da Il Foglio di oggi
Gerusalemme. Il governo palestinese di Hamas deve raccogliere un miliardo di dollari per far funzionare al minimo l’economia dei Territori. Il fronte fondamentalista dei donatori si sta mobilitando. Il finanziamento delle casse dell’Anp – che sinora è stato garantito dagli Stati Uniti, da Israele e dall’Unione europea – verrà a mancare nei prossimi mesi dal momento che il gruppo islamico si rifiuta di ottemperare alle due condizioni poste: riconoscimento dello stato di Israele e disarmo della milizia armata.
Le manifestazioni anitioccidentali e anticristiane di questi giorni che scuotono i paesi musulmani, la crisi politica interna a un regime apparentemente solido come quello libico, l’appoggio internazionale riscontrato nel mondo islamico dimostrano ai dirigenti fondamentalisti palestinesi di godere di un ampio fronte di copertura – che potrebbe valere una colletta annua di un miliardo di dollari – anche per le politiche più aggressive. Si stanno muovendo in questa direzione l’Iran – l’ayatollah Ali Khamenei ha pubblicamente esortato Hamas a proseguire nella sua linea oltranzista contro l’“Entità sionista” e il presidente, Mahmoud Ahmadinejad, ha confermato la volontà di rendere Teheran il punto di riferimento per Hamas – l’Arabia Saudita, gli Emirati e la potente organizzazione dei Fratelli musulmani, che ieri ha annunciato la campagna per raccogliere soldi per Hamas. La Lega araba ci sta pensando, il primo incontro è fallito, ma “per motivi finanziari”, ha detto il segretario generale Amr Moussa, non politici. E’ un fronte composto da nazioni e forze che non hanno mai riconosciuto il diritto di Israele a vivere, che hanno finanziato negli ultimi anni il terrorismo e costruito un welfare per le famiglie dei kamikaze palestinesi. Non è un caso che finora sia Lega araba sia Fratelli musulmani si siano ben guardati dal finanziare Abu Mazen e l’Anp, e invece, nelle ultime settimane, stiano preparando fondi ad hoc per il governo che ieri ha cominciato a formarsi a Ramallah. Il fronte comprende anche l’Arabia Saudita, tradizionalmente alleata degli Stati Uniti: la contraddizione è grave, l’Amministrazione americana è costretta a prenderla di petto, a iniziare dalla visita di Condoleezza Rice oggi a Riad.
Chi governa i cordoni della borsa può controllare anche le direttrici della politica dell’Anp, ma non c’è da aspettarsi che un fronte in cui emerge l’egemonia politica e strategica, negazionista e antioccidentale di Ahmadinejad e dei Fratelli musulmani possa agire nel senso della stabilizzazione, sia in Palestina sia in tutto il medio oriente.
Soprattutto dopo che Fidel Castro ha offerto a questo nuovo “asse per il jihad” – composto da Iran, Siria, Hezbollah e Hamas – la sponda del movimento dei “non allineati”, in grado di fare blocco in tutte le istanze internazionali, Onu inclusa, e di allettare – grazie al petrolio venezuelano e iraniano – anche la Cina. Il fronte dei paesi donatori di Hamas è egemonizzato dalla Teheran negazionista, che ha sempre finanziato Hamas e che ha anche fornito armamenti in quantità, come nel caso della nave Karine A, intercettata nel gennaio 2002 dalla flotta israeliana con un carico di armi iraniane dirette in Palestina. Il regime dei mullah riesce a eliminare le differenze, i nazionalismi, gli interessi specifici, riunificando la “umma” e mettendosene alla guida.
Il dilemma diabolico
Israele, Stati Uniti ed Europa sono di fronte a un dilemma diabolico: finanziare Hamas, che non riconosce Israele e offre soltanto tregue ipocrite, significherebbe assegnarle la vittoria più piena e rimandare il suo assalto distruttivo all’“entità sionista” di qualche anno. Non finanziarla significa gettarla nelle braccia di un fronte antioccidentale. L’unica soluzione sarebbe imporre ad Arabia Saudita, Emirati e Lega araba un immediato riconoscimento di Israele, senza condizioni (saggia proposta che Habib Bourghiba fece già nel 1965, inascoltato e boicottato). In quel caso il fronte negazionista si spaccherebbe e Hamas seguirebbe probabilmente la stessa sorte, dividendosi tra una sua ala jihadista e una sua eventuale componente più moderata legata alla politica saudita e degli Emirati. Lo spazio per una pressione in questo senso è consistente. Washington prova a muoversi, come dimostrano le discussioni in corso per un eventuale ingresso d’Israele nella Nato, che farebbe di Gerusalemme un caposaldo rivendicato dell’occidente, obbligherebbe Arabia Saudita ed Emirati a correggere il tiro e farebbe comprendere a Teheran, Damasco, Beirut e Gaza che la difesa d’Israele è prioritaria.
A pagina 3 troviamo l’editoriale "La grande colletta per Hamas":
La grande colletta per Hamas è iniziata. Tutti in fila a raccogliere soldi per il gruppo terrorista che si appresta a formare il governo palestinese. Stavolta dei fratelli arabi (e no) ci sono proprio tutti: Arabia Saudita, Egitto, Giordania, la Lega araba al gran completo, i Fratelli musulmani, ovviamente, l’Iran negazionista, naturalmente, l’Organizzazione della conferenza islamica a guida turca, perfino la Russia offre una sponda e una casa, il Cremlino, per dialogare, dialogare, dialogare. La umma soprattutto si ritrova compatta – del resto è fatta quasi per intero da paesi che come Hamas non riconoscono Israele – nella voglia di aiutare, cioè finanziare e dunque controllare il nascente esecutivo palestinese d’ispirazione integralista e armata. Strano che tutta questa gran colletta non ci sia stata nel recente passato per Abu Mazen. E’ come se finanziare un popolo, quello palestinese, non fosse allora importante come lo è ora, ora che una parte della comunità internazionale non vuole riversarse fondi nelle tasche di Hamas, ma cerca modi per contribuire alla sopravvivenza di un popolo, appunto. Per aiutare il rais palestinese in campagna elettorale erano dovuti intervenire i satanici Stati Uniti. Era stato Israele a dover fare quel che poteva per dare una mano al presidente della road map contro il gruppo che non riconosce Oslo e quindi neppure la stessa Autorità nazionale palestinese di cui si accinge a reggere il potere esecutivo. Gli aiuti all’Anp sono sempre giunti più dall’Europa che dai fratelli arabi. Qui è il punto. L’Europa in passato non ha sbagliato a finanziare, ma ha sbagliato nel non controllare l’utilizzo dei fondi e nel non influenzare, con pressioni diplomatiche, le politiche dell’Olp arafattiana fino al “no” di Camp David.
Khaled Meshaal, capo di Hamas a Damasco, ha già detto che il processo di pace è una perdita di tempo e che l’Iran avrà un ruolo sempre più importante nel futuro della Palestina. Perché finanziare è controllare. Però questo lo sanno anche gli Stati Uniti e Israele. Il premier di Gerusalemme, Ehud Olmert, sospendendo, o minacciando di farlo, i finanziamenti all’Anp sta dando ancora una volta una carta in più ad Abu Mazen nella trattativa con Hamas per la formazione del governo. Ma certo quando si parla di denari e di poteri la morale non aiuta, il senso della politica sì. Dunque Stati Uniti e Israele non staranno certo a guardare mentre la gran colletta della umma si compra il sostegno della Palestina.