… nell'analisi di Carlo Jean su Formiche.net.
I curdi siriani hanno sinora fornito, con i peshmerga iracheni, le migliori fanterie della coalizione anti Isis. Hanno permesso agli Usa i maggiori successi contro l’Isis, in particolare a Kobane. Sono però osteggiati dai turchi. Ankara sa che le loro Unità di Protezione del Popolo (Ypg) sono legate al Pkk, l’organizzazione terroristica curda che ha provocato in Turchia quasi 40mila morti. Il Pkk ha combattuto con l’Ypg in Siria. Ankara ritiene che entrambi siano gruppi terroristi, che minacciano la sicurezza turca. A Washington, per la quale la Turchia è essenziale e l’Ypg molto importante, è riuscito finora un difficile equilibrismo fra i due. Ha però scontentato entrambi. La Turchia ha protestato per le armi date all’Ypg. I curdi si sono lamentati perché sarebbero state poche.
Tale equilibrismo è ora divenuto impraticabile. La situazione in Siria è mutata con l’intervento russo. Nel contempo, Ankara ha rotto i negoziati di pace con il Pkk e lo sta bombardando in Turchia e Iraq. Attacca anche l’Ypg in Siria. Esso ha approfittato dei russi per estendere il suo territorio, anche a ovest dell’Eufrate, per ricongiungersi con l’enclave di Afrin e completare il controllo curdo su tutta la frontiera che separa la Siria dalla Turchia. Ha così superato la “linea rossa” dell’Eufrate, che Recep Tayyip Erdogan aveva imposto all’avanzata curda verso Ovest. In questo i curdi sono stati sostenuti da Mosca, che ha visto nell’avanzata curda una buona occasione per seminare zizzania fra Ankara e Washington e per rafforzare Bashar al-Assad. Questo non significa che i curdi abbiano “rotto” con gli Usa. Ritengono conveniente diversificare i loro alleati.
Il Partito Democratico Curdo-Siriano (Pyd) sta verosimilmente dando per certo il successo di Assad, sostenuto dalla Russia. È stato sicuramente ammirato dall’abilità tattica di Mosca, che ha ripetutamente spiazzato gli Usa. Sta pensando al futuro. Giudica gli Usa inaffidabili per garantire la sua sicurezza contro la Turchia, che è molto più importante per gli Usa dei curdi iracheni. Quindi, Washington non s’impegnerà più di quel tanto per difendere la Rojava (denominazione del Curdistan siriano). I curdi sanno anche che non possono garantire da soli la loro sicurezza. Hanno bisogno di protettori. La Russia sembra loro più sicura, purché i curdi stipulino un’intesa con Assad. Sono sicuri di poterla fare. Nel 2011, all’inizio della guerra civile, Assad aveva promesso il riconoscimento della loro nazionalità e una larga autonomia amministrativa. I curdi avevano accettato tali condizioni. Di fatto si sono comportati come alleati del governo di Damasco, combattendo non solo l’Isis ma anche gli altri gruppi d’insorti, in particolare l’Esercito della Siria Libera (Fsa). Unità governative, tra cui la 202^ Brigata, costituita prevalentemente da drusi, sono rimaste nella Rojava.
L’intesa è stata sottolineata dalla recente apertura a Mosca di una missione permanente del Pyd. La futura geopolitica del Medio Oriente si sta precisando, dettata dall’andamento delle operazioni militari. La tregua stipulata a Monaco di Baviera non ha alcun effetto. Assad vuole riprendere il controllo dell’intera Siria. Mosca continuerà i bombardamenti a sostegno delle truppe governative. La Turchia continuerà la sua azione contro i curdi, continuando a sostenere che intende anche contribuire all’azione della coalizione anti Isis. Un eventuale attacco anche all’Ypg e alle forze di Assad da parte della Turchia e dell’Arabia Saudita, non potrà essere decisivo. Non è neppure probabile. I rischi di escalation sono troppo rilevanti. Potrebbero essere accettati da Ankara e Riad solo con un completo sostegno statunitense, che Obama non sembra disponibile a dare. Accetta quasi passivamente la bancarotta della sua politica mediorientale.
L’ambiguità comunque domina. Favorisce Mosca. È infatti una delle regole chiave della “dottrina Gerasimov” (dal nome del capo di stato maggiore generale russo), sulla cosiddetta “guerra ibrida”. Non si tratta di una nuova forma di guerra. È vecchia come il mondo. È particolarmente efficace contro un avversario, come gli Usa, incerto sui suoi obiettivi, sulla strategia da seguire e sui costi e rischi che è disposto ad assumere. Il “gioco” rimarrà saldamente nelle mani di Vladimir Putin. La scacchiera su cui gioca il presidente russo è molto più ampia della Siria. Mira ad affermare il ruolo globale di Mosca, dopo quello che Putin ha definito “il più grande disastro geopolitico della storia”: il collasso dell’Unione Sovietica.
Gli analisti sono incerti su quali siano gli obiettivi finali di Putin. Potrebbero essere due: una graduale riconciliazione che mantenga la Siria unita con un governo senza Assad, ma favorevole alla Russia (la soluzione è analoga ad una vittoria del presidente siriano); oppure, la divisione della Siria in due o tre mini-Stati. Il primo, nella parte occidentale del Paese, da Damasco a Latakia, sarebbe governato dai successori di Assad. L’altro, nella sua parte orientale, sarebbe a prevalenza sunnita, forse governato dall’Isis. Un terzo mini-Stato comprenderebbe l’area occupata dai curdi. Essi non hanno rivendicato l’indipendenza da Damasco, ma solo una larga autonomia. Probabilmente, si unirebbe allo Stato alawita/cristiano/druso. Negoziati con Mosca su tale soluzione sono certamente già in corso. Per i curdi siriani, il sostegno di Mosca potrebbe rafforzare anche quello di Washington.
La creazione di un mini-Stato o regione autonoma curdo-siriana influirà anche sul progetto dell’unità della nazione curda in un solo Stato, sostenuto dai curdi-iracheni del Krg e da Abdullah Ocalan, fondatore del Pkk. Nonostante i meriti acquisiti dai curdi per la loro lotta contro il Califfato, tale progetto, che riprenderebbe le linee tracciate nel Trattato di Sèvres, incontrerebbe l’opposizione dei quattro Stati in cui è divisa la nazione curda. Scatenerebbe una serie di conflitti che diventerebbero rapidamente ingestibili. La comunità internazionale e gli stessi Usa non sono perciò disponibili a mettere in discussione la divisione del Medio Oriente in Stati, seguita al collasso dell’impero ottomano. Molti – tra cui Erdogan e Massoud Barzani, il capo del Krg – criticano gli accordi Sykes-Picot, ma tutti temono di aprire un “vaso di Pandora”. Rischierebbe di essere travolti. Meglio limitarsi per tutti all’autonomia dei curdi-siriani e perseguire soluzioni federali negli Stati attuali
Si ha forse come l'impressione,leggendo questa analisi ,che si stiano confondendo e invertendo gli obiettivi della Russia scambiandoli per quelli che in realta' sono propri dell'asse usa-saud-turchia? La strategia di frammentazione degli stati mediorientali, secondo linee di frattura etnico-religiosa, è unanimemente riconosciuta per essere propria della coalizione anglosion-petromonarchica in salsa neo-ottomana.Peraltro quella che si puo' definire "incertezza degli usa"(neolingua orwelliana?) qualcuno potrebbe invece anche chiamarla doppio-triplo giochismo?La "teoria dell'eccezionalismo americano" di tocquevilliana memoria ,che la storia ci ha dimostrato essere funzionale come collante ideologico ad altre due tipologie di eccezionalismi,quello sionista e quello wahabita,pare ora incrinarsi per effetto di una per troppo tempo sottovalutata Russia?Se a questo aggiungiamo l'abuso,che ha poi prodotto immunizzazione,di quel virus socio-politico che sono le rivoluzioni colorate fintamente spontanee, potremmo supporre che il quadro di questo fallimento usa sia stato declinato in chiave di terrorismo globale?…a proposito ma le carovane di petrolio verso la turchia di erdogan chi le mandava?
I russi travestiti da ISIS, che domande!
Caro Orsetto,leggevo oggi su di un importantissimo quotidiano che l'impegno militare della Russia in Siria sia stato pianificato da Putin per distogliere l'attenzione dal conflitto ucraino…che dire…l'industria dei fumetti dovrebbe incominciare a temere la concorrenza di certi nostri giornali.Non che la cosiddetta "controinformazione" stia messa meglio,basti pensare al "fintoputinismo a fini di contenimento" che è stato montato in fretta e furia sui set italiani.
Fuori la Turchia dalla Nato !!!!
Temo non ci convenga, ahinoi….
Buon Natale Asimmetrico
In gravissimo ritardo: grazie
Ci sono 2 Libri interessanti al primo piano della libreria Feltrinelli vicino a Largo Susanna …..
Buon Anno a Tutti
Ciao Anonimo. Quali?
Silendo,
se la passerella non faceva parte dell'accordo per la liberazione, i Direttori dei Sirvizi non potevano suggerire ai Politici un basso profilo al momento di ricevere Silvia Romano?
Il pentito: “Così la ’ndrangheta avvertì e salvò l’agente di Moro”
Pubblicato da ppiccini52 il 6 Agosto 2020
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di Simona Zecchi
“Rocco Musolino (boss di Sant’Eufemia dell’Aspromonte ndr) mi disse che aveva salvato un compaesano a lui legato che era il personaggio chiave della scorta di Aldo Moro, facendogli sapere che quel giorno egli non doveva andare a lavorare. Fu proprio quello il giorno dell’eccidio”. Sono le parole del pentito Filippo Barreca trascritte in un verbale dell’8 settembre 2016. L’uomo scampato alla strage di via Fani del 16 marzo 1978 è il vicebrigadiere Rocco Gentiluomo di Sant’Eufemia d’Aspromonte, deceduto tre anni fa. Gentiluomo era il capo-scorta degli agenti che seguivano Aldo Moro.
Il vero angelo custode di Moro, però, era il maresciallo Oreste Leonardi, che decideva insieme a Moro stesso, ogni giorno, l’itinerario da fare. Fatto che si evince anche dai due unici interrogatori a cui viene sottoposto Gentiluomo, sia dal giudice Imposimato nel 1978 sia durante un’audizione della prima Commissione Moro nel 1981 dove, insieme ad altri non di turno il 16 marzo, dichiarerà anche che Moro faceva tutte le volte lo stesso percorso. Dichiarazioni queste subito smentite dalla moglie del presidente Dc, Eleonora.
Quelle parole Filippo Barreca, tra i più rilevanti collaboratori di giustizia di ’ndrangheta, le ha pronunciate davanti al magistrato Guido Salvini e al tenente colonnello Massimo Giraudo. La testimonianza veniva raccolta ai fini delle indagini che l’ultima Commissione parlamentare sul sequestro e l’omicidio dell’onorevole Moro, stava conducendo. Ma di queste dichiarazioni non c’è traccia in alcuna delle relazioni pubblicate dal 2015 fino alla fine legislatura nel dicembre 2017. Ne fa debole cenno l’ex presidente della Commissione, Giuseppe Fioroni, quando pone una domanda al procuratore aggiunto di Reggio Calabria il 27 settembre 2017. Lombardo, che con il suo ufficio ha concluso da pochi giorni l’importante processo ’Ndrangheta Stragista culminato in una sentenza di condanna, spiega come proprio l’area indicata dell’Aspromonte sia di riferimento alle famiglie di vertice (Nirta, Piromalli, De Stefano, Musolino, Serraino) che già prima del 1970 avevano creato la struttura riservata, parte di quella specie di massoneria che interviene in molti dei cosiddetti “misteri” italiani.
Questo verbale si va ad aggiungere ad altri elementi, come la presenza del boss Antonio Nirta (classe 1947) in via Fani, la cui immagine immortalata quel giorno sul luogo della strage è stata riconosciuta dal Ris come aderente al 99% a quella del boss, e i sospetti, mai confermati, sulla presenza del legionario Giustino De Vuono utilizzato (questo è certo) dalla famiglia Nirta di San Luca in quegli anni. E, infine, a quanto dichiarato da Antonio Fiume, l’armiere dei Di Stefano, (ritenuto attendibile dalla procura di Reggio Calabria) che ha parlato di due mitragliette Skorpion da lui in precedenza custodite insieme ad altre armi, come presumibilmente utilizzate quel giorno in via Fani.
La componente ai vertici della ’ndrangheta, insomma, aveva anche deciso la vita di chi doveva restare vivo e chi no quel 16 marzo del 1978, quando alle 9.02 del mattino all’angolo fra via Fani e via Stresa a nord della Capitale, moriranno i 5 agenti della scorta di Moro.
Il vicebrigadiere Francesco Zizzi, che sostituì Gentiluomo, è l’unico a non morire sul colpo, perderà la vita due ore dopo in ospedale. Le indagini svolte dalla Commissione nel corso del tempo su quest’anomala sostituzione (che non è l’unica, anche l’appuntato dei carabinieri Domenico Ricci morirà al posto dell’autista Otello Riccioni) indicano documenti poco chiari sui turni svolti dal Gentiluomo e strane assenze del suo nome nel cosiddetto ruolino del personale. Nulla di più se non una dichiarazione di un suo collega, Adelmo Saba, che aveva raccolto la confidenza del Gentiluomo affermando di “essere stato salvato”. Ma nessuno gli ha mai creduto.
Il collaboratore di giustizia Barreca è ormai senza protezione dal 2017, così come i suoi familiari, nonostante le sue dichiarazioni sin dal 1992 siano ancora ritenute rilevanti per i diversi processi che sono stati istruiti nel corso degli anni fino a oggi, e nonostante sia ancora chiamato a testimoniare: così almeno è avvenuto fino al giugno 2020 per la strage della nave Moby Prince (10 aprile 1991) data ultima indicata dal suo avvocato nelle carte della causa che Barreca ha intentato contro il ministero dell’Interno.
Il collaboratore non si sottrae comunque al suo ruolo, per quanto sin dal 2009 la sua vera identità nel luogo dove risiede sia stata esposta pubblicamente e la sua attività legalmente impostata come concordato con lo Stato abbia subìto un grave tracollo. Tanti i fatti da lui riferiti e via via riscontrati che riguardano anche quelle indicibili commistioni fra mafie, massoneria e servizi segreti. Ma c’è un altro documento di cui vale la pena scrivere e da noi consultato: è presente presso l’Archivio Centrale dello Stato in Roma e proviene dalla Marina Militare. Il documento riferisce dell’operazione dei Comsubin (Comando subacqueo e incursori) pronti a intervenire “durante la crisi Moro”. Il ruolo dell’unità speciale è rimasto segreto fino al 1991 quando lo rivelò Cossiga. Il documento nr. 13/255/5 del 5 ottobre 1991 nell’indicare però la cronologia precisa d’intervento di quei 55 giorni pone al 15 marzo il giorno del rapimento di Moro e all’8 maggio il giorno del ritrovamento del corpo: i commenti riferiti ai due giorni rispettivamente sono di “stato di allerta” autonomo e di “prosieguo del corso fino al suo completamento” nel giorno del “rinvenimento del cadavere di Moro”. Le date ufficiali della storia sono invece quelle che tutti conosciamo: 16 marzo e 9 maggio 1978. Difficile pensare a un errore di battitura, le attività trascritte sono parte di una serie cronologica fitta comprendente l’arco dei giorni del sequestro e sigillata da timbri e contro timbri. Il 15 marzo 1978 al vicebrigadiere Gentiluomo viene detto di prendersi delle ferie. Un giorno fortunato il suo, mentre i Comsubin si pongono già in stato di allerta autonoma per intervenire nel caso Moro che deve ancora iniziare.
http://www.ilfattoquotidiano.it
FONTE : https://pierluigipiccini.it/il-pentito-cosi-la-ndrangheta-avverti-e-salvo-lagente-di-moro/
….. nuovo incarico al Dott. Mancini ?