Il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza della Presidenza del Consiglio ha presentato al Parlamento pochi giorni fa l'annuale relazione sulla politica dell'intelligence. La stampa nazionale ha dato subito grande risalto alle minacce, soprattutto quelle terroristiche, che sarebbero state evidenziate dalla nostra intelligence proprio tramite la suddetta Relazione. Ma è proprio così? Diamo una lettura, sintetita, al documento. O meglio, ad alcuni dei sui passaggi chiave.
Per prima cosa, come già ho scritto in passato e come sottolineato anche da uno studio pubblicato sul sito dei nostri Servizi, il livello qualitativo del documento è in continua crescita, anno dopo anno. Il livello dell'analisi è sempre più specifico ed una lettura attenta e non superficiale permette di cogliere sia importanti elementi che riguardano il profilo della minaccia che alcuni aspetti del lavoro della nostra Intelligence. Ad esempio, quest'anno, nella premessa alla Relazione, i Servizi sottolineano lo sforzo del Comparto volto ad indirizzare sempre di più l'attività informativa verso il medio-lungo termine e sempre meno verso la current.
Scrive il DIS:
Difficilmente si possono contenere i rischi e, ad un tempo, cogliere le pur feconde opportunità che, in termini di sviluppo, promozione sociale ed ampliamento dei diritti di cittadinanza, l’epoca dell’interdipendenza comporta, senza dispiegare un’adeguata attitudine alla lettura immersiva della contemporaneità, finalizzata a decifrarne le zone d’ombra ed a scorgere i margini di manovra utili a perseguire con compiutezza gli interessi nazionali: a leggere in profondità la realtà, senza per ciò stesso perderne il quadro d’insieme. In tal senso, la copiosa produzione infovalutativa del Comparto è andata sempre meno riferendosi alla necessaria, ma non sufficiente, gestione corrente della quotidianità, incanalandosi sempre più lungo taluni “corridoi analitici” intesi a cogliere i vettori del cambiamento.
Lo sforzo della nostra Intelligence, quindi, appare indirizzato a cogliere le tendenze strategiche:
Grazie a tale scandaglio delle profonde trasformazioni intervenute nel contesto securitario globale, si sono delineate talune macro tendenze, che appaiono – nel disegnare un panorama di minacce ubique ed insieme geolocalizzate – peculiari del mondo odierno ed anticipatrici di quello che verrà. Ne sono emerse, fra altre, soprattutto tre, a bilancio di un’annata complessa quant’altre mai. La prima ha riguardato l’ambiente digitale: spostando continuamente in avanti la frontiera dell’innovazione, le tecnologie hanno comportato il duplice effetto collaterale di azzerare la dimensione spaziale, mettendo definitivamente in crisi l’idea di confine politico difendibile solo con strumenti convenzionali, e parimenti di destrutturare internet, rendendo sempre più difficoltoso individuare in tempo utile chi lo popola e con quali intenzioni. L’arena virtuale del web, oltre a trascendere, per sua natura, la dimensione statuale, ed a moltiplicare le possibilità di accesso alla vita sociale, accresce gli strumenti a disposizione degli attori ostili e, allungando a dismisura i tempi di cognizione della minaccia, può indurre una percezione falsata di sicurezza. A rischio non sono soltanto gli Stati, ma anche gli attori privati, spesso oggetto di mire acquisitive ed esposti alla sottrazione di dati sensibili del loro patrimonio industriale e di conoscenze, ed ogni singolo individuo, che, in quanto nodo della rete, può subire in qualsiasi momento, e da qualsiasi punto della stessa, un impulso a venire colpito, nella dimensione digitale o con un attacco fisico nel territorio in cui vive. […]
La seconda lente che i “Servizi segreti” hanno inforcato per leggere la realtà è riconducibile ai polimorfi ed indesiderati spin-off della globalizzazione. Protagonisti delle grandi dinamiche di cambiamento sono oggigiorno attori che si muovono al livello transnazionale, non necessariamente condizionati dall’esigenza di commisurare i mezzi disponibili agli obiettivi che coltivano, laddove gli Stati si confrontano, sovente, con stringenti vincoli di bilancio nel perseguire il rispettivo interesse nazionale. L’imponente processo di redistribuzione del potere e della ricchezza su scala mondiale, in continuo e problematico divenire, ha quindi cambiato la natura delle sfide da fronteggiare, che promanano da cause assai diverse dai rapporti di potenza del “vecchio mondo”. Occorre, piuttosto, guardare ad altri fattori: i vuoti di potere, che si creano là dove la sovranità statuale viene erosa da spinte disgregatrici di matrice identitaria, religiosa, etnica, tribale; i sottoprodotti della frammentazione e della regionalizzazione del sistema delle relazioni internazionali; le migrazioni di massa su scala globale (oltre 60 milioni di persone sottoposte a esodi forzati, delle quali circa 1,2 milioni sono entrate in Europa nel 2015 attraverso le rotte nordafricana ed anatolico-balcanica); l’incessante urbanizzazione che, in connessione con la scarsità di risorse alimentari ed idriche e con i cambiamenti climatici, provoca tensioni e porta all’esplosione di veri e propri conflitti; i centri di interesse antagonisti e concorrenti, intenzionati talvolta a colpire gli anelli deboli dei nostri assetti industriali, finanziari, scientifici, tecnologici, con lo scopo o l’effetto di appropriarsene e causarci un vero e proprio downgrade strutturale; le nuove possibilità di parcellizzazione internazionale dei processi produttivi, che aprono a loro volta inediti fronti di esposizione a contagi recessivi transnazionali.
Terzo binario, infine, quello delle situazioni di instabilità geopolitica, foriere di minacce “tradizionali”, ma non per questo meno insidiose, anzi, in certi casi più raffinate e più aggressive che in passato: nella dimensione statuale, le consuete forme di ingerenza ostile, le attività di spionaggio, la proliferazione delle armi di distruzione di massa ed anche le battaglie di retroguardia di singoli attori inclini a colpi di coda totalitari, tenuto conto che solo il 40% della popolazione mondiale vive in condizioni di piena democrazia; quanto ai riverberi nel tessuto sociale, le insidie promananti dalla criminalità organizzata transanazionale e dei fenomeni eversivi.[…]
Tale sforzo analitico ha comportato un adeguamento nel processo di definizione delle priorità della comunità di intelligence. Un passaggio, questo, a mio avviso piuttosto importante. Scrive il DIS:
[…] il processo informativo ha continuato, nel suo impianto, ad essere definito dal ciclo di azioni articolato sulle tre fasi canoniche dell’acquisizione della notizia, della sua trasformazione analitica in contributo conoscitivo articolato e della conseguente disseminazione ai decisori. Questi ultimi, nondimeno, sono chiamati ad affrontare scenari globali caratterizzati da minacce ibride ed imprevedibili, da crescente volatilità strategica e da modelli sociali complessi, talché necessitano anche di uno “sguardo lungo”, della capacità di vedere ben oltre le contingenze e le emergenze del momento. È giocoforza che il vertice politico e la classe dirigente nel suo complesso chiedano all’intelligence di estendere il loro campo visuale. Anche per corrispondere a queste aspettative, il 2015 ha segnato l’avvio di un nuovo modulo di pianificazione informativa, articolato su un respiro triennale. […]
L'analisi delle minacce e dei rischi è ben strutturata. A differenza del passato, negli ultimi anni minacce e rischi sono stati organizzati in "macro-aree" tematiche, per così dire. Quest'anno sono quattro: minaccia terroristica jihadista, pressioni migratorie, presidio del Sistema Paese (ovvero sicurezza economica e criminalità organizzata), strumentalizzazione del disagio (ovvero eversione). A queste si aggiunge una parte dedicata esclusivamente al tema cyber, il Documento di sicurezza nazionale che ogni anno, come previsto dalla legge 124, viene allegato alla Relazione.
La Relazione contiene, inoltre, un capitolo dedicato a "Scenari e tendenze" il quale – benchè non articolato secondo l'ortodossia delle tecniche scenaristiche – tira sinteticamente le fila dei capitoli precedenti (rischi e minacce) proiettandoli nel futuro.
In materia di terrorismo islamista scrive il Dipartimento:
[…] Emblematico il caso del terrorismo jihadista, filo rosso della presente Relazione, e probabilmente di quelle future, tale da condizionare inevitabilmente l’elaborazione delle opzioni di policy e le strategie di sicurezza.
Almeno nel medio termine, la parabola di DAESH come entità territoriale non coinciderà con quella della minaccia terroristica, giacché anche l’auspicata sconfitta militare del Califfato non ridimensionerà il pericolo di attivazioni terroristiche in territorio occidentale, che potranno anzi caricarsi di un’ulteriore valenza ritorsiva.
Nel contempo, l’intelligence continuerà ad assicurare il necessario supporto informativo allo sforzo corale inteso a privare DAESH della sua base territoriale, poiché la strisciante – ma tutt’altro che silenziosa – penetrazione nei diversi quadranti dell’Africa e dell’Asia innesca ulteriori spiralizzazioni, ponendo altrettante ipoteche in termini di stabilità e sicurezza.
Nelle sue proiezioni asimmetriche, la formazione terroristica, forte anche dei consistenti introiti di origine predatoria, attinge ad un bacino incredibilmente ampio di “soldati”: qaidisti della prima ora, foreign fighters di varia provenienza appositamente disingaggiati dal campo siro-iracheno, epicentro dell'instabilità, neofiti reclutati tra gli homegrown europei da altri combattenti occidentali su mandato della leadership, nonché estremisti solitari, disadattati o estraniati dall’ambiente di residenza, istigati ad agire in nome del jihad.
Ne deriva la possibilità che in Europa trovino spazio nuovi attacchi eclatanti sullo stile di quelli di Parigi, ma anche forme di coordinamento orizzontale tra micro-cellule, o azioni individuali sommariamente pianificate e per ciò stesso del tutto imprevedibili.
Rispetto a questo scenario, il modulo virtuoso del nostro sistema di prevenzione, imperniato sullo stretto e assiduo rapporto tra intelligence e Forze di polizia, deve necessariamente integrare un più ampio dispositivo che preveda tra l’altro: l’elaborazione di mirate strategie volte a disinnescare l’azione di propaganda e proselitismo di matrice radicale; il rafforzamento dello scambio informativo a livello internazionale, con lo sviluppo di best practices anche con riguardo al rischio di infiltrazioni terroristiche nelle filiere migratorie e all’utilizzo di documenti falsi o contraffatti; l’adozione di formule cooperative e condivise per neutralizzare i canali di finanziamento del terrorismo.
Per quel che concerne le aree di operatività e di insediamento delle milizie di DAESH, di al Qaida e delle rispettive emanazioni, l’intelligence dovrà misurarsi con realtà fortemente destabilizzate e con il rischio di pericolose degenerazioni alle porte dell’Europa o dove insistono significativi interessi nazionali. Impegno prioritario, sul versante estero, sarà riservato all’Africa mediterranea a partire dalla Libia, a sostegno dell’articolato sforzo volto ad evitare che il Paese diventi avamposto e safe haven di formazioni terroristiche, nonchè fulcro dell’instabilità regionale sulla spinta del serrato confronto interjihadista nel Sahel. Un’assai elevata soglia di attenzione andrà parimenti mantenuta in relazione al possibile ridispiegamento di combattenti nordafricani dal teatro siro-iracheno. […]
Riguardo alla sicurezza economica nazionale:
L’interdipendenza, intesa quale portato essenziale della globalizzazione, trova la sua primaria espressione sul versante dell’economia, dove il concorso dell’intelligence a presidio del Sistema Paese è chiamato ad essere sempre più multidisciplinare, trasversale quanto agli ambiti di intervento e tempestivo sul piano sia dell’analisi che della raccolta informativa.
L’azione dei Servizi si dispiega, infatti, in un contesto per sua natura contraddistinto da equilibrio instabile, funzione di numerose variabili: l’evoluzione degli scenari esteri, specie per quel che concerne le economie avanzate ed emergenti, l’andamento dei mercati finanziari e dei corsi petroliferi, ma anche gli stessi sviluppi geopolitici; le dinamiche congiunturali interne, tenuto conto che la graduale ripresa economica va consolidata, a fronte di perduranti vulnerabilità sistemiche e deficit di competitività del tessuto produttivo nazionale.
In questa cornice, l’impegno informativo dovrà muoversi su più piani e direttrici. Si tratterà, in particolare, di: assicurare ogni supporto al processo di internazionalizzazione delle nostre imprese, minimizzandone i rischi e vigilando, secondo criteri di tutela del know-how, sulle operazioni acquisitive di attori esterni, anzitutto quelle indirizzate alla filiera della sicurezza nazionale; analizzare e cogliere con tempestività le criticità del sistema bancario e finanziario; contrastare le manovre di spionaggio digitale riconducibili a nostri competitor; garantire il necessario contributo conoscitivo alle politiche energetiche del Governo; combattere l’economia illegale e l’impresa mafiosa, operando in ambito di stretta cooperazione interistituzionale.
Vabbè, Calvino si sta rigirando nella tomba e Pörksen ormai pure lui c'ha – come si dice – "una certa"…
Peccato che non ci abbiano infilato dentro un po' di Ermeneutica Trasformativa della Gravitá Quantistica, giusto per assicurarsi che i confini vengano violati…
😉
esatto! Però dici quella con lo scappellamento a destra o a sinistra? 😉
Ragazzi, mettendo per un attimo da parte le osservazioni 'stilistiche' e guardando alla sostanza, il documento è solido e ben articolato.
Vi invito a dare uno sguardo alle Relazioni di qualche anno addietro (quando ancora erano semestrali) e a fare un rapido confronto: il livello si è innalzato. E non di poco.
Se poi vogliamo giocare a tutti i costi ad 'aguzza la vista' e 'trova l'errore', il discorso cambia 😉
barry lyndon
Barry caro, è proprio alla sostanza che tentavo di guardare! (se avessi voluto fare osservazioni meramente stilistiche avrei riportato altro…).
Invece è forse guardando alla tecnica (della Relazione…) che il livello si è alzato (un po'). Ma la "tecnica" ovviamente non è sempre tutto.
Quel che mi dispiace, invece, è che secondo me (lo sottolineo col grassetto: a parer mio) c'è una concreta tendenza a concedere, da questo punto di vista, un po' troppi "sconti" all'Istituzione. Alla quale invece gioverebbe sicuramente un po' più di "fiato sul collo" da parte dei destinatari della sua comunicazione pubblica/istituzionale (mondo accademico compreso…).
Gio’, lo sai che non condivido e, anzi, a mio avviso è esattamente il contrario. Si è troppo severi con l’Istituzione. Forse perchè non ci si rende conto di quali e quanti meccanismi operino su strutture complesse come queste.
Detto ciò, a mio avviso, tra i documenti simili pubblicati da Servizi omologhi la Relazione annuale della nostra Comunità è al TOP. Nettamente migliore, oramai, ad esempio, rispetto a quelle britanniche o statunitensi. Trovo il linguaggio ancora un po’ troppo burocratico e macchinoso, in alcuni passaggi. Ma a parte questo, che francamente è poca cosa, il livello è buono. Se poi si ha la pazienza di studiare il “divenire” di questi documenti ovvero l’evoluzione nel corso degli anni – anche in tempi tutto sommato ristretti – davvero non si può non convenire che stiamo assistendo ad un continuo miglioramento sia qualitativo che informativo.
Certo, se poi (non è il tuo caso) ci si aspetta di trovare scritte chissà quali informazioni riservate o sensazionali…. allora il problema non è nel documento ma in chi legge.
Non per tediarvi sempre con le solite cose… è solo che mi permetto di scrivere esclusivamente di argomenti che comprendo (un po'…). Siccome ne comprendo pochissimi, sono sempre gli stessi. Per cui, chiedo venia in anticipo.
Già solo tutto l' "assetto strategico" della Relazione sulla questione cyber (dai riquadri sulla "ciber jihad" a "le parole del cyber", passando per tutto il resto) dimostra che non si è affatto ben compreso né cosa sia il "cyber" né cosa sia la "sicurezza informatica" e nemmeno cosa sia la "sicurezza delle informazioni" (e nemmeno le relazioni – più o meno strategiche – che intercorrono tra le tre cose).
Tutta la trattazione "cyber" della Relazione è un autentico fallimento, prima concettuale e poi strategico (a questo proposito sarà davvero interessante stare a guardare il giorno in cui tutto l' "assetto" strategico-normativo della questione cyebr sarà concretamente messo alla prova. E non sarà un "post mortem"…).
Per non parlare del "…ruolo dell'OSINT nella prevenzione dei cyber attacks".
Ad ogni modo: se davvero vi soddisfa che questo sia l'approccio dell'Istituzione alla "questione cyber"… bene.
Se davvero ritenete che questo approccio sia corretto ed efficace… bene.
Se davvero ritenete che nella Relazione sulla POLITICA DELL'INFORMAZIONE PER LA SICUREZZA (se le parole hanno ancora un qualche senso, accidenti!) debba occuparsi di questioni relative a BIOS, firmware, hashtag, SQL Injection, Unified Extensible Firmware Interface come se fosse un volume di sicurezza informatica for dummies… bene.
A me tutto ciò fa venire la pelle d'oca.
E vi prego – una volta di più – di capire che il mio non è un discorso di mera "terminologia". Mi sto qui riferendo solo a quella per una questione di brevità. E soprattutto perché è indicatore palese, concreto ed immediato di certi fenomeni.
Spero ardentemente che gli altri e ben più critici temi – sui quali non sono abbastanza competente per esprimermi – non vengano trattati con la stessa imprudente superficialità. #Chissene #sbaRRe (ho usato due hashtag: avrò forse messo in pericolo la sicurezza cibernetica?) delle informazioni riservate. Che se le tangano, come è giusto che sia.
Ma mi spiegate perché diavolo – da cittadino che "paga le tasse" – non posso pretendere di leggere sulla Relazione considerazioni (e mi riferisco sempre e solo alla questione cyber) che non leggo già su un qualsiasi approfondimento sulla "sicurezza informatica" del Sole24ore?
Spiegatemelo. Senza però ricorrere al discorso del "target" di lettori ai quali la Relazione sarebbe destinata. E senza nemmeno sostenere quanto – della Relazione – si può (o si deve?) leggere tra le righe.
Devono dire qualcosa? La dicano, in chiaro, in italiano standard. Capacità e risorse per farlo nel modo migliore certamente non gli mancano.
Saluti a tutti.
Sile, senza entrare troppo nel merito del valore del documento (che personalmente non ho nessuna intezione di leggere e tantomeno di comparare coi precedenti o peggio coi corrispettivi francesi ed anglosassoni, life is too short), si stava un po' scherzando bonariamente su una frase piuttosto maldestra che risulta anche buffa.
Nessuna critica alle riforme del sistema o ai metodi di "impollinazione", con le api o senza?
Devo dire che sono sempre stato molto critico della pubblicistica della Difesa (spesso su questo forum) , ma le pubblicazioni sul sito del servizi non le ho mai lette troppo… l'unico punto fermo che reitero è che il form per il reclutamento è na roba che non se po' vedé
Sdrammatizziamo, ridiamoci su. Io che sono all'estro ho botte pazzesche di nostalgia. noi italiani parliamo un po' cosi'… mitico Verdone dal minuto 1:02: un'azione della sicurezza nazionale sempre tesa alla salvaguardia
https://www.youtube.com/watch?v=JmPVv6m0FMM
Senz'altro protesa a mostrare la bontà del modello (espressione che non implica il giudizio di efficacia sul campo in adempimento del compito istituzionale) per una ricognizione ampia delle aree e dei contenuti d'interesse e per una loro ricomprensione intelleggibile da parte dell'utente finale, altresì destinatario di adeguato linguaggio per ruolo e funzione…. con buona pace di Umberto Eco !
Nessuno
I nostri 007 infiltrati tra i tagliagole. I servizi
segreti: allerta su cinque siti
Tra i luoghi ritenuti piu' a rischio c'e' anche la Citta' del
Vaticano
Finora non è successo nulla in Italia. Siamo stati più
fortunati?
«No, siamo stati più bravi».
Come?
«Sui cinque siti sottoposti una vigilanza più stretta è
stata organizzata una protezione visibile anche con
l'impiego di forze armate a scopo di dissuasione.
Sappiamo benissimo – spiega l'alto dirigente dell'Aise, il ramo estero del
controspionaggio italiano – che il terrorista di Istanbul non si ferma per i due
alpini davanti al Vaticano. Però servono a cogliere dei dettagli che vengono
diffusi con tutti i mezzi di comunicazione possibili, dalla voce allo sms all'invio
in codice, a chi è in grado di collegarli con altri. Si forma una rete informativa
sul territorio. Per esempio un viso già catalogato in una banca dati per
atteggiamenti sospetti tenuti in un'altra occasione fa scattare un allarme di
prevenzione».
È concreto il rischio di attentati in Italia?
«C'è un certo numero di obiettivi sensibili per la notorietà internazionale.
Abbiamo simboli e fonti di attrazione sul di turismo».
Il Vaticano?
«È il primo di tutti e poi abbiamo città d'arte che richiamano molto il turismo».
Roma, Venezia e Firenze?
«Sì sono quelle ad alta attrazione di turismo. Siccome queste organizzazioni
terroristiche si stanno orientando a utilizzarlo sia come arma per choccare
l'opinione pubblica sia per rendere il Paese più debole economicamente».
Poi c'è la parte non visibile.
«C'è un apparato che non si vede e che è pronto a intervenire».
L'Italia ha un passato di accordi non dichiarati con organizzazioni terroristiche.
Penso al cosiddetto lodo Moro. E ora?
«Si è fatto uno sforzo per riconoscere le origini di possibili atti terroristici
contro l'Italia. Ed è stato fatto un lavoro delicatissimo e difficilissimo di
infiltrazione rafforzata negli ultimi due anni. Sono persone che lavorano con
varie coperture e che cercano di conoscere da dentro che cosa potrebbe
succedere. Raccolgono dettagli per fare un'anagrafe dei gruppi di terroristi.
Sono state importantissime le organizzazioni che si occupano di volontariato e
di aiuti di solidarietà, anche religiose».
I barconi che arrivano dalla Libia sono un pericolo?
«È un veicolo relativamente facile di infiltrazione, è chiaro. Però il fenomeno è
stato esaminato e controllato. Ci sono le misure di riconoscimento e di
contrasto. Quelle che lei vede si rivolgono contro gli scafisti. I comportamenti
anomali di possibili terroristi vengono segnalati. Le autorità decidono se
bloccarli subito o seguirli per trovare altri correi».
Il vicepresidente del Copasir Giuseppe Esposito si è lamentato anche ieri della
scarsa collaborazione con altri servizi segreti. Ha ragione?
«C'è un problema di coordinamento. Ma vediamo come sta l'Europa, non si
riesce a unificare niente. È chiaro che sarebbe auspicabile un sistema di
integrazione, di maggior scambio delle informazioni. Bisogna lavorarci molto.
Ma è un problema della politica e non degli operativi. Noi comunque finora in
Italia siamo riusciti a proteggere tutti».
Torniamo sul lodo Moro?
«Quello che posso dire è che lo schema e lo stesso. Ovviamente non c'è
nessun dialogo con il Califfato. Però ogni elemento che ci porta, anche di
sponda, a conoscere intenzioni e progetti viene utilizzato. A volte vengono
richiesti dei favori che vengono fatti. Può essere un'azione umanitaria, magari
far arrivare dei medicinali»