di Magdi Allam, dal Corriere della Sera di ieri
Ammettiamolo. Molti di noi ieri all’annuncio dell’ondata di arresti di sospetti terroristi islamici a Milano e a Torino si sono domandati con malignità: a quando la scarcerazione? Taluni, come l’avvocato Antonio Nebuloni che ha inveito contro la " giustizia a orologeria", si sono spinti fino a immaginare che si tratti dell’ennesima montatura contro dei poveri cristi che tutt’al più falsificano documenti e spacciano droga. Comunque sia fin d’ora si prefigura un nuovo braccio di ferro, non tra le istituzioni dello Stato e il terrorismo islamico, bensì tra le Procure che denunciano i sospetti terroristi e le Corti d’Assise che puntualmente li scagionano dall’accusa principale, declassando il fenomeno del terrorismo internazionale di matrice islamica a una vicenda di criminalità comune tutt’interna a casa nostra.
Beata l’Italia che si percepisce come un’isola felice in un mondo dove, dall’Indonesia al Marocco, i governi musulmani hanno dichiarato lo stato d’emergenza contro il terrorismo islamico globalizzato, dove l’insieme dell’Occidente è mobilitato per snidare le cellule di Al Qaeda e Company che sono riuscite a trasformarlo in una loro solida roccaforte.
Un impressionante senso di tranquillità che sopravvive alle tragedie dell’ 11 settembre e dell’ 11 marzo che hanno insanguinato l’America e l’Europa, alla certezza che sin dagli anni Novanta il Belpaese è diventato un porto franco per centinaia di combattenti della Jihad che hanno fatto su e giù per l’Afghanistan, i Balcani e l’Iraq, ai due attentati suicidi commessi dal marocchino Mostafa Chaouki a Brescia il 28 marzo 2004 e dal giordano Muhammad al Khatib Shafiq l’ 11 dicembre 2003 a Modena, risoltisi miracolosamente con la morte dei soli kamikaze.
Per nostra fortuna finora non è successo nulla di grave. Lo dobbiamo all’instancabile attività degli apparati di sicurezza dello Stato che sono riusciti a prevenire i piani terroristici. E a quel pugno di magistrati che hanno maturato la consapevolezza della dimensione globalizzante della filiera che coniuga una certa predicazione dal pulpito della moschea e dai siti Internet, la criminalità organizzata dedita allo spaccio di droga, al racket delle macellerie halal, alla produzione di documenti falsi, al riciclaggio di denaro sporco e al traffico dei clandestini, che si alimenta con il fiume di denaro della zakat e di finanziarie islamiche sospette, fino ad approdare all’attività terroristica vera e propria.
E’ questa la logica che ha ispirato i 23 provvedimenti di custodia cautelare definendo un « quadro d’insieme delle inchieste sull’estremismo islamico » degli ultimi anni.
Elaborato grazie alla preziosa collaborazione dei terroristi islamici pentiti, un fenomeno che dovrebbe essere ulteriormente incentivato non soltanto offrendo programmi di protezione e di reinserimento sociale, ma anche la prospettiva della cittadinanza. Perché il problema del pentito non è solo quello di salvare la pelle e avere di che sfamarsi. Egli ha anche la necessità vitale di riattribuirsi un’identità che lo riscatti dall’accusa infamante di essere un traditore dell’islam e della patria. Lo stesso approccio deve ispirare l’atteggiamento nei con fronti dei traduttori giudiziari di lingua araba che sono costretti a non collaborare con i tribunali perché minacciati di morte.
Si è trattato di una vera controffensiva della Procura di Milano dopo che soltanto dieci giorni fa la Corte d’Assise dello stesso tribunale aveva assolto sei tunisini arrestati con l’accusa di terrorismo internazionale. E si torna inevitabilmente a invocare la revisione della norma 270 bis del codice penale, che si conferma inadeguata a fronteggiare la specificità di un terrorismo islamico che fa perno sulla figura del kamikaze e sull’ideologia del " martirio" islamico. Nell’attesa si dovrebbe quantomeno uniformare l’atteggiamento dei tribunali italiani nei confronti dei gruppi terroristici attenendosi agli elenchi elaborati dall’Onu e dall’Unione Europea. Un obiettivo che verrebbe agevolato dalla creazione di una Procura nazionale anti terrorismo dotandola delle risorse e degli uomini all’altezza di fronteggiare quella che resta, volenti o nolenti, la principale emergenza internazionale.