Dal Corriere.it
Con 395 voti favorevoli, 5 contrari e 26 astenuti la Camera ha approvato la norma del decreto missioni militari all’estero che permetterà al presidente del Consiglio dei ministri di disporre operazioni speciali all’estero affidate ai corpi militari speciali d’elite rinconducibil alla catena di comando dei servizi segreti.
L’emendamento proposto dai relatori (Andrea Causin di Scelta civica e Andrea Romano del Pd) è stato votato dalla maggioranza mentre Sel e M5S si sono astenuti dopo aver ottenuto alcune modifiche al testo.L’immunità
I militari dei corpi speciali (paracadutisti del Col Moschin, incursori del Comsubin della Marina ma anche i Gis dei carabinieri mentre) potranno godere delle stesse garanzie funzionali attribuite agli 007 dei servizi segreti nell’esercizio delle loro funzioni. L’immunità sarà valida solo per il periodo della operazione speciale e verrà estesa (grazie a un subemendamento Piras Villecco-Calipari) al supporto della Difesa che poi vuol dire al personale necessario per far marciare mezzi navali, aerei ed elicotteri. Su richiesta dei grillini, poi, è stato deciso che il Copasir (comitato di controllo sui servizi) riferirà al Parlamento ogni 24 mesi sulle operazioni speciali già svolte. È stato stabilito infine che il presidente del Consiglio «può» avvalersi della collaborazione del Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica (Cisr). L’emendamento sulle operazioni speciali approvato dalla Camera riprende un testo già votato dalla commissione Difesa del Senato presieduta da Nicola Latorre (Pd), che ha chiesto e ottenuto lo stralcio della norma per farla viaggiare più velocemente nel decreto missioni. L’intero decreto missioni ora dovrà essere confermato dall’assemblea di Palazzo Madama.Il premier
«Il presidente del Consiglio, acquisito il parere del comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (comitato parlamentare) emana disposizioni per l’adozione di misure di intelligence di contrasto, in situazioni di crisi o emergenza all’estero che coinvolgano aspetti della sicurezza nazionale….».I militari
«Al personale delle Forze armate impiegato in situazioni di crisi o di emergenza all’estero, che coinvolgano aspetti della sicurezza nazionale o per la protezione di cittadini italiani all’estero, si applicano le disposizioni di cui all’articolo…17, comma, 7 della legge 3 agosto 2007 numero 124…». Tradotto dal criptico lessico legislativo, questo vuol dire che il presidente del Consiglio potrà disporre per le operazioni speciali all’estero di una catena di comando affidata ai Servizi segreti (al Dis, cioè a se stesso) che a loro volta potranno disporre anche gerarchicamente, tagliando fuori la Difesa, dei corpi speciali militari d’élite come i paracaduti del Col Moschin o gli incursori del Comsubin della Marina.Garanzie funzionali
I militari dei corpi speciali impiegati nelle operazioni speciali verranno temporaneamente, se operativi, equiparati agli 007 dei Servizi segreti. Oltre la maggiorazione della diaria estera (più 30 per cento) verranno coperti dalle cosiddette garanzie funzionali previste dalla legge 124 del 2007 che disciplina i servizi di sicurezza. Non è licenza di uccidere Una volta impiegato all’estero per le operazioni speciali «non sarà punibile il personale che ponga in essere condotte previste dalla legge come reato, legittimamente autorizzate di volta in volta». Tuttavia il secondo comma dello stesso articolo 17 della legge sui Servizi chiarisce che non si tratta di una licenza di uccidere: «La speciale causa di giustificazione non si applica se la condotta prevista dalla legge come reato configura delitti a mettere in pericolo o a ledere la vita, l’integrità fisica, la personalità individuale, la libertà personale, la libertà morale la salute o l’incolumità di una o più persone». […]
La speciale causa di giustificazione ….. non si
applica se la condotta prevista dalla legge come reato configura
delitti diretti a mettere in pericolo o a ledere la vita,
l'integrita' fisica, la personalita' individuale, la liberta'
personale, la liberta' morale, la salute o l'incolumita' di una o
piu' persone.
A che può servire ad un comsubin che gli fosse ordinato di liberare un ostaggio italiano in mano a jihadisti?
L.
Nel caso da te prospettato, le garanzie funzionali prospettate dall'emandamento non ti occorrono. Un comsubin a cui venga ordinato di liberare un ostaggio italiano in mano a jihadisti, posto che questi siano armati, può tranquillamente divertirsi a crivellarli di colpi senza incorrere "in grattacapi particolari". Le garanzie funzionali in parola, piuttosto, servono per casistiche più articolate che necessitano di coperture normative più ampie rispetto al caso accademico, peraltro molto semplice, da te ipotizzato
Secondo me hai colto nel segno Asso, non scarterei l'ipotesi che le FS e alcune FOS verranno impiegate in missioni che non sono quelle per cui tradizionalmente sono state impiegate finora. Maggior integrazione con l'IC e chissá magari anche una certa osmosi… O forse è semplicemente una tattica di hedging bets.
Silendo,
leggo e sento ripetere più volte :
" Per difendere la Libertà e la Nostra Sicurezza,
dobbiamo accettare di rinunciare a qualche pezzetto di Privacy" .
Pero' faccio notare che Tutti i Servizi non sono disposti a mettere in
comune (leggasi Privacy) le proprie Banche Dati e Informazioni.
Se no si Fidano fra di Loro, perché dovremmo farlo Noi che oltretutto
non abbiamo la stessa possibilità di controllare ?
B.A.
Garanzie funzionali
Una volta impiegato all’estero per le operazioni speciali «non sarà punibile il personale che ponga in essere condotte previste dalla legge come reato, legittimamente autorizzate di volta in volta». Non si puo' non ricordare Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.
Silendo,
volevo chiederTi se il Decreto in oggetto non avesse lo scopo di non dover passare preventivamente per il Parlamento (forse solo presso il Copasir a posteriori).
Non mi sembra che le operazioni degli appartenenti ai Servizi Segreti (e quindi ora dei Ns. Corpi Speciali con funzionalità degli agenti segreti) siano state in passato autorizzate e votate preventivamente o a posteriori dal Parlamento Italiano.
B.A.
Caro Babbano, buonasera.
Non conoscendo il testo del decreto ho qualche problema a commentare
Diciamo che ritengo che si tratti di operatori dei corpi speciali messi ad operare per la raccolta informativa. Dubito, insomma, che la normale catena di comando militare sia stata sovvertita.
Scusa Silendo, ma solo ora ho visto l'aticolo a firma di Anna Maria Greco su IL GIORNALE di oggi dal Titolo :
" LA STRANA GUERRA SEGRETA – MATTEO SI AFFIDA AGLI 007 "
ove il Senatore Gaetano Quagliarello le stesse considerazioni sulla irritualità anche della Catena di Comando.
A proposito il Presidente della Repubblica non è anche il Capo delle Forze Armate ?
B.A. confuso
Ti segnalo anche l'articolo anche l'articolo su IL FATTO QUOTDIANO di oggi dove
il Costituzionalista Prof. Alessandro Pace "Una pazzia usare gli 007 per bypassare il Parlamento"
"Una pazzia usare gli 007 lì senza passare per il Parlamento "
B.A.
Il parere del costituzionalista Pace:È una pazzia usare gli 007 per bypassare il Parlamento”
di Tommaso Rodano 04 Marzo 2016
Tommaso Rodano intervista il costituzionalista Alessandro Pace sul modo insensato nel quale il governo Rnzi calpesta la Costituzione e il buon senso per condurre, per conto degli USA, la "guerra informale" in Libia. Il Fatto quotidiano, 4 marzo 2016
Professor Alessandro Pace, l’Italia di fatto è entrata in guerra in Libia. Prima ha fornto supporto logistico agli alleati, presto sarà anche sul campo. Il Corriere ci informa che è tutto deciso, dalla linea di comando alle regole d’ingaggio. Tutto determinato in un decreto secretato del presidente del Consiglio del 10 febbraio. Il Parlamento assiste in silenzio. È normale?
« No, sarebbe gravissimo. La missione militare in Libia dovrebbe essere prima essere autorizzata dalle commissioni congiunte Difesa ed Esteri, mediante una risoluzione. Quanto agli aspetti finanziari, in genere è un decreto legge del governo a finanziare le missioni militare e a determinare lo status dei militari, col conseguente controllo parlamentare in sede di conversione del decreto. Questa è la cornice normativa. Ormai sta maturando la spiacevole abitudine a fare guerre praticamente senza dichiararle, ma quando si decide una missione militare il Parlamento non può essere eluso, come sembra stia avvenendo. Purtroppo non è una dinamica sorprendente».
Cosa intende?
«È una tendenza consolidata, quella di indebolire il Parlamento. Si vede anche in questa orrenda riforma costituzionale: la deliberazione sullo stato di guerra, quindi sulla missione militare, spetta soltanto alla Camera dei deputati, mentre avrebbe dovuto essere bicamerale. Una scelta in linea con il percorso intrapreso negli ultimi anni: prima una legge elettorale che trasforma in maggioranza un partito che ha preso il 25 per cento dei voti alle elezioni, poi quella stessa maggioranza manomette il Senato e annichilisce il Parlamento, nel nome di un rapporto verticale con l’esecutivo, privo di equilibrio«.
Nel caso del nostro intervento in Li bia, peraltro, le operazioni delle unità speciali mili tari saranno dirette dai servizi se greti. La gui da sarà affi data all’Aise, il servizio se greto per lasicurezza e sterna. L’Aise risponde al premier, non alla Difesa».
«Dice davvero? Mi dà una notizia che non conoscevo. Trasecolo».
Il decreto del presidente del Consiglio del 10 febbraio specifica che “nelle situazioni di crisi e di emergenza che richiedono l’attuazione di provvedimenti eccezionali e urgenti il premier può autorizzare, avvalendosi del Dis, l’Aise ad adottare misure di intelligence e di contrasto anche con la cooperazione tecnica operativa fornita dalle forze speciali della Difesa”. In poche parole, spiega il Corriere, “licenza di uccidere e impunità per eventuali reati"
Nel caso del nostro intervento in Li-bia, peraltro, le operazioni delle unità speciali mili tari saranno dirette dai servizi se-greti. La gui-da sarà affi- data all’Aise, il servizio se-greto per la sicurezza e sterna. L’Aise risponde al premier, non alla Difesa.
«Faccio fatica a credere a quello che dice. È una pazzia. È impossibile che siano i servizi segreti a guidare le operazioni. Le funzioni istituzionali dell’Aise concernono l e “informazioni per la sicurezza anche al di fuori del territorio nazionale”, non la direzione delle operazioni di unità speciali. Insomma, non è il loro mestiere, quello di guidare una missione all’estero».
C’è chi definisce quella in Libia una “guerra informale” all’Isis.
«La definizione già fa ridere, ma una guerra informale non è comunque una guerra segreta. Io non credo possano arrivare a una bestialità di questo genere, al di là del bene e del male: ci faremmo ridere dietro dal resto del mondo».
B.A. … se duplicato scusate
Libia, cosa cambia con il decreto Renzi sui militari 007. Parla il generale Camporini
Michele Pierri <a href=’http://server.daoadv.com/www/delivery/ck.php?n=ad97112a&amp;cb=%n’ target=’_blank’> <img src=’http://server.daoadv.com/www/delivery/avw.php?zoneid=42&amp;cb=%n&amp;n=ad97112a&amp;ct0=%c’ border=’0′ alt=” /> </a>
Conversazione di Formiche.net con il generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa, oggi vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali (Iai)
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Il nostro servizio segreto per la sicurezza esterna, l’Aise, potrebbe “dirigere le operazioni di unità speciali militari italiane in Libia”, secondo “una nuova linea di comando… “decisa con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri adottato il 10 febbraio”.
È quanto scrive il Corriere della Sera, che racconta che “una cinquantina di incursori del Col Moschin dovrebbero partire nelle prossime ore” per il Paese nordafricano, per aggiungersi “alle unità speciali di altri Paesi, Francia, Inghilterra e Stati Uniti, che già da alcune settimane raccolgono informazioni e compiono azioni riservate” nell’ex Regno di Muammar Gheddafi.
Sona alcuni degli aspetti analizzati in una conversazione di Formiche.net con il generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa, oggi vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali (Iai).
Generale, il Corriere della Sera scrive che “sarà l’Aise, il nostro servizio segreto per la sicurezza esterna, a dirigere le operazioni di unità speciali militari italiane in Libia”. Che cosa ne pensa?
In quella ricostruzione ci sono a mio avviso alcune cose vere e altre poco credibili. Partiamo dalle prime. È vero che – in base a quanto stabilito nel decreto missioni dello scorso anno (e confermato con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri adottato il 10 febbraio, scrive Galluzzo, ndr) – i nostri militari di unità speciali, per missioni speciali decise e coordinate da Palazzo Chigi, avranno le garanzie funzionali degli 007. Fin qui nulla da eccepire, anzi, se proprio l’intelligence deve fare affidamento su forze che provengono al di fuori del proprio perimetro, è bene che queste siano preparate come quelle delle forze speciali. Non è assolutamente vero, invece, che potranno avere licenza di uccidere e impunità per eventuali reati commessi, perché nemmeno i nostri Servizi segreti le hanno.
Ma esiste la possibilità concreta che nostre forze speciali agiscano in Libia nelle prossime ore?
Impossibile dirlo con certezza, anche se mi stupirebbe. I nostri 007 lo fanno da tempo, è vero, ed è un’altra storia. Ma il nostro governo e quelli di altri Paesi sono stati finora categorici, a mio avviso con le giuste prudenza e saggezza: non metteremo scarponi sul terreno in Libia fino a che questa richiesta non arriverà da un legittimo governo nazionale libico.
Che vantaggi e che svantaggi avrebbe questa nuova modalità di azione?
Mi sembrerebbe innanzitutto un cambio di rotta radicale, ma se accadesse credo che ci sarebbero sicuramente ragioni che noi adesso non conosciamo e che in seguito dovranno essere spiegate.
In questo modo non sarebbe necessario un passaggio parlamentare?
A livello tecnico qualsiasi operazione militare fuori da nostri confini che non venga notificata al Parlamento con un’informativa sarebbe non dico illegittima, ma quanto meno scorretta. Detto ciò, se l’ipotesi del Corriere fosse vera, e io ritengo che non lo sia, sarebbe necessaria un’informativa, quanto meno alle Commissioni competenti.
Se l’ipotesi del Corriere della Sera si rivelasse vera, cosa ne penserebbe il mondo militare? Ci sarebbero malumori?
I militari hanno una tradizione consolidata di assoluta aderenza alle direttive ricevute. Non rientra nel loro modus operandi discutere o disapprovare i piani dei governi. L’unica cosa che chiedono è di conoscere esattamente gli obiettivi da perseguire, perché solo così possono essere davvero efficaci. Se si facesse come nei Balcani nel ’95, dove andammo solo per essere presenti e lavarci la coscienza, non gioverebbe a nessuno. In Kosovo ci sono ancora 5mila soldati della Nato, segno evidente che a distanza di oltre vent’anni la situazione è tutt’altro che risolta.
Con il nuovo assetto normativo, in operazioni di questo tipo (che secondo il decreto missioni citato dal Corriere della Sera prevedono “che il capo del governo nelle situazioni di crisi all’estero che richiedono provvedimenti eccezionali ed urgenti «può autorizzare», avvalendosi del Dis, il nostro servizio segreto per l’estero, l’Aise ad avvalersi dei corpi speciali delle nostre Forze armate”) la Difesa avrà un ruolo secondario rispetto alla presidenza del Consiglio?
Da tempo sostengo che è necessaria maggiore chiarezza sulla linea di comando di impiego delle Forze armate. Lo aveva già notato a suo tempo Francesco Cossiga. Sappiamo che nell’attuale struttura del governo italiano il potere del presidente del Consiglio è più informale che altro. Non sono stati rari i casi in cui decisioni assunte in passato nel Consiglio supremo di Difesa siano state poi disattese da singoli ministeri pochi minuti dopo. In questo concordo che serva una linea d’azione chiara.
Gli interventisti sostengono che ormai in Libia non sia più tempo di aspettare e che bisognerebbe agire.
Io penso che ci siano ancora spazi per negoziare. Ad esempio sarebbe utile proporre ai libici anche un Piano B, che preveda una tripartizione del Paese in mancanza del raggiungimento di un accordo. Questo a mio avviso li spronerebbe a muoversi e a trovare un’intesa.
Non potrebbe avere invece l’effetto contrario, ovvero spingere le parti a governare il proprio orticello e gestire così in autonomia i propri affari?
Lo escludo. Anche se sappiamo che talvolta le motivazioni etnico-politiche hanno più presa di quelle finanziarie, credo che nessuno lo voglia. Finora le uniche istituzioni che hanno retto nel Paese sono la Banca nazionale e la National oil company, la compagnia petrolifera nazionale libica, le sole a dividere in modo equanime i proventi del petrolio. Separarsi significherebbe anche dividere queste entità con effetti imprevedibili. I campi ad est, poi, sono di basso profilo.
Questa sarebbe una soluzione auspicata dagli Stati Uniti?
Credo che negli Usa ci sia una tendenza, ormai consolidata, a non immischiarsi nelle questioni regionali degli alleati, intervenendo solo attività di strike quando alcuni interessi specifici sono minacciati. Ci offrono supporto, ma non risolveranno per noi il problema.
E Francia e Regno Unito? Tra gli alleati sembrano di gran lunga i più attivi.
Vero, ma finora – nonostante gli appelli e le ricostruzioni di qualche media schierato come Le Monde Diplomatique – non hanno fatto molto di più di qualche attacco mirato. Credo invece che sia Parigi sia Londra siano in linea con l’idea prudente manifestata finora dal nostro governo anche perché, credo ed auspico, che non vogliano replicare gli errori commessi nel 2011.
B.A.
Vi spiego a cosa serviranno in Libia i nostri militari 007. Parla il generale Arpino
Michele Pierri
Conversazione di Formiche.net con il generale Mario Arpino, già capo di Stato maggiore della Difesa
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In virtù di una nuova linea di comando decisa con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri adottato il 10 febbraio, sarà l’Aise, il nostro servizio segreto per la sicurezza esterna, a dirigere le operazioni di unità speciali militari italiane in Libia.
Secondo indiscrezioni di stampa, una cinquantina di incursori del Col Moschin dovrebbero partire nelle prossime ore per il Paese nordafricano, per sommarsi alle unità speciali di altre nazioni, Francia, Inghilterra e Stati Uniti, che già da qualche settimana raccolgono informazioni e compiono azioni riservate nell’ex regno di Muammar Gheddafi.
Cosa cambia con questo nuovo strumento? È assimilabile a un’operazione militare? O ne è solo il preludio?
Sono alcuni degli aspetti analizzati in una conversazione di Formiche.net con il generale Mario Arpino, già capo di Stato maggiore della Difesa.
Generale, con una nuova linea di comando decisa con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri adottato il 10 febbraio, sarà l’Aise, il nostro servizio segreto per la sicurezza esterna, a dirigere le operazioni di unità speciali militari italiane in Libia. Che cosa ne pensa?
Su questo argomento va fatta chiarezza. Si tratta di un nuovo strumento a disposizione di Palazzo Chigi per offrire supporto temporaneo e in singole operazioni da parte di Forze speciali alla nostra intelligence. Mi sembra perciò naturale che sia l’Aise ad occuparsene.
Ma esiste la possibilità concreta che nostre Forze speciali agiscano in Libia nelle prossime ore?
Sì, ovviamente c’è, visto che ora esiste il quadro giuridico che la consente, anche se al momento non mi risulta che il nono reggimento Col Moschin abbia ricevuto ordini in merito. Forse arriveranno nelle prossime ore, ma al momento non ne abbiamo evidenza né ufficiale né ufficiosa. Sicuramente sono pronti a farlo, perché è compito delle nostre Forze armate quello di prepararsi preventivamente a qualsiasi evenienza, come quella, tragica, che ha portato alla morte di due e alla liberazione di altri due tecnici italiani sequestrati.
Che vantaggi e che svantaggi avrebbe questa nuova modalità di azione?
Io vedo solo aspetti positivi, perché per i nostri 007 avere a fianco Forze speciali, in determinate situazioni in cui si paventano scontri a fuoco o pericoli particolari, non può che far bene. Gli Usa e altri Paesi lo hanno sempre fatto.
Con il nuovo assetto normativo la Difesa avrà un ruolo secondario rispetto alla presidenza del Consiglio?
No, non condivido le analisi di chi lo crede. L’importante è che questo genere di operazioni che – lo ripeto – sono di pura intelligence, seppur rafforzate, non si trasformino in qualcosa di più, ovvero interventi militari. In quel caso sì, si tratterebbe di “un colpo di mano”. Ma finora non abbiamo prove che supportino questa ipotesi.
Con l’impiego di Forze speciali a supporto degli 007 non sarebbe necessario il consueto passaggio parlamentare?
A mio avviso no. Il presidente del Consiglio ha il potere questo di dare il via a questo tipo di operazioni attraverso il sottosegretario delegato alla Sicurezza della Repubblica (oggi Marco Minniti), che poi dispone al direttore del Dis (Giampiero Massolo), che a sua volta trasferisce al numero uno dell’Aise (Alberto Manenti). Il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), che altro non è che un organismo parlamentare, viene dunque informato delle operazioni, seppur muovendosi in modo riservato. Se poi da attività di intelligence si dovesse passare a un’operazione militare, allora sì che sarebbe d’obbligo informare il Parlamento tutto.
Ritiene possibile che presto l’Italia porti in Libia i cosiddetti scarponi sul terreno in una vera e propria operazione militare?
Se mi dovessi attenere a quanto ascoltato finora dai nostri politici direi di no. Il governo ha fissato dei limiti – insediamento del governo di unità nazionale e conseguente richiesta di intervento – che dice di non voler superare. D’altro canto è altrettanto vero che queste sono probabilmente condizioni che non si realizzeranno mai e che, nel frattempo, la pressione di Washington ed altri alleati perché l’Italia prenda in mano la missione – ruolo che fra l’altro noi stessi abbiamo richiesto – aumenta. Ci potremmo dunque trovare presto in una situazione in cui il nostro intervento sia obbligato. A meno che non si voglia finire come nel 2011. Non aspettiamoci che qualcuno tuteli i nostri interessi al posto nostro. Nessuno si strappa i capelli per farlo.
Non vede possibilità di accordi all’orizzonte?
Al momento no. Si potrebbe però percorrere una strada finora non battuta, che è quella di un modello federale, abbandonando l’idea di un governo unico. Per l’Italia significherebbe perdere qualcosa sul piano dei propri interessi regionali, ma non intervenire militarmente, quindi non avere troppi problemi dal punto di vista politico. Insomma, va fatta una scelta.
ultima modifica: 2016-03-04T14:50:19+00:00 da Michele Pierri
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04/03/2016
B.A
Libia: Italia si muove, corpi speciali con garanzie da 007 "licenza di uccidere e impunita' per eventuali reati"
03 Marzo 2016. Esteri (409) (0)
Mentre sale l'allarme attentati e due tecnici italiani, Salvatore Failla e Fausto Piano, sono stati usati come scudi umani e uccisi in Libia, l'Italia e' pronta a muoversi. Tanto che gli 007 sono già sul posto aprire la strada ad piccolo contingente, un centinaio di uomini di unita' speciali, paracaduti ed incursori, che prepareranno il terreno ad per per un'operazione su più vasta scala. Le operazioni saranno decise dall'Aise, il nostro servizio segreto per la sicurezza esterna, direttamente da palazzo Chigi. La nuova leva di comando e' stata stabilita con un decreto del presidente del Consiglio del 10 febbraio. Il decreto stabilisce le modalità operative e la linea di comando: i militari delle unita' speciali avranno le garanzie funzionali degli 007, licenza di uccidere e impunita' per eventuali reati commessi. Il ministro libico di Tripoli, Ali Ramadam dice si' alla guida italiana, ma ogni azione dovra' essere concordata. "Se così' non fosse – spiega in un'intervista al Corriere – da legittima battaglia contro il terrorismo diventerebbe palese violazione della nostra sovranità nazionale". Per il via libera a questa prima fase non occorre il voto del Parlamento, e' sufficiente un'informativa del governo alle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato. Sara comunque il premier a dare il via alle operazioni chirurgiche. Se poi in un secondo tempo si deciderà per una "Missione di imposizione della pace" (ma perché non chiamare ogni cosa con il suo nome, pur sempre di guerra si tratta, forse stona dire "giusta guerra"?) con l'invio di 3mila uomini, sempre di forze ben addestrate, sarà necessario un voto del Parlamento.
– See more at: http://www.in20righe.it/esteri/6848-libia-italia-si-muove-corpi-speciali-con-garanzie-da-007-licenza-di-uccidere-e-impunita-per-eventuali-reati.html#sthash.6xhHS9oc.dpuf
B.A.
"licenza di uccidere"?
I giornalisti dovrebbero imparare a fare meglio il proprio mestiere.
barry lyndon
https://youtu.be/RMDtyQiKTok
Ahahahah
molto Eighties
barry lyndon
PS: preferisco altre interpretazioni del tema 😉
Dimmi barry, quali versioni ti piacciono? In effetti questa è piuttosto sui generis.
(Forse avrei dovuto linkare License to Kill cantata da Gladys Knight per essere fedele al motto!)
No momento, occorre una precisazione riguardo l'interpretazione: gli Art of Noise sono il mito. Semplicemente in questo LP già non sono più "gli Art of Noise"… 😉
Però Dan Dare contenuto in quel LP é un brano molto bello. A mio parere.
Si senza dubbio. Però non è più "quella cosa". Quella del – che so… – "Who's Afraid of…"… E' come se fosse una analisi di intelligence buona ma un po' scopiazzata dalle fonti, invece che essere "analisi" in senso profondo del termine… 😀 😀
[P.S.: io e il caro Hooded – in solido e convintamente – chiediamo venia per l'OT… 😀 ]
Perdonateci, è l'età che ci porta a divagare.
😀 😀 😀
Caro Claw,
ti dirò, sono affezionato all'originale anni '60:
https://www.youtube.com/watch?v=6ebAssCr990
barry lyndon
PS: anche se non è annoverabile tra le variazioni sul tema, ti segnalo una 'chicca'. E' un brano che avrebbe dovuto essere parte della colonna sonora dell'ultimio episodio cinematrografico. Scartato dalla produzione perchè non adeguatamente mainstream. Secondo me, un piccolo capolavoro: https://soundcloud.com/radiohead/spectre
PS2: perdonate lo sconfinamento in territori ….musicali
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-03-05/il-decreto-era-necessario-081250.shtml?uuid=AC64KLiC
barry lyndon
http://www.affarinternazionali.it/libromese.asp?ID=113
Volevo segnalare l'articolo su il libro del Prof. Natalino RONZETTI sull'Art. 11 della Costituzione Italiana .
B.A. Auguri a Tutti ….
La crisi di Lampedusa del IV secolo, di Claudio Borgognoni.
:http://www.leftwing.it/2011/04/07/la-crisi-di-lampedusa-del-iv-secolo/
I manuali di storia antica fissano generalmente la fine dell’Impero romano al 476 dopo Cristo, quando il re dei Goti Odoacre depose l’imperatore Romolo Augustolo. Ma l’impero aveva iniziato a cadere ben prima. Iniziò tutto in Tracia, alla periferia dell’impero, tra il 376 e il 378. Un afflusso imprevisto di profughi, una catastrofe umanitaria, uno scontro violento dall’esito impensabile.
Siamo in pieno IV secolo. L’impero è saldo. Si è ripreso dalla crisi istituzionale ed economica del secolo precedente. L’economia tira, il mondo appare tranquillo. Certo, ci sono i barbari alle frontiere, ma quelli non sono un problema. Ci sono sempre stati e l’impero ha ormai imparato a gestirli. Premono per entrare, di tanto in tanto, in occasione di una carestia o di una guerra. Entrano, saccheggiano qualche fattoria romana, poi se ne tornano indietro. Quando esagerano con le scorrerie si manda qualche legione oltre il Reno oppure oltre il Danubio e si sistema brutalmente la situazione.
Ma da almeno tre secoli i romani hanno capito che questi popoli possono anche essere molto utili. Nel IV secolo l’impero romano è un territorio immenso, in molte province le campagne sono spopolate dalla crisi demografica, improduttive e sottosviluppate. D’altra parte Roma, Costantinopoli e le altre metropoli consumano risorse, e qualcuno quelle risorse deve produrle. L’impero in quel momento ha bisogno di due cose: lavoratori e soldati.
Da questo punto di vista gli immigrati barbari sono perfetti: mano d’opera a basso costo per coltivare la terra dei ricchi proprietari terrieri e reclute da fornire alle legioni per rimpinguare un esercito sempre affamato di uomini. Lo hanno già fatto con successo Traiano, Adriano, Marco Aurelio, Costantino, non c‘è ragione per non proseguire.
Roma li prende e li integra. Assegnando loro terra da coltivare, come coloni o con contratti di affitto perpetuo. Oppure con vent’anni di servizio militare nelle legioni: al congedo lo straniero, ormai del tutto romanizzato, riceve cittadinanza romana e terra da coltivare. In entrambi i casi, di fatto, già dopo pochi anni diventano romani a tutti gli effetti. Del resto questi barbari così minacciosi non chiedono altro.
L’idea che accogliere e integrare questa enorme forza lavoro sia più conveniente che impiegare uomini e risorse per respingerli o sterminarli è ormai ampiamente condivisa. Sentite Temistio, un retore del IV secolo, con quali argomenti rifiuta l’idea di respingere con la forza i Goti oltre le frontiere:
«Forse sarebbe meglio riempire la Tracia di cadaveri piuttosto che di contadini? Non vedete che già i barbari trasformano le loro armi in zappe e falci e arano i loro campi? Non vi ricordate quante volte abbiamo già fatto entrare tra noi altri popoli e oggi nessuno si ricorda che un giorno erano barbari? Guardate i Galati, sistemati in Asia Minore tanto tempo fa. Non possono più essere chiamati barbari. Sono a tutti gli effetti Romani. Pagano le stesse nostre tasse servono con noi nell’esercito; sono amministrati secondo lo stesso statuto degli altri, sottomessi alle stesse leggi. E la stessa cosa tra poco accadrà ai Goti».
Certo, la popolazione li guarda spesso con diffidenza; del resto è gente strana, diversa, ha la pelle chiara e i capelli biondi. Che tuttavia non chiede altro che integrarsi, di partecipare a un modo di vita certamente più allettante del nomadismo per le steppe. In una parola: di diventare romani. Alcuni, i più svegli, fanno carriera, soprattutto nell’esercito; e certo da questo processo la composizione sociale delle città di provincia esce profondamente modificata, suscitando talvolta reazioni di rigetto. Ecco Sinesio, un ricco latifondista nordafricano:
«Solo un pazzo potrebbe non aver paura, vedendo tutti questi giovani cresciuti all’estero, e che continuano a vivere secondo le loro abitudini, incaricati di gestire l’attività militare nel paese».
Ciò d’altra parte non impedisce allo stesso Sinesio di servirsi di immigrati Unni per sorvegliare i propri campi e di dichiararsi anzi entusiasta dei loro servizi. E di proseguire così:
«Qualunque famiglia, che goda anche solo di un po’ di benessere, ha lo schiavo goto; in tutte le case sono goti quello che prepara la tavola, quello che si occupa del forno, quello che porta l’anfora; e fra gli schiavi accompagnatori, quelli che si caricano sulle spalle gli sgabelli pieghevoli su cui i padroni possono sedere per strada, sono tutti Goti».
Insomma, in fondo questi immigrati barbari sono una benedizione anche e soprattutto per chi, quasi per un riflesso condizionato, li disprezza e finge di temerli.
Del resto sono undici secoli che Roma accoglie e integra stranieri. Enea, il capostipite, non era forse egli stesso un profugo scampato alla guerra di Troia? E i re Tarquini? Non erano forse stranieri venuti a Roma in cerca di fortuna? Se c‘è un tratto distintivo di Roma, e per molti versi la ragione della sua fortuna, è proprio questo: accogliere e integrare gli stranieri. La romanità di ciascuno, in un impero che si vuole universale e globalizzato non ha nulla a che vedere con l’etnia.
Le classi dirigenti ne sono ben consapevoli, lo rivendicano con orgoglio, perfino: quando l’imperatore Claudio decide di far entrare nel Senato alcuni Galli Senoni, da poco sconfitti in guerra, il suo discorso richiama proprio questo argomento, l’irrilevanza della consanguinitas, cioè dell’etnia:
«La mia famiglia viene dalla Sabina, il mio antenato Clausus il giorno stesso in cui ebbe la cittadinanza romana fu accolto anche nel patriziato».
E ancora:
«Cosa credete che abbia decretato la rovina di Atene e di Sparta? Il fatto che esse, sebbene fossero molto forti sul piano militare, respingevano i vinti in quanto stranieri. Romolo, invece, è stato così saggio da considerare immediatamente cittadini anche i popoli stranieri appena sottomessi».
Si arriva al 212 d.C., e l’imperatore Caracalla emana la Constitutio Antoniniana, qualcosa di più di una sanatoria: da un giorno all’altro praticamente tutti gli abitanti di ogni provincia dell’impero ricevono la cittadinanza romana. Diventano cittadini romani a tutti gli effetti. Ancora a distanza di secoli intellettuali come sant’Agostino e Rutilio Namaziano parlano di quell’atto politico come di una «decisione gratissima e umanissima» e lodano l’imperatore «per aver dato un’unica cittadinanza a popoli diversi».
La situazione non deve sembrare del tutto inusuale, dunque, nel 376, quando un’ondata di profughi Goti si riversa alle frontiere dell’impero, sulle sponde orientali del Danubio. Sono uomini e donne terrorizzati dagli Unni, un popolo nomade e guerriero che ha preso a devastare le loro terre. I Goti stanno fuggendo dalla guerra, abbandonano le proprie case, si ammassano alle frontiere dell’impero e chiedono di entrare.
Con i Goti già da cinquant’anni è in vigore un accordo diplomatico che ne regola i flussi di ingresso, e bene o male ha sempre funzionato; per il resto l’impero ha strutture amministrative deputate espressamente a questo: gestire l’afflusso dei barbari, decidere di volta in volta le quote di ingresso, negoziarle con i capi delle tribù, assegnare agli immigrati terre o indirizzarli all’esercito. È una prassi ormai consolidata. Funziona. Ha sempre funzionato. Gli ufficiali dell’impero, anzi, si fregano le mani per quell’insperato colpo di fortuna. Ce lo spiega Ammiano Marcellino, il maggiore storico del periodo:
«Esaltavano la fortuna del sovrano che, senza che egli se l’aspettasse, gli procurava dalle più lontane regioni tante reclute che, unendo le proprie forze a quelle straniere, avrebbe disposto di un esercito invincibile. In tal maniera invece di fornire all’esercito uomini, i latifondisti delle province avrebbero potuto inviare all’erario denaro in gran quantità. Con questa speranza furono mandati diversi funzionari incaricati di trasportare su veicoli quell’orda selvaggia».
Insomma, forza lavoro e gettito fiscale.
L’amministrazione imperiale autorizza dunque l’ingresso degli immigrati e anzi organizza essa stessa le operazioni di trasbordo. L’ordine dell’imperatore è di assegnare a ciascuna tribù che arriva una porzione di terre incolte all’interno dell’impero, e mentre queste vengono individuate e assegnate tenere i profughi in strutture di permanenza temporanea, sorvegliarli e provvedere al loro sostentamento.
Il trasporto tuttavia precede a rilento, non si riesce a far sbarcare tutti i profughi in tempi ragionevoli, anche perché più i romani ne traghettano al di qua il fiume, più da oltre il Danubio ne accorrono di nuovi. Evidentemente si è sparsa la notizia che la frontiera con l’impero è aperta e che i romani stanno facendo passare più o meno tutti.
Sempre da Ammiano:
«Venivano trasportati in schiere oltre il fiume giorno e notte su barche, zattere e tronchi d’albero scavati. Poiché il Danubio è un fiume assai pericoloso e per di più allora era in piena per le abbondanti piogge, parecchi perirono annegati mentre a causa della gran massa di gente tentavano di attraversarlo contro corrente e cercavano di nuotare».
Ma le cose non procedono come al solito: la confusione della situazione, il gran numero dei profughi, l’inettitudine e la corruzione dei funzionari romani rallentano le operazioni. Per il proprio vantaggio personale, invece di accelerare le operazioni e di indirizzare tutta quella massa di persone nei luoghi a loro assegnati, molti dei funzionari romani preferiscono temporeggiare e tenerli lì, in condizioni disumane, nell’immenso campo profughi che si è formato. Si sono accorti, infatti, che da quella situazione possono lucrare col mercato nero vendendo a quei disperati poche derrate alimentari a prezzi altissimi o in cambio di giovani Goti da rendere schiavi. Così quei centri di raccolta temporanea si riempiono e molto presto la situazione degenera a tal punto che i romani interrompono ogni forma di accoglienza, e le stesse barche con cui avevano trasportato i Goti al di qua del Danubio vengono ora utilizzate per pattugliare le rive e respingere eventuali sbarchi clandestini.
In breve tempo le strutture di accoglienza collassano ed è il caos. La fame, la pioggia, il freddo, la disorganizzazione fanno il resto. I profughi iniziano ad essere esasperati da quella situazione e tra i funzionari romani si fa avanti il presentimento che le cose possano sfuggire di mano da un momento all’altro.
In questo clima iniziano le operazioni di trasferimento di alcune tribù dal campo profughi verso la prima vera città all’interno dell’impero, Marcianopoli, destinata ad accoglierne almeno una parte. In realtà la città è del tutto impreparata a ricevere questa massa di persone. La popolazione ne è spaventata, non ha la minima intenzione di fraternizzare con questa gente e li lascia fuori dalle porte della città, senza cibo e senza alloggio.
Come se non bastasse, per motivi poco chiari, e in modo del tutto irragionevole, uno dei dirigenti imperiali pensa bene di attentare senza successo alla vita di Fritigerno, uno dei capi barbari con il quale egli stesso è riunito a banchettare e a trattare le modalità di ingresso e di stanziamento dei profughi. A quel punto ogni accordo è rotto. Esasperati da settimane ai limiti della vivibilità e vedendo delusa ogni speranza di ricevere una sistemazione e un lavoro, i profughi decidono di far da sé e di prendere con la forza ciò che non ricevono dall’amministrazione imperiale. Si danno ai saccheggi; scoppiano violenti scontri con la popolazione locale.
La situazione è ormai del tutto fuori controllo. I barbari organizzano un esercito, dapprima piccolo, poi sempre più ingente grazie all’arrivo di altri immigrati; vagano per la Tracia e saccheggiano le campagne lasciate a se stesse.
Quando l’imperatore si muove in prima persona col proprio esercito è ormai troppo tardi. Il 9 agosto del 378, presso Adrianopoli, le legioni romane affrontano l’esercito barbaro e vengono sbaragliate. L’imperatore Valente muore in battaglia. I barbari hanno ormai campo libero e devastano la Tracia.
Da quel momento, pur continuando a entrare nell’impero, i barbari smettono di integrarsi. Dall’altra parte, tra le élite romane si sviluppa un movimento di opinione antibarbarico e talvolta palesemente razzista. L’impero continua a stipulare accordi coi barbari e ad arruolarli nell’esercito ma, venuta meno ogni forma di integrazione, questi formano ormai bande autonome di mercenari sempre meno legate all’impero e alla figura dell’imperatore. Nel V secolo costituiscono regni sempre più autonomi in tutto l’occidente. Quando nel 476 il re dei Goti Odoacre depone l’imperatore Romolo Augustolo, pochi tra i contemporanei si accorgono che quella è la caduta dell’Impero romano d’occidente: di fatto l’impero era caduto cent’anni prima. Ad Adrianopoli.
In breve, finché seppe accogliere e integrare i barbari, l’impero prosperò. Quando l’integrazione fallì e si arrivò allo scontro ne nacque un mondo nuovo. E in quel mondo nuovo la peggio la ebbero i ricchi romani che si credevano privilegiati, la vecchia Europa – diremmo oggi – stanca e spaventata. Vinsero i Goti. Che erano giovani. E avevano fame.
CARRAI NON PASSERAI? CERTO CHE PASSERAI! – IL MIGLIORE AMICO DI RENZI, BLOCCATA LA NOMINA A CAPO DELLA CYBER-SECURITY, DIVENTERÀ ''CONSULENTE'' DEL DIS, IL DIPARTIMENTO DEI SERVIZI SEGRETI CHE DIPENDE DIRETTAMENTE DA PALAZZO CHIGI – 70MILA EURO L'ANNO PER UN CONFLITTO D'INTERESSI GRANDE COME UNA CASA. COME LA CASA CHE PAGAVA A RENZI
Tramontata l' idea di piazzare Carrai alla guida della cyber-security italiana, il 3 aprile, intervistato da Lucia Annunziata nella trasmissione In mezz' ora, Renzi aveva annunciato: "Carrai lavorerà con me a Palazzo Chigi, non ci vedo nulla di male, e il progetto della cyber-security andrà avanti ugualmente"…
Antonio Massari e Davide Vecchi per il “Fatto quotidiano”
Una consulenza per Marco Carrai firmata dal Dipartimento informazioni per la sicurezza (Dis). È di questo che si discute da giorni, tra la presidenza del Consiglio e il vertice del Dipartimento, per sistemare la partita che vede Renzi spingere, ormai da mesi, per affidare al suo amico un incarico nei servizi segreti italiani. La firma del direttore del Dis, Gianpiero Massolo, secondo i programmi, dovrebbe arrivare la prossima settimana per un incarico da circa 70 mila euro. E in queste ore il Dis, di concerto con Palazzo Chigi, sta studiando che tipo di consulenza affidare a Carrai, stabilendo se secretarla oppure no.
Tramontata l' idea di piazzare Carrai alla guida della cyber-security italiana, il 3 aprile, intervistato da Lucia Annunziata nella trasmissione In mezz' ora, Renzi aveva annunciato: "Carrai lavorerà con me a Palazzo Chigi, non ci vedo nulla di male, e il progetto della cyber-security andrà avanti ugualmente".
Evidentemente Renzi aveva in mente proprio il Dis, che dipende dalla Presidenza del Consiglio. Oggetto dell' incarico, ancora una volta, la cyber-security così cara all' amico del premier. Consulenza che gli viene affidata anche in virtù dei suoi ottimi rapporti con Israele, con la quale potrà collaborare ai futuri progetti di sicurezza informatica.
Il Fatto Quotidiano, con un' inchiesta pubblicata poche settimane fa, ha rivelato un' intricata matassa societaria che vede al centro Carrai e altri importanti uomini legati al premier, come il finanziere londinese Davide Serra, o il leopoldino Fabrizio Landi, poi nominato nel cda di Finmeccanica. E un progetto, quello appunto della cyber-security, che nasce già nell' estate 2012 quando Renzi scende in campo per la prima volta, candidandosi alle primarie del Pd, che lo vedranno soccombere a Bersani.
In quell' estate Carrai vola in Lussemburgo per creare la Wadi Ventures management capital sarl, con il lobbista israeliano Jonathan Pacifici e Marco Bernabé. Poi in Italia crea la Cambridge management consulting labs, società che si occupa di consulenza per le aziende, mentre nelle società lussemburghesi iniziano gli aumenti di capitale, grazie agli ingressi di Serra e Leonardo Bellodi, già responsabile delle relazioni istituzionali di Eni, poi di Landi e Michele Pizzarotti, patron del quarto gruppo di costruzioni italiano, infine Reuven Ulmansky, veterano della unità 8200 dell' esercito israeliano, equivalente alla Nsa americana.
Ecco, dopo l' inchiesta del Fatto, e i conseguenti malumori del Quirinale, Renzi abbandonò l' idea di affidare a Carrai l' intero comparto della cyber-securiry. In queste ore torna alla carica, con una consulenza firmata dal Dis, ma il problema resta identico: sarebbe il caso che Carrai, prima di essere nominato, lasci tutte le società e faccia chiarezza sui suoi rapporti privati.
D' altronde, è lo stesso Carrai ai vertici elle fondazioni che hanno finanziato, attraverso la ricerca di fondi, l' ascesa politica di Renzi. Ed è lo stesso Carrai che, a Firenze, metteva un appartamento a disposizione dell' ex sindaco e presidente di Provincia. Lo stesso Carrai poi nominato alla guida degli aeroporti toscani.
E nel 2014, proprio nell' anno in cui Renzi diventa premier, fonda la CYS4 , la cyber-security company, con tre sedi in Italia e una a Tel Aviv. Anche da consulente del Dis, insomma, Carrai si troverebbe in conflitto di interessi. Ma questo non sembra scoraggiare né lui, né Renzi, che aspetta nella prossima settimana di poter finalmente vedere l' ingresso del suo fidato amico all' interno dei servizi segreti. Se non è potuto entrare platealmente dall' ingresso principale, con la guida di un' intera agenzia, che possa farlo da un ingresso secondario, con una semplice consulenza.
B.A.
Si potrebbe pensare ad un contratto di solidarietà fra tutte le Barbe Finte per pagare la cosulenza senza frequentare la Ditta.
LA CIA NON AMA GLI AMICI DI RENZI – NEL MIRINO IL RAPPORTO DI MARCO CARRAI, A CUI RENZI VORREBBE FAR AVERE UNA CONSULENZA COI SERVIZI SEGRETI, CON MICHAEL LEDEEN, GIA' ACCUSATO DI AVERE LEGAMI CON LA P2, E ORA SAREBBE DIVENTATO UNA "SPIA DI ISRAELE"
Mattarella lo ha già fermato una volta. Ma Renzi insiste: vuole Carrai a Palazzo Chigi, a tutti i costi. Tanto che, dopo aver incassato un "no" quando ha provato a piazzarlo a capo della cyber securuty, ora sta cercando di trovargli una poltrona al Dis. Ma le amicizie d'Oltreoceano rischiano di complicare la partita…
Sergio Rame per Il Giornale
L'uomo chiave, secondo le carte della Cia, è Michael Ledeen. Un personaggio noto alle cronache italiane già ai tempi della "crisi di Sigonella", vicino al presidente Ronald Reagan.
Per la Cia Ledeen sarebbe diventato una "spia di Israele". Un'accusa che lo ha fatto allontanare da Washington e che, stando alle carte pubblicate oggi dal Fatto Quotidiano, rischia ora di imbarazzare Marco Carrai, a cui Matteo Renzi vorrebbe far avere una consulenza col Dis, l'organismo di coordinamento dei servizi segreti.
Sull'americano, che in passato era stato accusato di avere legami con la P2, c'è infatti un'inchiesta del Pentagono che potrebbe mettere in serio imbarazzo gli 007 italiani e Palazzo Chigi.
Il capo dello Stato Sergio Mattarella lo ha già fermato una volta. Ma Renzi insiste: vuole Carrai a Palazzo Chigi, a tutti i costi. Tanto che, dopo aver incassato un "no" quando ha provato a piazzarlo a capo della cyber securuty, ora sta cercando di trovargli una poltrona al Dis. Ma le amicizie d'Oltreoceano rischiano di complicare la partita.
Anche perché queste amicizie, che secondo la Cia hanno a che fare con le spie del Mossad, tirano in ballo lo stesso Renzi. Come ricostruisce il Fatto Quotidiano, infatti, nel 2006 la Provincia di Firenze paga a Ledeen un viaggio nel capoluogo toscano. È qui che i due si conoscono. Un paio d'anni dopo Renzi vola in America per vederlo di nuovo.
Il link tra Ledeen e Renzi resta comunque Carrai che intrattiene buoni rapporti pure con Noar Gilon, dal 2012 ambasciatore d'Israele. Non è infatti un mistero che Carrai abbia profondi interessi a Tel Aviv dove, come rivela il Fatto Quotidiano, "sono presenti due società a lui riconducibili con soci pesanti in Israele come Jonathan Pacifici e Reuven Ulmansky, veterano della Nsa, ex Unità 8200, dell'Israel Defence Force".
Ledeen è da tempo sotto gli obiettivi del Pentagono. Almeno da quando conosce Gilon all'American Israeli Public Affair Committee (Aipac). I loro rapporti sarebbero emersi in una recente inchiesta che ha portato alla luce un flusso illegale di informazioni riservate al Mossad e che ha portato alla condanna di Lawrence Franklin, analista dell'ex sottosegretario alla Difesa Douglas Feith, a 12 anni di carcere.
I legami, però, sono tutti da accertare. E molto spesso si perdono nella nebbia dei servizi di intelligence. Tanto che lo stesso Gilon mette in guardia dal seguire certe piste: "L'intera inchiesta si basa su frammenti di informazione e su una distorta interpretazione di fatti non corretti. È tutto parte di una teoria del complotto che non merita alcuna seria considerazione".
Seguo la vicenda Carrai perchè mi appassionano tanto sti argomenti di Spy Story.
Ho notato che abbiamo rapporti piuttosto stretti con gli israeliani (i nostri satelliti spia per esempio li abbiamo comprati da loro, alcune società di sicurezza informatica impelagate con il nostro governo hanno sede a Tel aviv.
Sto Carrai, sgradito dagli americani, è legato a tripla mandata con israele.
Forse ho capito male, ma pare che i nostri rapporti di intelligence sono più stretti con il popolo di David che con il popolo di McDonalds.
Qualora non sbagliassi….qualcuno sa dirmi il perchè ?
Ciao Ettore
a me non sembra che i nostri servizi siano più legati agli israeliani che agli USA. Riguardo a Carrai, a prescindere da chi conosca e cosa sappia fare, il fatto che si pensi dargli le chiavi di un pezzo di intelligence o anche solo incarichi di rilievo è un sintomo del decadimento del paese e del fatto che Mattro Renzi non ha il minimo senso dello Stato.
L'Italia ha sempre patito la mancanza, diciamo dall'era giolittiana, di una burocrazia (intendo le alte sfere) competente, solida, fedele allo stato e non al politico, in grado di guidare il politico, proteggerlo, consigliarlo, smussarne le intemperanze, calmarne gli ardori, e di portare avanti le cose nel passaggio da un ministro all'altro. La prima cura di un buon politco dovrebbe essere quella di sostenere la propria burocrazia, promuoverne autonomia e qualità, affidandosi a funzionari di carriera, individuare i competenti tra loro e farli emergere. Il suo sogno dovrebbe essere quello di sapere che anche in sua assenza lo Stato è in buone mani e che a lui serve solo dare la direzione. Insomma, quello che hanno fatto il Re Sole e Richelieu. Mettere la vertice compagnucci del borgo natio (preparati o no) va esattamente contro questo imperativo. Fa comodo al politico di turno (un uomo mio mi sarà sempre debitore e si presterà a tutte le cose che gli chiedero') ma fa male allo Stato.
In sintesi, Carrai è sintomo del fatto che il nostro premier vale poco come uomo di Stato, e probabilmente che ha fallito nella sua azione di governo perchè non è riuscito a cooptare le alte sfere dell'amministrazione e deve ricorrere ai suoi accoliti per fare le cose. Cauduto Renzi di Carrai rimarrà poco (il che non vuol dire che a Carrai rimarrà poco, dipende da quanto sarà stato rapido nell'afferrare potere e contratti, che poi è lo scopo del gioco).
Ciao
Nemo
Caro Nemo,
grazie per il chiarimento.
😉
Seguirò la questione con molto interesse, credo che comunque vada la questione investa tutto il popolo italiano, e la faccenda Carrai è sintomatica di quanto, di fatto, non esista lo Stato Italiano, ma solo una serie di potentati e gruppi di potere in lotta tra di loro per emergere o mantenere la propria posizione.
Ciao Ettore
Lo Stato Italiano esiste e non eiste. Non battiamo moneta, non controlliamo i confini , tutte le decisioni strategiche sono prese altrove e probabilmente anche il monopolio della forza è discutibile. Uno scienziato politico direbbe che lo Stato Italiano sta cessando di esistere. A questo aggiungi che la nostra classe dirigente è più interessata ad acquistare benemerenze a Bruxelles e presso banchieri che a fare l'interesse della nazione. E l'effetto si vede. Denatalità, spopolamento degli autoctoni, deindustrializzazione, crollo del pil, calo della speranza di vita. Peggio di una guerra persa. E sti imbecilli pensano al cyber.
Ma è una cosa che non deve stupire. Casi del genere ce ne sono stati molti nella storia. Se prendi per esempio la Yugoslavia 10 anni prima della sua dissoluzione ci sono paralleli impressionanti con l'Italia di oggi. Magari quando facciamo il botto torniamo ad essere uno stato, magari ci dissolviamo. Vedremo. In ogni caso non sarà indolore.
Mi piacerebbere avere 5 minuti con un direttore di dipartimento analisi dell'AISI e chiedergli se a parte le masturbazioni cyber (per carità, l'onanismo ha una sua enorme utilità) hanno una vaga idea della castrofe sistemica a cui stiamo andando incontro (magari se lo dicono tra loro ma non hanno il coraggio di aprire bocca coi politici per non perdere il posto) o se davvero credono che il problema sia il cyber. Se hai voglia di spendere tempo in letture edificanti, le ricerche ex post sul collasso del sistema sovietico e sulle percezioni/beliefs della loro dirigenza prima del collasso sono affascinati (ho il sospetto che i loro leader fossero anni luce avanti ai nostri come intelletto e consapevolezza).
Ciao
Nemo
Concordo con quello che dice Nemo sui legami tra servizi italiani e israeliani. Secondo me se la relazione tra i due fosse così stretta non credo che l'Italia avrebbe potuto mantenere il rapporto 'privilegiato' con l'Iran anche nei tempi in cui l'embargo era più aspro.
Nemo, mi spieghi perché Ettore compare due volte, ma la seconda si firma Nemo?
quel commento l'ho postato io e mi ero firmato Nemo, nell'intestazione e sotto, almeni credo. Non so, forse ho sbagliato, any way è mio.
Nemo