da "La Stampa" di oggi, di M. Molinari
Zacarias Moussaui avrebbe dovuto far parte di una seconda ondata di attacchi kamikaze contro gli Stati Uniti, affidata questa volta a militanti di Al Qaeda di origine europea. La rivelazione è contenuta nel documento ottenuto da Le Monde, che pubbichiamo in questa pagina, contenente la ricostruzione della preparazione degli attacchi dell’11 settembre 2001 fatta dal loro ideatore, Khaled Sheik Mohammed. Nato fra il 1964 ed il 1965 nel Beluchistan pakistano, cresciuto in Kuwait e con alle spalle un periodo di studio in un ateneo battista della North Carolina, Khaled Sheik Mohammed è l’uomo che suggerisce ad Osama bin Laden l’idea degli aerei-missile per colpire al cuore gli Stati Uniti e che poi si occuperà della gestione del piano affidato ad un commando guidato dall’egiziano Mohammed Atta.
Da quando è stato catturato dagli americani con un blitz a Rawalpindi, in Pakistan, nel marzo 2003 di lui si sono perse le tracce. Il Pentagono ammette di averlo sotto il proprio controllo, ma il luogo dove è detenuto è top secret: si è parlato di una nave da guerra costantemente in navigazione, di un prigione segreta della Cia in Afghanistan o di una base militare in Asia Centrale mentre viene ritenuto improbabile che possa trovarsi a Guantanamo perché ciò gli consentirebbe una qualche forma di contatto con altri militanti di Al Qaeda.
Il rapporto del Congresso sull’11 settembre ha indicato in lui il «regista degli attacchi», chiamandolo semplicemente con le iniziali «KSM» dell’unico nome vero fra i 27 da lui adoperati in una vita dedicata a organizzare atti terroristici, incluso l’attentato contro la discoteca di Bali del 2002 che fece oltre cento vittime e l’assassinio di Daniel Pearl, il giornalista americano del Wall Street Journal che venne sequestrato in Pakistan e poi sgozzato di fronte ad una telecamera dopo essere stato obbligato a dire «sono un ebreo».
Il regime di segretezza che circonda la detenzione di Khaled Sheik Mohammed impedisce di sapere come questa ricostruzione dell’11 settembre sia stata ottenuta durante gli interrogatori – nel 2004 si parlò dell’uso di particolari farmaci per indebolire le resistenze – ma ciò che ne emerge conferma ed arricchisce quanto contenuto nel rapporto del Congresso: fra lui ed Osama vi furono numerosi disaccordi. In un primo momento KSM voleva far coincidere l’attacco agli Usa con l’esplosione di aerei commerciali sui cieli dell’Estremo Oriente, ma Osama ritenne «difficile coordinare» un piano su due Continenti. Quando poi Bin Laden diede luce verde chiese di colpire la Casa Bianca, il Pentagono e il Congresso in alcune date precise: il 12 maggio 2001, ovvero sei mesi esatti dopo l’attacco alla nave Uss Cole in Yemen, o nel luglio 2001, in coincidenza con il viaggio a Washington dell’allora premier israeliano Ariel Sharon. Ma in entrambe le occasioni fu KSM a imporre di ritardare i tempi, al fine di consentire a Mohammed Atta di non commettere errori nella preparazione dell’11 settembre. Che avrebbe dovuto essere – e su questo Sheik Mohamed e Osama erano d’accordo – solo la prima ondata di attacchi. Per questo venne affidata a kamikaze solo di origine araba. Il «secondo colpo» avrebbe dovuto essere messo a segno da kamikaze europei, come il franco-marocchino Moussaui e l’anglomusulmano Richard Reid. Il memoriale è stato acquisito agli atti del processo che sta per concludersi ad Alexandria, in Virginia, contro Moussaui che ha raccontato in aula un dettaglio a cui KSM però non fa riferimento: l’11 settembre avrebbe dovuto pilotare un quinto aereo contro la Casa Bianca.
Di seguito, il documento:
Khaled Sheik Mohammed andò in Afghanistan nel 1996 per convincere Bin Laden a dargli soldi e uomini per dirottare una decina di aerei negli Stati Uniti e farli precipitare su obiettivi militari e civili, cinque sulla costa Ovest, cinque sulla costa Est. All’inizio Bin Laden si mostrò dubbioso sulla realizzabilità del progetto. Qualche tempo dopo, però, nel marzo 1999 ha cambiato idea ed ha convocato Khaled Sheik Mohammed a Kandahar in Afghanistan per dirgli che il suo progetto si poteva realizzare e che aveva il sostegno di Al Qaeda. Bin Laden gli propose anche quattro persone pronte a un’operazione suicida: Walid Mohammed Saleh Ba’Attash (alias Khallad), Abu Bara Al Yamani, Khaled Al-Mindar e Nawaf Al-Hamzi. Khaled stimava che ci sarebbero voluti due anni per mettere a punto il progetto e realizzarlo
Dalla metà del 1999 Midhar e Al-Hamzi, che già avevano visti per gli Stati Uniti, erano stati designati per partecipare direttamente all’operazione. I kamikaze avrebbero dovuto dirottare aerei di compagnie americane che facevano servizio su voli attraverso il Pacifico e li avrebbero fatti esplodere in volo invece di dirigerli su obbiettivi a terra. A metà ‘99 anche Ba’Attash e Abou Bara erano stati destinati all’operazione A quel punto, il progetto era di far esplodere contemporaneamente gli aerei, al suolo o in volo, negli Usa e nel Sud Asiatico in modo da ottimizzare l’effetto psicologico. Ma verso aprile o maggio del 2000 Osama bin Laden decise di annullare la parte asiatica dell’operazione: infatti sarebbe stato troppo difficile sincronizzare gli attentati.
SEMPLICITA’ VINCENTE
Khaled ha dichiarato di essersi sentito molto felice quando Bin Laden gli affidò la regia dell’operazione perché era stato lui stesso a suggerire il progetto, fin dal 1996, a Tora Bora, subito dopo la sua partenza dal Sudan. Khaled pensava che l’operazione sarebbe stata facilmente realizzabile. E fu in quel momento che suggerì di inviare dei mujaheddin ai corsi di pilotaggio in modo che fossero in grado di pilotare dei grandi aerei, dei «Boeing 707-400» e non dei piccoli aerei. Khaled pensava che la semplicità sarebbe stata la chiave del successo. Khaled non amava ricorrere a codici nei messaggi o nelle «mail» che si scambiava con gli altri. Chiedeva ai suoi uomini di tenere un comportamento assolutamente normale, negli scambi di lettere e messaggi dovevano avere un tono educativo, sociale o commerciale e di usare poco il telefono, solo per brevissime conversazioni. Khaled diede ad Atta tutta l’autorità necessaria perché i suoi contatti con lui stesso e con gli altri fosse ridotta al minimo indispensabile. Khaled proibì a tutti di contattare il Pakistan per qualsiasi ragione. Si arrivò persino a cancellare dai passaporti di tutti timbri e visti pakistani.
Khaled ha raccontato che l’obiettivo degli attentati contro le Torri gemelle era di «svegliare il popolo americano». Khaled ha spiegato che se l’obiettivo fosse stato soltanto militare o governativo, il popolo americano non avrebbe preso coscienza delle atrocità che gli Stati Uniti commettono sostenendo Israele contro i palestinesi, né del carattere egoista della politica estera americana che corrompe i governi arabi e favorisce lo sfruttamento dei popoli arabi e musulmani.
Già nel 1998, nel corso della prima riunione operativa, Bin Laden espresse il desiderio di colpire simultaneamente il Pentagono, la Casa Bianca e il Campidoglio. Quando Atta fu designato come uno dei futuri esecutori degli attentati, Bin Laden organizzò una nuova riunione a Kandahar per decidere quali obbiettivi andavano colpiti. L’idea era di concentrarsi su tre obbiettivi soltanto: uno militare, uno politico, uno economico. Khaled aveva varie proposte, decine di obbiettivi furono esaminati, si parlò del World Trade Center, una centrale nucleare, l’Empire State Building, un’ambasciata straniera a Washington, le sedi della Cia e dell’Fbi. Il gruppo pensava che sarebbe stato bene anche colpire un luogo dove vi fosse un’altra concentrazione di ebrei. Ma nessun obiettivo concreto fu indicato. Khaled era però certo che non sarebbe stato difficile: i grandi edifici erano totalmente vulnerabili ad attacchi aerei.
«UOMO DI VALORE»
Atta fece dunque una lista di obbiettivi preliminari. Bin Laden voleva che fossero colpite le due torri del WTC, il Pentagono e il Campidoglio e lasciava ad Atta la scelta di altri obbiettivi come la Casa Bianca, la torre Sears (a Chicago) e un’ambasciata straniera a Washington. Atta utilizzò un programma informatico per localizzare una centrale nucleare in Pennsylvania.
I dettagli dell’operazione 11 settembre sono stati strettamente compartimentati e soltanto Khaled, Bin Laden, Mohammed Atef e alcuni membri dei futuri commandos erano al corrente degli obiettivi precisi, del calendario, delle identità dei partecipanti e del modello operativo degli attacchi. Numerosi alti responsabili e semplici quadri di Al Qaeda sapevano che Khaled preparava la partenza di uomini per gli Stati Uniti, ma nessuno conosceva gli obiettivi precisi né il metodo previsto per gli attacchi.
A un certo stadio dell’allenamento di Atta, Bin Laden decise che lui sarebbe stato l’«emiro» dei kamikaze negli Stati Uniti, con Al-Hamzi come vice. Khaled afferma di non aver avuto alcun ruolo nella designazione di Atta come «emiro». Khaled dice di conservare di Atta il ricordo di un uomo di valore. Atta s’era molto ambientato nello vita occidentale, lavorava duro e imparava in fretta.
Nessun altro membro di Al Qaeda ha partecipato alla scelta degli obiettivi né alla decisione di compiere attentati con aerei. Tutti gli altri furono messi al corrente del progetto soltanto nel momento in cui furono personalmente implicati, ciascuno nel suo ruolo, al complotto. Così i piloti che appresero i dettagli dell’operazione soltanto dopo aver dato il loro consenso.
La decisione finale di colpire questo o quell’obbiettivo fu lasciata ai piloti. La divisione finale degli obbiettivi fu fatta da Atta, Shehi, Hanjour, Jarrah e Hamzi. E fu solo allora che gli altri membri dei commandos furono informati del piano operativo complessivo.
Alla fine di agosto, quando gli ultimi dettagli dell’operazione erano stati fissati, Bin Laden annunciò al consiglio della «shura» di Al Qaeda che un grande attacco contro non precisati interessi americani avrebbe avuto luogo nel settimane successive, senza dare altri dettagli.
Durante l’estate Bin Laden fece alcune allusioni vaghe a un attacco imminente il che aveva suscitato voci e pettegolezzi nella comunità jihadista mondiale. Durante un discorso pronunciato al campo di addestramento Al-Faruq chiese alle giovani reclute di pregare per il successo di un’operazione importante nella quale sarebbero stati impiegati venti martiri. Khaled si preoccupò per questa mancanza di discrezione e pregò Bin Laden di non parlare più pubblicamente dell’operazione.
Per tre volte Khaled rifiutò di cedere all’insistenza di Bin Laden che voleva anticipare l’operazione. La prima volta fu nella primavera 2000, poco dopo l’arrivo di Atta e degli altri piloti negli Stati Uniti. Poi nel corso della primavera 2001, Bin Laden insistette nuovamente a due riprese con Khaled per anticipare ancora. Bin Laden voleva che gli attentati avessero luogo il 6 maggio 2001, sette mesi esatti dopo l’attentato contro la petroliera americana USS Cole nello Yemen. La seconda volta nel giugno o luglio 2001 perché aveva saputo che il primo ministro israeliano Ariel Sharon doveva andare in quei giorni alla Casa Bianca. In tutte e due le circostanze Khaled riuscì a convincere Bin Laden che gli equipaggi non erano pronti.
LA SECONDA ONDATA
Khaled dice che Moussaoui era stato reclutato per prendere parte a una seconda ondata di attentati previsti subito dopo l’11 settembre. Per questa seconda ondata era stato previsto di utilizzare uomini di origine europea o est-asiatica perché Khaled pensava che avrebbero potuto muoversi più agevolmente nel contesto delle prevedibili misure di sicurezza che sarebbero state attuate negli Stati Uniti dopo i primi attentati, nel quale erano invece impiegati uomini originari del Medio Oriente. È per questa ragione che Moussaoui, cittadino francese, era stato destinato alla seconda ondata di attentati. Khaled precisa che la seconda ondata di attentati non era ancora stata pianificata con esattezza né erano stati decisi tutti i dettagli. Khaled non aveva previsto che gli effetti della prima ondata sarebbero stati così catastrofici e che dunque la reazione degli Stati Uniti sarebbe stata così violenta che la preparazione della seconda fase dovette essere messa in attesa.
Khaled sostiene che da un punto di vista operativo questi attentati riescono bene se si riesce a mantenere le informazioni in un circolo molto stretto: quando quattro persone conoscono i dettagli di un’operazione è pericoloso; quando li conoscono in due è bene; quando li conosce uno solo è meglio. Il fatto che Moussaoui non conoscesse l’obiettivo della sua missione né l’identità dei suoi compagni ha dato a tutta l’operazione 11 settembre un evidente vantaggio operativo.
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