I media accusano Parigi di errori nella gestione dell’immigrazione e debolezza con l’Islam (La Stampa, 7-11-05)
di M. Molinari, da http://www.mauriziomolinari.org/it/article_view.asp?IDarticles=150
«Intifada in Francia». E’ questa l’espressione con cui giornali, tv ed analisti negli Stati Uniti descrivono quanto sta avvenendo nelle periferie delle maggiori città transalpine. «Se il presidente Jacques Chirac aveva pensato di ottenere la pace dalla comunità musulmana francese in cambio delle scelte fatte contro la guerra in Iraq e coccolando Yasser Arafat fino alla sua morte certamente ha fatto male i conti», scrive in un editoriale il «New York Sun», secondo il quale «questa Intifada nasce dal fatto che la Francia ha fallito nell’integrare gli immigrati».
Anche il «Wall Street Journal» in un editoriale intitolato «Les Miserables» punta l’indice sul fallimento dell’immigrazione: «Il vecchio modello di assimilazione che ha trasformato generazioni di armeni e polacchi in francesi non funziona con i musulmani». E il «New York Times» aggiunge: «Il processo di nazionalizzazione degli immigrati è stato troppo lento e gli algerini arrivati dopo un’aspra guerra di indipendenza sono diventati francesi controvoglia». «Il problema è che la legge francese non riconosce le minoranze», puntualizza il magazine «Time» in una lunga analisi intitolata «Perché Parigi brucia».
Quasi unanime è l’opinione che il nodo di fondo è la questione islamica in Europa. «Problemi simili a quelli francesi li stanno vivendo Germania, Olanda, Gran Bretagna e Spagna – continua l’editoriale del "Wall Street Journal" – e non a caso si tratta di nazioni che hanno esportato o sofferto il terrorismo islamico negli ultimi cinque anni». Per il «Chicago Sunday Times» siamo all’inizio di una «guerra civile in Euroarabia, iniziata prima del previsto ristetto a quanto si pensava e fomentata da un’identità musulmana radicale ancora più implacabile di quelle che si trovano in Medio Oriente». E’ frequente il rimprovero alle autorità francesi di ricorrere ad artifici lessicali per non ammettere quanto sta avvenendo sul loro territorio: «A Parigi usano eufemismi come "quartieri sensibili" per indicare zone dove abitano quasi esclusivamente arabi ed africani e dove da tempo fiorisce il crimine come anche una sotto-economia basata sulla droga in mano alle gang – è la tesi di Olivier Guetta, analista di questioni europee sul "Weekly Standard" – la Francia non aprì gli occhi neanche nel 2004 quando vennero commessi 970 antisemiti in appena due giorni, adesso sembra essere obbligata a farlo».
In Canada è l’«Ottawa Citizen» a svelare il timore che dietro la rivolta degli immigrati covi in realtà ben di peggio: «Le autorità locali stanno iniziando a rendersi conto che questa Intifada francese non è del tutto spontanea, sono state trovate armi a sufficienza per un’insurrezione da parte di quegli islamisti radicali che predicano una rigida separazione fra la società musulmana e quella francese». Sul banco degli imputati c’è Chirac la cui «opposizione alla guerra in Iraq è stata giustamente interpretata dai musulmani come un segno di debolezza» (Chicago Sunday-Times) mentre a raccogliere applausi è la linea dura del ministro degli Interni Nikolas Sarkozy perché è «l’unico a collegare il tema dell’immigrazione con quello della sicurezza» (Weekly Standard). «Sin da quando è iniziata la guerra al terrore l’11 settembre 2001 – si legge in un pungente commento del "New York Post" – si aspettava l’esplosione della "strada araba" ma alla fine non è avvenuta in Medio Oriente bensì in Francia».
Con le immagini degli incendi parigini che rimbalzano da un network tv all’altro nelle ore di massimo ascolto il Dipartimento di Stato ha invitato i cittadini americani ad evitare di recarsi «in quelle zone della Francia dove sono in atto disordini», ed in molti hanno reagito rovesciando sulle locali agenzie turistiche una valanga di annullamenti dei tradizionali viaggi a Parigi in occasione della fine dell’anno.