Un’intervista da leggere con estrema attenzione e da tenere a mente…
di Renato Farina
Senatore Cossiga…
«Vuole sapere del Sismi e del Niger-gate?»
Lei è l’unico che ci capisce. Cosa sta accadendo?
«Mi dica prima che cosa secondo lei ha capito la gente».
Domenica lei ha spinto Berlusconi a rinnovare solennemente la fiducia al nostro capo dei servizi segreti militari, in sigla Sismi, il generale Niccolò Pollari. Intanto però continua la campagna di "Repubblica" per cacciarlo.
«Fin qui è cronaca. Ma cosa ci ha capito?»
Che ci dev’essere uno di quei pasticci da Repubblica bananiera… «Ci siamo. C’è una manovra dei generali prodiani per occupare l’occupabile in materia di sicurezza esterna ma anche interna». Un piccolo golpe, roba da operetta. «Se vuole lo chiami così. Ci indebolisce. Se ha successo vanificherà il lavoro di Pollari. Prima l’intelligence era al servizio dello Stato maggiore della Difesa, lui l’ha resa una risorsa: serve il Paese invece che i generali».
Spieghi queste mosse dei generali. «Un attimo. Prima mi faccia dire che queste meschinità sono il corollario nostrano di una faccenda di intossicazione assai più seria. Un classico nel mondo dello spionaggio. Un affare sporco, un dirty…».
Non glielo faccio dire in inglese. Lo racconti.
«In Italia c’è poca cultura in questo campo. Si scivola da James Bond, all’idea di avventura giuliva, alla macchinazione universale, minimizzando o esagerando. In realtà, i servizi di sicurezza hanno un peso notevole nella storia, pensiamo al MI6 del Regno Unito, con Lawrence d’Arabia. Ma anche al Kgb che è sopravvissuto all’Urss e ha fornito alla Russia Putin».
Al dunque, presidente!
«Un istante ancora. Noi siamo una classe politica giovane. I dc venivano dalle parrocchie o dai circoli Fuci. Solo con Taviani e Moro si è imparato ad usarli. Moro, non so in che modo, ma grazie al lavoro dei servizi, è riuscito a impedire la proliferazione del terrorismo palestinese in Italia. Ma per il resto: dilettanti! In questa storia bisogna distinguere le cose importanti dalle solite mediocrità di casa nostra».
Prima il Niger-gate allora.
«Il Niger-gate è una colossale truffa giocata all’amministrazione americana dai servizi di sicurezza francesi. Lo ha scritto proprio lei su Libero nell’agosto del 2004, fornendo una buona documentazione, per cui non faccia finta. E riepiloghi la storia».
I servizi inglesi ricevono da quelli francesi documenti che proverebbero il tentato acquisto da parte di Saddam dell’uranio dal Niger, per fare l’atomica. Ma sono carte false. Fornite da uno spione italiano, cacciato dal Sismi, e a stipendio della Direction général della sicurezza estera francese (Dgse). Libero ha pubblicato la foto. Bush accredita su input della Cia questa bufala e dichiara guerra all’Iraq.
«La cosa sicura è che il Sismi non c’entrava nulla, e ha spiegato agli americani la trappola in cui erano cascati. Pollari ha rivelato infatti che lo spione italiano era un agente coperto dei francesi. Ma questa è grande politica internazionale. Ci sono due ipotesi per spiegare il comportamento francese. 1) Gli 007 di Parigi erano convinti che le carte fossero vere, e – combattuti tra la fedeltà a Chirac e dunque alla sua politica contro l’attacco all’Iraq e il patto di collaborazione con gli altri servizi occidentali – abbiano scelto la seconda soluzione. Sbagliando dunque in buona fede. 2) La seconda invece è questa. Visto che Bush la guerra voleva farla comunque, tanto valeva intossicare le sue carte, avvelenarlo per demolirlo a suo tempo. C’è di mezzo un disegno di Europa alternativa agli Usa, roba importante».
E l’incriminazione del consigliere della Casa Bianca e dei conseguenti guai per Bush?
«Questo discende dal rispetto anglosassone per il lavoro della sicurezza. L’amministrazione repubblicana si vendica di un suo ambasciatore (democratico) che aveva accertato non essere vera questa vicenda del Niger, e rende noto il nome della moglie come agente sotto copertura. Lì è reato federale! Da noi immaginiamo se un giornalista facesse il nome di uno 007 coperto. La legge ci sarebbe. Ma non sarebbe successo nulla. L’illegalità o meno è decisa dal procuratore locale. Ed è sfruttando questa assenza di cultura della sicurezza che si cerca di far fuori Pollari».
Eccoci al piccolo golpe.
«Rientra nel disegno di potere di alcune autorità militari nel nostro Paese. Parlo della cordata ulivista dei generali». Nomi e cognomi.
«Comincio dalla premessa storica. Questa cordata fa capo ad Arturo Parisi».
Ma dài. Uno così buono e gentile.
«Modesto e schivo, non figura ma pesa, ed è uomo determinato. Parisi era allievo della Scuola militare della Nunziatella a Roma. Nasce lì il sodalizio con il compagno di corso, generale Cucchi. Sarà lui a fornire all’Ulivo le argomentazioni per opporsi all’intervento americano e italiano in Iraq. Poi lì conosce e prende a stimare Rolando Mosca Moschini, capo cappello, intelligente e ambizioso. Quest’ultimo, negli ultimi sette giorni di governo dell’Ulivo passa inusitatamente da comandante della Guardia di Finanza a capo di Stato maggiore della Difesa».
E così rifilano un uomo loro al futuro ministro… A proposito di lealtà istituzionale…
«Quelli sono abili. E Mosca Moschini piazza come Direttore Nazionale degli Armamenti, un ruolo decisivo di snodo per gli approvvigionamenti e per i contratti dell’industria militare, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, legato al ministro Sergio Mattarella, e come vice arriva il generale Rotondi, sempre "amico degli amici". Quando Mosca Moschini passa a un prestigioso incarico europeo, fa in modo che lo sostituisca proprio Di Paola. Il quale si fa sostituire proprio da Rotondi».
Insomma i ruoli chiave se li sono spartiti i prodiani.
«Ce n’è un altro di enorme e occulto peso. Esiste un terzo servizio segreto, che si sottrae a ogni controllo parlamentare, ed è in mano all’ammiraglio Campegher. Si chiama Reparto per l’informazione e la sicurezza (Ris), ha una grandiosa base vicino a Roma, ha mezzi sofisticati, personale preparatissimo, ma risponde solo a un’ala filoprodiana della Difesa. Tutta gente preparatissima. Ma hanno un loro disegno. Vogliono avocare a sé i compiti del Ministero dell’Interno, vogliono essere un Ministero dell’Interno parallelo, vogliono avocare a sé anche l’Arma dei carabinieri. Per questo hanno silurato, come non si fa neanche con una colf, il generale Piccirillo».
Lei sa che questi nomi al grande pubblico dicono poco o niente.
«E contano poco. Il nostro esercito è inferiore a quello svizzero (non per la qualità degli uomini sia chiaro, ma perché si spende poco ma soprattutto male, investendo in inutili portaerei, come se noi dovessimo diventare grandi potenze). La cosa certa è che Pollari si oppone a questo disegno ideologico di tipo politico-militare. I generali citati sono scontenti, manca quel tassello al loro puzzle, chiamano Pollari "il poliziotto". Ha preso uomini della guardia di finanza, grandi poliziotti come Nicola Calipari. Vogliono sostituirlo con il loro Campegher. Ci pensi. Quando i militari non hanno davanti a sé l’eroica prospettiva di Trafalgar o di Waterloo e non possono fare le guerre, cercano di militarizzare tutto il settore della sicurezza. Ma lo sa che, in segreto, la Difesa a Roma ha fatto esercitazioni sul modello di quelle fatte dall’Interno?».
E la campagna di Repubblica contro Pollari?
«Prima una domanda. Non sarà per caso Nicola Calipari l’anonimo che i due abili giornalisti Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo virgolettano a piacere, sicuri di non essere mai smentiti? E non sarà lui ad avergli portato per chiacchierate confidenziali Pollari? Attendo smentite dai due…».
Continui…
«Pollari gode della stima massima di D’Alema, Minniti e di Enzo Bianco, oltre che la mia. È inviso ai prodiani politici e militari. Qui sta il problema. I due cronisti non credo si sarebbero imbarcati in questa campagna – non sono sciocchi – senza coperture potenti. Chi passa i veleni possono essere i servizi militari americani (non la Cia!) che vogliono far pagare a Pollari il lavoro per gli ostaggi svolto in segretezza su ordine di Palazzo Chigi. Oppure possono essere altri servizi segreti esteri. O, probabile, quell’ambiente di cui sopra».
Veline prodiane? «Tutto per i prodiani può giovare alla causa».