L’Iran proclama costantemente e ad alta voce che la sua ricerca sull’energia nucleare è rigorosamente rivolta a scopi civili pacifici. Gli iraniani sostengono che hanno bisogno dell’energia elettrica prodotta dalle centrali nucleari per soddisfare le esigenze interne, mettendo così a disposizione il petrolio per l’esportazione e per la valuta estera. Queste affermazioni, tuttavia, hanno un punto debole. L’industria petrolifera iraniana potrebbe essere modernizzata e resa più redditizia e produttiva investendo minori risorse economiche di quelle necessarie per l’energia nucleare, in modo da fornire energia alla popolazione iraniana a bassi costi, aumentando nel contempo la produzione per il mercato internazionale.
Le recenti dichiarazioni sulle emergenti capacità dell’Iran di arricchimento dell’uranio sono allarmanti. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica ( IAEA) nel febbraio 2002 ha scoperto che il regime stava costruendo un impianto sofisticato per l’arricchimento di uranio a Natanz, 200 miglia a sud di Teheran. L’IAEA ha individuato 160 centrifughe installate in un impianto pilota a Natanz e 5.000 nuove centrifughe che devono essere completate entro il 2005 in un impianto di produzione vicino. Dopo il completamento di questa struttura, l’Iran sarà in grado di produrre uranio arricchito sufficiente per la costruzione di diverse bombe nucleari all’anno. Oltre a ciò, in una visita nel Paese del giugno 2003, l’IAEA ha scoperto le tracce di uranio del tipo altamente arricchito adatto a scopi bellici sulle centrifughe dell’impianto di Natanz e della Kalaye Electric Company. Ciò ha suscitato il dubbio a livello internazionale che le centrifughe dell’Iran siano destinate a sostenere un programma di armi nucleari.
Le opzioni militari potrebbero essere impiegate per far ritardare e distruggere le componenti fondamentali del programma delle armi nucleari dell’Iran. Questa soluzione potrebbe modificare il calcolo strategico di Teheran, in modo che il regime consideri le armi nucleari non come qualcosa che potenzia la sicurezza dello Stato, ma al contrario come un elemento che aumenta le prospettive di conflitto con gli Stati Uniti e che minaccia la stessa permanenza dei clericali al potere.
La superiorità militare americana sull’Iran offre a Washington un’ampia gamma di opzioni militari per mettere alle strette Teheran. Esse variano da attacchi limitati alla sicurezza politica, militare e interna dell’Iran e alle infrastrutture per le armi di distruzione di massa.
Per esempio, gli Stati Uniti potrebbero scegliere come bersaglio l’infrastruttura per l’energia nucleare del Paese — includendo l’impianto di energia nucleare di Bushehr così come tutti i futuri complessi di energia nucleare, le strutture per l’acqua pesante, gli impianti di rigenerazione del plutonio e quelli di produzione e di arricchimento dell’uranio — con attacchi con missili cruise o aerei da combattimento.
Una campagna aerea americana organizzata dai centri regionali di sostegno nei piccoli Stati arabi del Golfo potrebbe distruggere rapidamente l’aviazione e la difesa aerea iraniane, il che garantirebbe la possibilità di muovere attacchi contro i siti nucleari del regime.
Questi attacchi potrebbero servire non solo per smantellare i mezzi dell’Iran per lo sviluppo dell’arsenale atomico, ma costituirebbero anche la dimostrazione simbolica e politica della risoluzione americana di usare qualsiasi mezzo a disposizione per bloccare le aspirazioni nucleari dell’Iran.
Inoltre, gli aerei e i missili cruise potrebbero anche scegliere come bersaglio le infrastrutture chiave a livello politico, di sicurezza e militare dell’Iran, per nuocere direttamente ai centri di potere del regime. Gli attacchi potrebbero avere come obiettivo i palazzi del governo, le strutture e i centri di raccolta usati dalle forze di politica interna e di sicurezza, i beni del corpo di guardia delle forze rivoluzionarie iraniane ( IRGC) e di Basij, le unità dell’esercito e le guarnigioni importanti, e i veicoli per la fornitura delle armi di distruzione di massa, per esempio aerei e i missili balistici, nonché le loro strutture di produzione. La scelta degli organi della sicurezza interna come bersaglio sarebbe particolarmente utile perché potrebbe permettere al popolo scontento di dimostrare con maggiore libertà contro il regime, aumentando sostanzialmente la pressione sui leader religiosi a rinunciare alle loro aspirazioni di armi nucleari.
La minaccia di un’invasione dell’Iran da parte degli Stati Uniti non dovrebbe perdere consistenza, perché potrebbe essere usata per sostenere la forza coercitiva della diplomazia per costringere il Paese ad accettare i controlli internazionali intensivi in modo da accertare la sua conformità al Trattato di non proliferazione nucleare ( NPT). Il passo più imprudente che un uomo di Stato possa compiere è infatti quello di far sapere al proprio avversario ciò che non è preparato a fare: ciò mina profondamente il potere di esercitare una leva politica per realizzare i suoi interessi senza fare ricorso alla forza. Il presidente Clinton commise questo errore basilare nella guerra del 1999 in Kosovo, quando dichiarò che le forze terrestri degli Stati Uniti non sarebbero state usate contro la Serbia. In ogni caso, la presenza militare degli Usa nella regione Medio- Orientale sarebbe insufficiente per organizzare il tipo di campagna terrestre massiccia necessaria per occupare le città importanti dell’Iran.
Quella di Iraqi Freedom è stata infatti un’operazione più facile rispetto ad una possibile campagna iraniana. L’Iraq è grande quanto la Svezia e ha una popolazione di circa 25 milioni di persone, mentre l’Iran è quasi quattro volte tanto con circa 67 milioni di abitanti.
Le forze americane e britanniche distaccate vicino all’Iraq saranno probabilmente occupate nella sicurezza interna del Paese per molti anni a venire, e senza un incremento significativo non sarebbero disponibili a un’invasione delle frontiere dell’Iran. Le forze degli Stati Uniti nel Pakistan e nell’Afghanistan sono molto inferiori e quindi altrettanto inadatte al tipo di campagna terrestre che sarebbe necessaria viste le dimensioni dell’Iran. Oltre a ciò, gli Stati Uniti devono tenere pronte le loro forze per altre contingenze nel mondo, specialmente in Asia, dove potrebbero emergere disaccordi potenziali sulla penisola coreana o su Taiwan. La valutazione di queste problematiche, tuttavia, dovrebbe essere fatta solo mentalmente dagli opinionisti politici e non espressa in pubblico, in modo che i leader iraniani non vengano a sapere delle strategie statunitensi.
Gli effetti sulla politica interna iraniana di un possibile attacco militare americano potrebbero farsi notare in due modi. Da una parte, le operazioni degli Stati Uniti potrebbero minare il regime, poiché molti iraniani li vedrebbero come un’ulteriore prova che esso è l’unico responsabile dell’isolamento dell’Iran dalla comunità mondiale e della sua stagnazione economica. Dall’altra, i religiosi afferrerebbero al volo l’occasione degli attacchi come prova di una campagna americana egemonica per conquistare il Medio- Oriente e il suo petrolio, e userebbero ciò come una giustificazione di misure di sicurezza nazionali repressive per mantenere il potere. Nell’analisi finale, gli Stati Uniti potrebbero attendere per vedere quale di questi scenari risulterebbe più forte, continuando a vigilare sui tentativi dell’Iran di ricostituire la sua infrastruttura e proseguendo gli attacchi per anni in modo da ritardare così l’acquisizione da parte di Teheran delle armi nucleari. Come avvenuto nella guerra contro l’Iraq, gli Stati Uniti dovrebbero superare le reazioni politiche internazionali contrarie a un’azione militare contro l’Iran. A una prima occhiata, Russia, Cina, Corea del Nord e Pakistan probabilmente solleveranno una protesta contro « l’unilateralismo americano » , al di là delle perdite economiche derivanti dagli attacchi alle strutture iraniane che quei Paesi sostengono.
Ma è anche vero che, cinicamente, quegli Stati potrebbero lavorare per sfruttare economicamente la situazione e per cercare altri contratti per ricostruire tutto quello che gli americani hanno distrutto. Le operazioni militari sarebbero anche accompagnate da una marea di proteste contro gli Stati Uniti per la sua politica nell’area Mediorientale. Molti li accuserebbero infatti con il solito vecchio ritornello che nella zona Washington utilizza due pesi e due misure: ignora le armi nucleari israeliane mentre intraprende azioni belliche contro Stati musulmani come l’Iraq e l’Iran, i quali stavano cercando di armarsi proprio per bilanciare la potenza nucleare israeliana e americana. Tuttavia, anche se gli osservatori americani non sempre se ne rendono conto, molti in Medio- Oriente — ufficiali, diplomatici, funzionari, come pure l’opinione pubblica in generale — sono dell’idea che un Iran dotato di armi nucleari potrebbe essere utile per controbilanciare Israele e il potere nucleare americano.
E cosa succederebbe se queste opzioni diplomatiche e militari fossero infruttuose? Cosa potrebbe fare l’Iran con le armi nucleari? Questo arsenale costituirebbe una sfida profonda alla sicurezza degli Stati Uniti? O forse invece un deposito iraniano di armi nucleari sarebbe in qualche modo gestibile per Washington? Gli Stati Uniti potrebbero accettare le armi nucleari iraniane visto che hanno già accettato quelle possedute da Israele, Pakistan, India e, forse, Corea del Nord? Una grave preoccupazione è che l’Iran potrebbe trasferire le armi nucleari a organizzazioni sovrannazionali, perché negli scorsi 20 anni Teheran ha usato costantemente questi gruppi come abili strumenti politici per promuovere i propri interessi e obiettivi politici.
Effettivamente, questa ipotesi è assai più probabile rispetto a quanto non lo fosse per il regime di Saddam Hussein, perché Teheran è stata molto più attiva di Bagdad nella sponsorizzazione dei terroristi, specialmente quelli di Hezbollah, contro gli Stati Uniti. Jeffrey Goldberg ha scritto sul New Yorker : « Hezbollah ha un budget annuale di oltre cento milioni dollari, forniti direttamente dal governo iraniano e da un sistema complesso di cellule finanziarie sparse nel mondo » .
Alcuni osservatori sostengono che la spinta della rivoluzione sia ormai svanita dall’Iran, e che la sponsorizzazione da parte del regime alle operazioni dei terroristi contro gli interessi degli Stati Uniti sia di conseguenza diminuita.
La complicità e il sostegno dell’Iran nel bombardamento del 1996 delle torri Khobar, il complesso residenziale delle forze militari americane nell’Arabia Saudita, dove sono rimasti uccisi 19 meccanici statunitensi, smentiscono tuttavia le argomentazioni che il governo iraniano abbia moderato la sua opposizione agli Usa. L’ex- direttore dell’Fbi Louis Freeh ha collegato pubblicamente e direttamente l’Iran con quell’attacco: « Nel corso della nostra indagine è risultato evidente che anche se l’attentato è stato organizzato da membri sauditi di Hezbollah, l’intera operazione era stata progettata, sovvenzionata e coordinata dai servizi di sicurezza iraniani, l’IRGC e il MOIS ( il ministero dei Servizi Segreti e della Sicurezza), che agivano agli ordini di alte sfere del regime di Teheran » . Più di recente, l’Iran ha mostrato un interesse nel mantenere rapporti con Al Qaeda dando asilo a suoi membri, alcuni dei quali erano fuggiti nei vicini Afghanistan e Pakistan durante la campagna militare americana dell’ottobre 2001.
Alcuni osservatori sono propensi a concedere al regime iraniano il beneficio del dubbio per quanto riguarda le prove della complicità nell’attentato alle torri Khobar, affermano che ad essere stati coinvolti nell’attacco sono stati « elementi criminali » o conservatori intransigenti del regime, ma non il presidente Khatami o sostenitori delle stesse idee nel ministero degli Affari Esteri e nel Parlamento.
La prova conclusiva per sostenere questa tesi è evasiva, ma anche se fosse dimostrato che le cose stanno effettivamente così, sarebbe di scarso conforto a chi sta cercando di valutare i potenziali pericoli derivanti dal possesso dell’Iran di un arsenale atomico. Quello che conta veramente è capire che gli intransigenti potrebbero in futuro controllare o dirigere i trasferimenti delle armi nucleari anche se questa non fosse la politica voluta direttamente dal regime. Se una città americana dovesse venire attaccata da un’arma nucleare iraniana, sarebbe del tutto irrilevante l’appartenenza o meno dei responsabili a bande criminali o alla corrente principale del governo di Teheran. Teheran potrebbe calcolare che un deterrente nucleare le darebbe più libertà d’azione per sostenere i militanti nel Medio- Oriente, compreso Hezbollah, l’islamico Jihad e Hamas.
Gli iraniani, anche senza armi nucleari, stanno muovendosi in questa direzione. Daniel Byman osserva in un articolo apparso su Foreign Affairs che « dallo scoppio dell’Intifada di al Aqsa nel mese di ottobre del 2000, Hezbollah ha fornito l’addestramento alla guerriglia, l’esperienza nella costruzione di bombe, la propaganda e i piani strategici ad Hamas, al Jihad Islamico palestinese e ad altri gruppi anti- israeliani » .
Teheran potrebbe pensare che anche se venisse rivelato il suo sostegno alle operazioni terroristiche tramite questi gruppi contro gli americani e i partner degli Stati arabi del Golfo, le armi nucleari dissuaderebbero comunque da rappresaglie militari contro l’Iran. I leader iraniani sono infatti maggiormente influenzati dalle loro ideologie islamiche che da un calcolo razionale degli interessi nazionali.
Come sostiene George Perkovich: « Politici come Khamene’i e Rafsanjani considerano le armi nucleari come fonte quasi magica di alimentazione e di autonomia nazionali. Intuiscono che la bomba terrà lontani tutti i poteri stranieri, inclusi Israele e gli Stati Uniti, da ogni tentativo di dettare le proprie condizioni all’Iran o invaderlo » . In breve, una Teheran con armi nucleari potrebbe temere la prospettiva di rappresaglie nucleari americane e israeliane meno di quanto spererebbero gli strateghi occidentali.
Gli iraniani potrebbero scegliere di avere un peso maggiore integrando le armi nucleari alle loro strategie di lotta armata. Nelle loro strategie politiche e militari hanno ormai assunto il presupposto di non venire mai coinvolti in una lunga guerra logorante come avvenne nel conflitto Iran- Iraq, persa alla fine da Teheran.
Gli iraniani potrebbero arrivare a considerate le armi nucleari strumenti utili, o persino essenziali, sul campo di battaglia per distruggere le forze armate di un avversario, specialmente quelle dell’Iraq. Come precisa Gary Sick: « L’uso in passato da parte dell’Iran degli attacchi non convenzionali del tipo " Colpisci e fuggi" nel Golfo Persico durante la sua guerra contro l’Iraq, dimostra la volontà di Teheran di usare metodi non convenzionali, persino terroristici, per perseguire una strategia politica e militare, anche se questo dovesse significare il confronto con gli Stati Uniti » . Seguendo questo ragionamento, Teheran potrebbe essere tentata di sfruttare la minaccia delle armi nucleari per fare leva nella lotta politico- militare contro gli Stati Uniti per il potere e il dominio nel Golfo Persico.
Le armi nucleari iraniane darebbero dunque a Teheran un prestigio politico e militare più grande di quanto potrebbe ottenere con l’esercizio del potere sugli Stati arabi del Golfo. Come avverte Kenneth Pollack: « Teheran sembra desiderare le armi nucleari soprattutto per impedire un attacco americano. Una volta ottenute, tuttavia, il suo calcolo strategico potrebbe cambiare e potrebbe imbaldanzirsi per perseguire una politica estera più aggressiva » . Gli Stati arabi del Golfo sarebbero più vulnerabili alla pressione politica iraniana di ridurre la cooperazione di sicurezza con gli Stati Uniti. Per concludere, una bomba nucleare iraniana incentiverebbe le richieste già pressanti degli Stati arabi di avere le armi nucleari.