «Non abbiamo mai trovato nulla che i sovietici abbiano nascosto con successo» (…). La questione, per i pianificatori degli attacchi, è scoprire quante centrali non rilevate sono state nascoste con successo in Iran.
La valutazione della probabilità dell’esistenza di un programma clandestino parallelo deve tenere conto delle probabili strategie iraniane per il completamento del loro impegno di acquisizione di armi. Questa questione non è stata davvero affrontata in letteratura, e il perché è un mistero. Insomma: tutto si sta rivelando come era stato previsto, oppure le cose hanno preso una direzione inaspettata? (…) L’Iran potrebbe aver compreso molto chiaramente fin dall’inizio che le sue centrali di superficie sarebbero state scoperte poco dopo l’inizio della costruzione. In effetti, l’impianto di conversione dell’uranio di Esfahan si trova in un sito che era stato selezionato per tale capacità all’inizio del programma nucleare dello Scià, negli anni 70, un fatto che deve aver reso quest’area un sito sospetto ben prima dell’inizio della costruzione vera a propria. Le attività di costruzione a Natanz e Arak sarebbero visibili anche in immagini di reti geografiche con risoluzione di 10 metri. (…) Quindi bisogna assumere che l’Iran abbia previsto la crisi che sarebbe sorta quando i suoi piani fossero divenuti chiari, e si è mosso di conseguenza.
1. L’Iran potrebbe aver ritenuto che gli Usa e Israele non avrebbero raggiunto la volontà politica di colpire un programma anche altamente visibile, e che un insieme di pressione diplomatica dall’Europa e di paura di rappresaglia iraniana avrebbe frenato gli americani e gli israeliani. Inoltre, l’Iran potrebbe aver ritenuto che altri Paesi sarebbero stati disposti a convivere con un Iran “quasi nucleare”, con un complesso di produzione di materiale fissile sotto la supervisione internazionale, che però si sarebbe potuto rapidamente convertire alla produzione di armi, se necessario. (…)
2. L’Iran potrebbe aver ritenuto fin dall’inizio che si sarebbe quasi certamente formato un certo insieme di Stati Uniti e Israele che avrebbe attuato un attacco per il disarmo altamente confidenziale. In tal caso, vi sarebbero state ragioni serie per “scavare in profondità” e sotterrare il programma sottraendolo agli sguardi. In queste circostanze, tuttavia, è difficile comprendere perché l’Iran si sarebbe preoccupato di costruire le centrali in superficie, sapendo che avrebbero creato una serie di problemi.
3. L’Iran potrebbe non essere stato in grado di risolvere questo problema, e potrebbe aver scelto di costruire programmi paralleli in superficie e sotto terra. Nel migliore dei casi, ciò avrebbe aumentato le sua capacità totali, e nel peggiore dei casi avrebbe fornito capacità per armi nucleari nonostante i tentativi di disarmare gli attacchi militari. Il programma in superficie avrebbe fornito prove convincenti della capacità dell’Iran di intraprendere la produzione su scala industriale necessaria per sviluppare un insieme credibile di decine di armi. Anche se le infrastrutture visibili fossero state distrutte, l’esistenza delle altre centrali sotterranee collocate in punti segreti avrebbe potuto essere comunicata in maniera credibile al resto del mondo. (…)
Tempistica. Poiché alcune delle centrali sono ancora in costruzione e non sono ancora attive, gli Stati Uniti potrebbero avere la possibilità di distruggere quelle postazioni senza provocare i problemi ambientali associati con la distruzione di un reattore nucleare attivo. Le possibilità di attaccare l’Iran per disarmarlo si sono cominciate a ristringere nel 2005. A quanto pare, l’impianto di conversione dell’uranio di Esfahan ha cominciato le sue attività nel 2005, così come l’impianto di produzione di acqua pesante di Arak. A meno di ulteriori ritardi, il combustibile per il reattore di Bushehr dovrebbe essere consegnato nel 2005, e le attività del reattore dovrebbero partire alcuni mesi dopo la consegna. Un significativo processo di arricchimento del’uranio potrebbe essere avviato a Natanz nel 2006, e già nel 2010 ad Arak potrebbe iniziare la produzione di plutonio. (…)
Il 13 gennaio 2005, il Jerusalem Post ha riferito che il capo dell’intelligence militare Maj.-Gen. Aharon Ze’evi (Farkash), ha annunciato all’uditorio dell’Università di Haifa che l’Iran sarà in grado di produrre il proprio uranio arricchito entro sei mesi, e che potrà produrre la sua prima bomba atomica fra il 2008 e il 2010.
Il 16 febbraio 2005, il ministro degli Esteri israeliano Silvan Shalom ha dichiarato che all’Iran mancavano solo sei mesi per avere le conoscenze necessarie per la costruzione di una bomba atomica.«Stanno cercando in ogni modo di produrre un’atomica», Shalom ha detto ai giornalisti durante un briefing a Londra. «E’ molto importante, perché la questione non è se gli iraniani svilupperanno la bomba atomica nel 2009, nel 2010 o nel 2011», ha dichiarato. «La vera domanda è: svilupperanno le conoscenze per farlo? Noi crediamo che entro sei mesi avranno concluso tutti i test e gli esperimenti che stanno eseguendo per ottenere quelle conoscenze».
Tratto da Global Security