di P. Buongiorno
I viaggi del leader di Hamas in Iran e Siria. L’infiltrazione di terroristi di Al Qaeda in Libano. La mobilitazione delle milizie di Hezbollah… I puri e duri di Gaza sono solo l’ultima marionetta di uno sconcertante teatro dei pupi. A uso e consumo degli ayatollah di Teheran.
All’inizio di dicembre è stato ospite a Teheran per 10 giorni fin quando non è stato ricevuto dalla guida spirituale Ali Khamenei, che lo ha esortato a continuare la «resistenza contro il nemico sionista». Poi, con un aereo militare, è volato a Bandar Abbas, al quartier generale dei guardiani della rivoluzione (pasdaran). Infine, il 20 gennaio scorso, ha ottenuto un faccia a faccia a Damasco con il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad per coagulare tutti i gruppi radicali (Jihad islamica palestinese e Fronte popolare per la liberazione della Palestina di Ahmad Jibril) in un rinnovato Fronte della resistenza contro Israele. Non c’è dubbio: Khaled Mashaal, 50 anni, leader politico e militare di Hamas, ha preparato meticolosamente, con la regia degli ayatollah, il dopo-elezioni prevedendo la vittoria della sua organizzazione terroristica nelle elezioni parlamentari palestinesi del 25 gennaio.
Gli spostamenti in Iran e gli incontri in Siria sono stati seguiti con grande attenzione non solo dal Mossad, ma da altri agenti segreti che hanno compilato un dossier di una ventina di pagine finito sulle scrivanie di alcuni governi della Nato. Ecco perché, da Roma a Bruxelles, da Londra a Berlino, il trionfo di Hamas è stato accolto con la formula concordata della «grande preoccupazione». Preoccupazione perché il destino del popolo palestinese non è più deciso a Ramallah, ma a Teheran con un’appendice a Damasco. Meglio: la questione palestinese è entrata a far parte di un complesso baratto che l’Iran, ma anche la Siria, ha intenzione di utilizzare per evitare le sanzioni economiche e politiche della comunità internazionale.
A Davos, sabato 28 gennaio, nel corso di un dibattito del World economic forum dedicato alla questione nucleare iraniana, Mahmoud Sariolghalam, che insegna relazioni internazionali all’Università nazionale di Teheran, è stato chiaro: «Hamas, Hezbollah in Libano, gli sciiti in Iraq, alcuni signori della guerra in Afghanistan e il petrolio sono tutti strumenti di trattativa in mano ai dirigenti della repubblica islamica di fronte alle pressioni degli Stati Uniti e dell’Unione Europea per abbandonare i programmi di arricchimento dell’uranio».
Chiamarlo ricatto è anche poco. L’obiettivo ultimo, ha spiegato a «Panorama» un diplomatico arabo presente a Davos, «è l’espansione dell’Islam politico». Né più né meno del sogno «panjihadista» di Osama Bin Laden. Non è un caso che il leader di Al Qaeda, ristrutturando l’anno scorso orizzontalmente la sua holding del terrore, ha creato un «comitato speciale di raccordo» con le altre organizzazioni dedite alla guerra santa, senza badare a distinzioni fra sunniti e sciiti.
Quel che resta ancora da accertare è se il panjihadismo di Bin Laden sia coordinato con Teheran o se cammini parallelamente ai progetti di Khamenei e Mahmoud Ahmadinejad. Sta di fatto che alcuni terroristi di Al Qaeda sono stati infiltrati nei mesi scorsi in Libano, mentre le milizie di Hezbollah sono state messe quasi contemporaneamente in stato di allerta per preparare attentati contro Israele. E anche operazioni militari a Beirut ovest nel caso in cui le indagini delle Nazioni Unite sull’omicidio dell’ex premier Rafiq Hariri dovessero concludersi con la messa in stato di accusa del presidente siriano Bashar Assad. In Iraq gli agenti iraniani manovrano l’esercito del Mahdi del leader radicale Muqtada al-Sadr e si accingono a lanciare attacchi contro le truppe straniere.
Nella zona di Herat, in Afghanistan, alcune cellule di pasdaran sono state infiltrate per dare sostegno alla guerriglia di Gulbuddin Hekmatyar, un signore della guerra afghano per anni rifugiato a Teheran. Hamas è solo l’ultima marionetta di questo sconcertante teatro dei pupi a uso e consumo degli ayatollah. Come in tutte le recite messe in scena a Teheran c’è sempre una doppia raffigurazione.
C’è, per esempio, come «Panorama» è in grado di rivelare, la proposta fatta pervenire dai leader di Hamas all’amministrazione americana e al governo israeliano, tramite il ministro degli Esteri del Qatar Hamad al-Thani, di voler proseguire le trattative politiche con Gerusalemme sul presupposto di un «riconoscimento di fatto» d’Israele con l’esclusione di una qualsiasi dichiarazione ufficiale. Ma c’è anche il volto feroce dei capi militari del Fronte della resistenza, pronti ad azionare in qualsiasi momento i kamikaze per imporre i loro diktat.