Relazione sulla Politica Informativa – continua

 

Riguardo all’analisi strategica, a pagina 15: "La valenza rivestita dall’analisi strategica ha indotto, in via sperimentale, ad un riassetto organizzativo della Segreteria Generale del CESIS, segnatamente per il Dipartimento in seno al quale operano, in forma integrata, le strutture dedicate alle materie di controterrorismo, cooperazione internazionale, immigrazione clandestina, crimine organizzato, intelligence economica, controproliferazione, situazioni Paese negli aspetti geopolitici di interesse e fonti aperte."

Estremamente interessante è l’analisi che il CESIS effettua sul fenomeno terroristico islamista (pag. 33): "Nel secondo semestre del 2004 l’intelligence ha continuato a confrontarsi in via prioritaria con le attività ascrivibili al cd. jihad globale, che rappresenta a tutt’oggi un’insidia di prima grandezza per la sicurezza.
A fronte di un fenomeno che raccorda dimensione sovranazionale e specificità locali, l’azione informativa svolta a tutela del nostro territorio e dei nostri interessi è chiamata a tenere conto degli sviluppi in grado di riflettersi su portata, composizione e modalità della minaccia.
Quello islamista è infatti un vettore di rischio che più di altri impone l’integrazione tra monitoraggio interno ed estero, tra sviluppi di situazione in aree di crisi e mappatura dell’attivismo radicale su base domestica, evidenziando tutta la complessità del contrasto ad un pericolo polverizzato sia quanto ai soggetti eversivi che ai territori interessati.
Prova ne è il raggio d’azione del terrorismo di matrice islamista, o compartecipato dal radicalismo, nell’intero anno, che abbraccia un arco geografico significativamente corrispondente alla massima estensione dell’antico Califfato, ribadendo la rilevanza delle articolazioni regionali, sorta di “emirati” destinati a gestire su base locale un progetto che resta universalista.
A tale larga estensione territoriale fanno riferimento le segnalazioni di minaccia raccolte nel semestre che, nel riflettere la preferenza accordata ad attacchi suicidi contro
soft target
e l’ampio ricorso ai sequestri ed alla presa d’ostaggi, non mancano di ventilare la possibilità di azioni per via marittima e di tipo non convenzionale.
Su quest’ultimo aspetto resta alta l’attenzione dell’intelligence
, specie in relazione al temuto impiego di ordigni esplosivi associati a sostanze radiologiche (cd. “bombe sporche”) o di aggressivi chimici ed agenti biologici.
In termini d’analisi, hanno trovato conferma le linee di tendenza già evidenziate, con una perdurante centralità del quadrante mediorientale – soprattutto dell’Iraq – e con un sostenuto, costante impiego dei mezzi di comunicazione, specialmente di
internet.
Il web ha ribadito infatti la propria funzione di veicolo privilegiato per il cd. “jihad
di pensiero e di parola”, destinato a coltivare e diffondere una cornice ideologica radicale in grado di guadagnare nuovi adepti alla causa integralista. Questi sono ora ricercati anche tra il pubblico femminile, per il quale è stata varata nei mesi scorsi un’apposita rivista telematica, “Al Khansà”.
E’ proseguita intensa la propagazione sulla rete di testi di caratura programmatica, di rivendicazioni e di comunicati minatori, strumenti di vere e proprie campagne offensive virtuali che hanno conosciuto il proprio apice durante l’estate, con una forte accelerazione mediatica antitaliana.
Interamente svoltasi nel cyberspazio, tale stagione minatoria, con i consimili episodi di “sciacallaggio mediatico” registrati durante il sequestro Torretta/Pari, è stata opera di sigle e nickname vari, con una netta preponderanza delle sedicenti “Brigate Abu Hafs al Masri”, comparse a rivendicare anche gli attentati di Madrid del marzo 2004.
Il fenomeno va valutato soprattutto in relazione alla sua tempistica ed ai tratti
salienti della minaccia che intende enfatizzare e amplificare.
Sul piano della tempistica, va rilevato come le sigle più prolifiche durante l’estate abbiano poi ceduto il proscenio, in autunno, alle voci dei
leader del movimento jihadista, ad attestare un’alternanza in via di fatto tra i proclami di vertice e quelli da ricondurre a spinte di tipo profittatorio o emulativo.
Tale avvicendamento ed il collegamento strumentale tra le minacce e la scadenza della “tregua” offerta ai popoli europei da Bin Laden inducono a ritenere probabili nuovi
exploit intimidatori intesi a protrarre l’eco delle dichiarazioni della leadership o ad inquinare delicati passaggi della politica nazionale ed internazionale.
Quanto ai tratti della minaccia, questa risulta attualmente da attribuire a più soggetti
eversivi, corrispondenti ad altrettanti livelli organizzativi.
Si passa da ciò che rimane della struttura originaria di Al Qaida e delle propaggini decisionali ed operative ad essa collegate, alle organizzazioni affiliate o contigue, per giungere alle cd. “metareti” (network
in cui l’originario carattere nazionale ha ceduto il posto ad una scelta internazionalista) ed alle cellule “pseudo-autoctone”, sul tipo di quella entrata in azione a Madrid.
Ad articolare il panorama degli attori del jihadismo contribuiscono, poi, quegli ambienti radicali – non di rado nuclei ristretti o individualità – che, interni alle società occidentali, registrano una progressiva radicalizzazione connessa ad un’integrazione mancata o rifiutata.
Un livello, questo, che risulta in grado di esprimere peculiari ed imprevedibili forme di violenza, come dimostrato dall’omicidio del regista Van Gogh in Olanda, in uno scenario in cui si profila anche il rischio di risposte ritorsive di stampo xenofobo. Appaiono emblematici delle tipicità dell’integralismo, nella sua “versione occidentale”, i segnali di minaccia in direzione degli esponenti moderati delle comunità di riferimento.
Il leader
di Al Qaida ha dominato la ribalta mediatica con ben tre proclami – il 29 ottobre, il 16 ed il 27 dicembre – calibrati su distinti uditori: statunitense, saudita ed iracheno.
Nel loro insieme, tali pronunciamenti riassumono le linee portanti del disegno qaidista, che resta incentrato sulla lotta all’Occidente ed ai Paesi “collaborazionisti” – con USA ed Arabia Saudita a guidare le due categorie – e trova nella scena irachena laboratorio
operativo e contingente perno ideologico.
Definita “terza guerra mondiale”, la crisi irachena viene ritratta come epocale e destinata ad influenzare gli esiti di un confronto artatamente raffigurato quale contrapposizione di due schieramenti, “miscredenza crociata” e “vero islam”, di cui i
mujaheddin rappresenterebbero le avanguardie.
Per contenuti e tempistica, i messaggi di Bin Laden confermano l’attenzione rivolta al momento elettorale, risultando tutti temporizzati sull’imminenza di appuntamenti di voto (le presidenziali negli Stati Uniti, le elezioni municipali in Arabia Saudita, le consultazioni in Palestina ed Iraq). Essi inoltre ripropongono una pratica d’interlocuzione diretta con le popolazioni, funzionale ad accreditare la loro complicità nelle politiche
dei governi e nella persecuzione antislamica che questi asseritamente attuano.
In questo senso, la sfida posta dall’islamismo armato alla sicurezza mondiale si conferma asimmetrica quanto a tattiche ed obiettivi, ma per certi versi di tipo tradizionale quanto a rappresentazione delle forze in campo: l’ummah
islamica contro la comunità dei miscredenti.
La marcata dimensione politica dei tre comunicati – che conclama l’avvenuta trasformazione di Al Qaida da “base” organizzativa in ideologia – conferma l’intento dello sceicco islamista di porsi quale guida carismatica di un movimento vasto e composito.
Un’ambizione, questa, che si giova di una lettura
ad hoc della geopolitica contemporanea e rischia di determinare una deriva integralista di taluni conflitti nazionali e dei fenomeni di rinascita islamica registrati in varie aree.
La valenza degli interventi di Bin Laden, con il corredo di direttive di taglio operativo, specie per quanto riguarda l’invito a focalizzare gli attentati sul comparto petrolifero,
si precisa ulteriormente alla luce dei proclami dell’egiziano Ayman Al Zawahiri, anch’egli “firmatario” di tre messaggi (9 settembre, 1° ottobre e 29 novembre).
Nelle parole del n. 2 di Al Qaida, l’appello al
jihad rimanda ora al concetto di “resistenza” (per Afghanistan ed Iraq), ora a doveri individuali di natura difensiva per la Palestina, ora, infine, all’esigenza di arginare presunti piani “neocolonialisti” che dalla Penisola Araba si estenderebbero al Darfur.
Di particolare rilievo appare l’invito a costituire un “comando unificato”, che sembra essere stato raccolto dal giordano-palestinese Abu Musab Al Zarqawi, personaggio di primo piano del jihadismo in Iraq. Questi, il 17 ottobre, ha diffuso un proclama di adesione formale ad Al Qaida, procedendo a mutare la denominazione della sua formazione da “
Tawhid wa al Jihad” (Monoteismo e Jihad) in “Tanzim Qaidat al Jihad fi bilad al Rafidain” (Organizzazione di Al Qaida in Mesopotamia).
Tale dichiarazione di affiliazione, successivamente sancita dallo stesso Bin Laden, rafforza l’ipotesi di un’avvenuta integrazione tattica di
network
già accomunati da affinità ideologica, seppur connotati da specificità non sempre collimanti.
Si tratta di uno sviluppo cui risulta connesso il rischio di sinergie di tipo offensivo non solo nei teatri di crisi, ma anche in quei contesti, come l’Europa, dove i circuiti collegati ad Al Zarqawi, sinora attivi nell’alimentare i ranghi dei combattenti in Iraq, potrebbero farsi interpreti di propositi antioccidentali. Ciò, all’interno di un disegno in cui viene ritenuto assolutamente pagante incidere sui rapporti euro-atlantici, colpendo la sponda europea per isolare gli Stati Uniti."