Nei prossimi mesi la competizione per la Casa Bianca entrerà nel vivo. Stephen Walt, noto e notevole docente di relazioni internazionali ad Harvard, ha pensato di elencare le cinque cose fondamentali in materia di politica estera che un candidato alla Casa Bianca non può non conoscere. Un utile reminder per chiunque si interessi all'argomento.
Foreign Policy, inoltre, segnala l'audizione di fronte alla commissione difesa del Senato statunitense di Michèle Flournoy. Già sottosegretaria del Pentagono, una dei fondatori del CNAS nonchè membro di board di altri think tank, la Flournoy è stata candidata al posto di ministro della Difesa ma ha rinunciato per "impegni familiari". Foreign Policy, adesso, ritiene che la vera motivazione fosse, invece, l'insoddisfazione per la cattiva gestione della politica di difesa da parte della Casa Bianca di Obama e dello stesso Pentagono. In particolare la Flournoy ritiene che il problema sia causato da ciò che lei definisce "la tirannia del consenso".
[..] Recently, there has been a chorus of complaints about the growth of the National Security Council staff and the tendency of a larger NSC to micromanage aspects of policy development and execution that historically have been left to the departments and agencies, particularly the Defense Department. Such complaints have been heard episodically since the Kennedy administration, and they do have some merit today. Equally important though less discussed, however, are the problems that plague the policy process within the Department of Defense.
Perhaps the most pernicious of these is what I like to call “the tyranny of consensus” that has come to dominate the Pentagon, particularly in how the Joint Staff (and sometimes the Office of the Secretary of Defense (OSD)) integrates diverse views from the Combatant Commands and the Services in bringing issues forward to the Chairman, the Secretary of Defense, and the NSC process. Reaching consensus – “focusing on what we can all agree on” – has become an end in itself in too many areas, from strategy development to contingency planning for operations to defining acquisition requirements. Getting the concurrence of a broad range of stakeholders on a given course of action too often takes precedence over framing and assessing a set of compelling options or alternatives to present to senior leaders for decision. This consensus-driven process also takes more time, undermining the Department’s agility and ability to respond to fast-moving events, let alone get ahead of them. While Goldwater-Nichols’ emphasis on fostering jointness in military operations has been absolutely critical to the success of the U.S. military over the last three decades, the emphasis on jointness in policy development is misplaced. In a bureaucratic culture in which consensus is king, the result is too often “lowest common denominator” solutions. […]
Più in generale, evidenzia la Flournoy, è l'intero processo di pianificazione strategica del Pentagono ad essere deficitario. Esso, nel corso degli anni, è diventato un processo "routinario" che coinvolge troppi attori ed è privo sia di una leadership che di chiare priorità:
[…] The second problem I would highlight is that DoD’s strategy development process is broken. At the heart of this process is the Quadrennial Defense Review (QDR), mandated by Congress. Although the need for a robust, rigorous and regular strategic planning process within the Department remains valid, the QDR routinely falls short of this aspiration. Over the years, the QDR has become a routinized, bottom-up staff exercise that includes hundreds of participants and consumes many thousands of manhours, rather than a top-down leadership exercise that sets clear priorities, makes hard choices and allocates risk. In addition, the requirement to produce an unclassified QDR report tends to make the final product more of a glossy coffee table brochure written primarily for outside audiences, including the press, allies and partners, defense industry, and the Hill. What the Department needs, however, is a classified, hard-hitting strategy document that can be used to guide concrete actions, resource allocation within the Department, and engagement with key oversight partners in the Congress. […]
Le considerazioni che la Flournoy esprime sul processo di pianificazione strategica del DoD USA (e, nello specifico, sulla QDR) costituiscono un'ulteriore conferma di due tendenze che caratterizzano i processi decisionali di molte amministrazioni (anche europee):
– lo spostamento dell'attenzione (e delle risorse) sul processo, a discapito dei risultati. Si tende ad essere talmente rigorosi nel rispettare le regole dei processi, che si incappa nell'errore (macroscopico) di vedere la compliance alle regole come fine del processo decisionale stesso! Si perde di vista, quindi, il vero fine dei processi decisionali: adottare delle decisioni che abbiano degli output ed outcome misurabili.
– la spinta bottom-up, che spesso è la diretta conseguenza del 'vuoto' della politica o di quelle posizioni vertice che fanno da cerniera tra il livello politico e quello amministrativo. In sostanza le amministrazioni (non solo quelle della difesa e della sicurezza nazionale), in assenza di una chiara policy e di obiettivi strategici fissati dal vertice politico-amministrativo, tendono a riempire gli spazi vuoti, colmandoli con obiettivi che, proveniendo dal 'basso', non possono che essere di livello gestionale\operativo e quasi mai strategico. Questa spinta dal basso (in qualche misura fisiologica e necessaria a compensare la carenza di leadership) porta inevitabilmente ad un "impoverimento" dei processi decisionali di vertice. Tali processi diventano degli esercizi di stile, routinari, in cui prevalgono gli aspetti 'procedimentali' e le questioni 'gestionali', cadendo spesso nella deriva del micromanagement.
barry lyndon
Caro Barry, come al solito pennelli la situazione…. 😉
Standing ovation per Barry!
Aggiungo solo che – stando almeno alla mia esperienza – è già una bella fortuna quando la "spinta dal basso" esiste ed è in qualche modo "positiva" (con tutte le limitazioni "sistemiche" di cui Barry parlava, s'intende).
Infatti più che di un "impoverimento" dei processi decisionali di vertice (che magari poveri lo sono già per fatti loro, a prescindere da quel che fanno "sotto"…) io parlerei di un radicato fenomeno di abdicatio – più o meno spontanea, più o meno consapevole, più o meno completa, più o meno "topic driven" – di ruoli decisionali strategici (e conseguentemente, in una qualche misura, di responsabilità) a favore delle "strutture" sottostanti*.
Ciò non significa – tout court – che i risultati non siano misurabili, ma semplicemente che vengono misurati sulla base di una parametrizzazione che può rivelarsi inadatta ad oggettivare il livello di efficacia strategica della decisione. E questo è forse anche peggio dell'assenza di misurazione.
Troppo spesso accade infatti che il risultato insoddisfacente di una misurazione inadeguata invece che far riflettere sulle modalità con la quale è stata effettuata, finisca permettere in dubbio l'utilità stessa della misurazione (in altre parole se sto misurando la temperatura del forno di casa con un igrometro e poi mi ustiono afferando il tegame della crostata a mani nude, non vuol affatto dire che misurare la temperatura del forno non sia il metodo giusto per cuocere crostate sempre perfette. Specie se di crostate non devo cuocerne una ogni tanto ma cinquanta al giorno (perché vendere crostate è il mio core business…).
* è il classico caso del decisore di vertice che dice "mi dovete dire voi cosa devo fare, voi siete i tecnici"
Giovanni, la standing ovation te la meriti tu, hai centrato il problema perfettamente, infatti stavo per scrivere un commento, poi ho letto il tuo e non ne ho più avuto bisogno.
Le attività process oriented (generalmente molto amate da burocrati e middle managers) sono in realtá altamente misurabili. La misura dell'attuazione dei processi viene in genere trivializzata e ridotta ad un box ticking exercise che permette a certi individui di pararsi il posteriore potendo affermare di aver fatto il loro dovere ma senza aver fatto nulla di effettivamente utile o produttivo.
Caro Hooded, sei troppo gentile… io al massimo merito una "scrambled UOVAtion"… 😉 😀
Incredibile, accade anche in campo aeronautico