Così come si presenta pietra miliare nel processo di democratizzazione del mondo arabo per avere per la prima volta istituito l’ordinamento federale, accreditando il diritto all’autogoverno delle singole comunità etnico-confessionali corrispondenti a specifici ambiti territoriali. Se si pensa che l’intera regione a sud e a est del Mediterraneo è retta prevalentemente da autocrazie e che al contempo si caratterizza per una pluralità etnico-confessionale, si può immaginare la portata rivoluzionaria della Costituzione irachena. A questo punto sarà il popolo, nel referendum previsto per il prossimo 15 ottobre, a pronunciarsi e a dirimere le riserve avanzate dalla minoranza formata dai sunniti, pesantemente condizionati dai terroristi binladiani e saddamiani, e dal ribelle sciita Moqtada al Sadr.
Per un altro verso, se voliamo ancora più in alto, e consideriamo il contesto dell’emergenza internazionale legata al terrorismo di matrice islamica, riscontriamo che la Costituzione irachena è riuscita a centrare il bersaglio con la messa fuorilegge della pratica del takfir , ovvero della condanna di apostasia dei musulmani. Perché è questa la vera radice dell’odio religioso che ha legittimato e autorizzato la lunga scia di sangue a partire dall’assassinio del presidente egiziano Sadat il 6 ottobre 1981, dal massacro di 150 mila civili algerini dopo il 1992, fino alla recente deriva del terrorismo globalizzato che colpisce ovunque e indiscriminatamente musulmani, cristiani, ebrei, arabi, occidentali e orientali.
Nel momento in cui Al Qaeda ha trasformato l’Iraq nella prima linea della sua guerra santa contro tutti gli infedeli e gli apostati, la Costituzione irachena ha correttamente individuato nella pratica dell’apostasia il fulcro del male dell’islam. Se si pensa che oggi il 95 per cento delle vittime del terrorismo sono iracheni, che il 90 per cento delle vittime cade per mano di kamikaze islamici, che il 90 per cento dei kamikaze islamici sono stranieri di cui il 55 per cento sauditi, è evidente la radice ideologica del terrorismo. Sono migliaia gli aspiranti kamikaze sauditi, convinti dal fondamentalismo islamico wahhabita a considerare legittimo il massacro degli sciiti in quanto eretici, che approdano volontariamente in Iraq per espletare il loro «martirio».
Negli scorsi giorni la Siria, principale varco di transito dei terroristi arabi e ansiosa di riscattare la propria immagine di Paese-canaglia, ha consegnato alle Nazioni Unite un elenco di 1200 terroristi arrestati di cui il 70 per cento sono sauditi.
Quanto questo «male» sia diffuso e radicato anche nel nostro Paese, l’ho constatato anche due giorni fa al Meeting dell’Amicizia di Comunione e Liberazione a Rimini. In uno degli incontri sulle tematiche islamiche, Fatima, una universitaria marocchina orgogliosa di indossare il velo, ha sostenuto che secondo lei l’islam sarebbe la «religione mediana» perché si situa tra i «terroristi e i falsi musulmani». Questi ultimi sarebbero «quelli che dicono di essere musulmani ma poi bevono il vino e non pregano nelle moschee». Quindi, a suo avviso, Bin Laden e la maggioranza di musulmani non rigorosamente osservanti e praticanti sarebbero allo stesso modo dei «nemici dell’islam». Al riguardo vale la pena ricordare che in Italia solo il 5 per cento dei musulmani frequenta abitualmente le moschee.
Probabilmente dovremmo imparare dagli iracheni. È diventato più che mai impellente che anche in Italia – così come si sta facendo in Gran Bretagna, Francia e Olanda – si operi per scardinare la struttura fisica e mentale che produce odio e violenza. Di cui il takfir è la manifestazione concreta. Fosse soltanto per l’acume e il coraggio dimostrato dagli iracheni nell’aver messo nella Costituzione la denuncia della radice ideologica del terrore, dovremmo essere loro grati. Perché la battaglia contro il terrore ci accomuna e il suo esito in Iraq ci riguarda assai da vicino.
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