… la Francia si prepara a fronteggiare attacchi informatici su vasta scala.
Lo afferma il generale Eric Bonnemaison in un’intervista durante i lavori del “Forum international de la Cybersécurité“.
[…] La France est-elle préparée à une cyberattaque de grande ampleur ?
– Difficile de répondre si nous sommes prêts ou non, tant qu’on n’a pas vécu une telle attaque. En tout cas, on s’y prépare. Nous réfléchissons à tous les scénarios possibles et imaginables. Nous avons déjà identifié toutes les infrastructures vitales qu’il faut protéger pour que la nation de soit pas désorganisée en cas d’attaque. Par exemple, une cyberattaque contre les centrales nucléaires françaises pourrait avoir un impact immédiat sur l’électricité…Pensez-vous à l’importante attaque contre le groupe nucléaire Areva ?
– Pas forcément. Tout le monde est attaqué, en permanence, du Pentagone au ministère de la Défense. Après, est-ce que ce sont des attaques minimes faciles à résoudre avec nos spécialistes ? Le plus souvent, oui. La cyberattaque la plus inquiétante est celle qui s’introduit et reste dormante le temps d’infecter tout le réseau, pour ne se déclencher qu’au bout d’un an ou deux, paralysant par la même l’intégralité du réseau. Cette attaque pernicieuse, profonde et sur le long terme représente un vrai danger. Et tous les pays réfléchissent aux multiples scénarios pour ne pas être surpris.Doit-on craindre une cyberattaque comme en 2007 en Estonie où le pays avait été paralysé pendant plusieurs jours ?
– Oui, on peut le craindre. Mais désormais nous connaissons bien ces attaques de déni de service (dites “DDoS”). Nous avons réfléchi aux conséquences d’une telle attaque et mis en place un certain nombre de verrous et de pare-feux pour stopper l’attaque le plus rapidement possible. Il s’agit aussi de réfléchir aux mesures pour limiter la casse et assurer la continuité des services, comme la paye des fonctionnaires ou la Banque de France, par exemple.Le prochain Livre blanc verra-t-il la France affirmer une capacité “offensive” en matière de cyberdéfense ?
– La question est importante. Mais le mot “offensif” ne fait pas partie du vocabulaire français dans ce domaine. L’idée est plutôt de développer des capacités qui permettent de se protéger, d’essayer de trouver d’où viennent les cyberattaques et les interrompre.L’idée de riposte est-elle exclue ? Les Etats-Unis peuvent considérer les cyberattaques comme des attaques de guerre
– La riposte fait partie d’une logique de dissuasion et donc d’un flou que l’ensemble des pays entretiennent. Mais la question de l’imputabilité reste prépondérante. On peut riposter, mais contre qui ? Les cyberattaques peuvent venir des quatre coins du monde, sans que l’auteur ne puisse être identifié. Il y a aussi des questions juridiques puisque le cadre de la légitime défense est circonscrit par l’ONU. […]
Parafrasando l’opera deamicisiana:
“Vate, tu uccidi il tuo STV!”
😛
Lo so… ma è funzionale ad un percorso di riflessione…
Fidati 😉
Se lo dici tu, non ho dubbi. Ma intanto io sono morto.
Ti sembra una bella cosa?
😛
Tu sei invincibile, dai…
Purtroppo non è vero… Però dopo questo post mi sento già 10 anni di meno 😀 😛
Giovanni, posso chiederti cosa ti ha “ucciso” di questa intervista?
Sultano carissimo,
non è tanto l’intervista in sé quanto il Vate Nostrum che l’ha pubblicata – sebbene con finalità strategiche – procurandomi incommensurabile dolore al mio fegato di sinistra 😀 😛
A parte gli scherzi (so che questa premessa mal mi si addice, ma ci provo :P) il problema non è l’intervista ma il modo – ormai generalizzato – di approcciare alla “questione cibernetica” (uso questa locuzione con grande difficoltà, in quanto assolutamente priva di significato in questo contesto). A tal riguardo ho abbondantemente espresso il mio pensiero altrove e quindi eviterei di insistere perché ripetendomi rischierei di annoiare.
Molto brevemente però vorrei evidenziare due fenomeni. Il primo è una specie fallacia interpretativa che ha effetti non solo linguistici ma soprattutto semantici e concettuali. E’ oggi diffuso l’uso del termine “cibernetica” (e dei suoi prefissi derivati ciber_ e cyber_) per definire tutto ciò che è attiene alla rete internet e che invece con la cibernetica ha molto poco a che fare. Il termine ha significati molto precisi e la sua declinazione originale fa riferimento a fenomeni (il feedback…) presenti tanto nella natura sia animale che in quella artificiale (le macchine) ma che con internet in quanto rete telematica hanno a che fare in maniera che definirei piuttosto marginale*.
Ad essere “cibernetico” infatti è in primo luogo il mondo naturale (che è il VERO “spazio cibernetico”) e solo secondariamente quello “artificiale”, ma solo in quanto creato dall’uomo sulla base dei fenomeni – il feedback appunto – che ben conosceva. Questa cyber_prassi porta alla fallacia interpretativa di cui sopra che ha come effetto la completa esclusione (vorrei dire totale disinteresse) dalla trattazione della problematica di ogni considerazione relativa alla natura dell’informazione (intesa come fenomeno naturale, fisico e – nella prassi comunicativa umana e non solo – pragmatico) alla sua struttura e alle sue leggi.
Ciò porta al secondo fenomeno che io chiamo “del rimbalzo sulla tecnologia” (già sulla tecnica sarebbe meglio, ma questo è tutto un altro discorso). Quando si parla (e si scrive) di questi argomenti (sicurezza del cyberspazio, cyberwarfare, ecc.) si parte sempre dalla oggettivazione di una eminente esigenza di tipo strategico per poi sistematicamente ridursi (il rimbalzo, appunto…) – come accade anche in questa intervista – a considerare azioni quasi esclusivamente al livello tecnologico (talvolta anche soluzioni di “tecnologia spicciola”…) senza prima aver risolto (e forse nemmeno affrontato) il problema strategico.
Perché succede questo? Perché – che lo si voglia o no – l’aspetto tecnologico è quello più facilmente conoscibile (non potrebbe essere diversamente: se non fosse conoscibile e completamente conosciuto la tecnologia non potrebbe funzionare come oggi funziona) oltre che più immediatamente percepibile da chi non è esperto di quel dominio (in altre parole da chi non è un fisico, un ingegnere delle telecomunicazioni, ecc.). In altre perché il livello tecnologico è quello che appare più semplice, più comprensibile, più facilmente dominabile ed integrabile nelle varie realtà (ed è progettato per essere così!) e quindi quel livello ci sembra dare le migliori e più plausibili soluzioni ai problemi che ci affliggono.
La prova (la potete fare googlando…) è che nel 90% delle trattazioni strategiche (anche ad altissimi livelli) di questo argomento si finisce (e anche questa intervista lo fa) con il parlare di firewall, DoDS, stuxnet e similari, insomma un pericoloso slittamento della questione dal piano strategico al piano tecnologico: problemi strategici richiedono prioritariamente risposte strategiche (all’interno delle quali poi possono – anzi devono – anche essere previste soluzioni tecnologiche). Ogni considerazione sull’ “oggetto informazione“, senza la quale internet non esisterebbe nemmeno, viene sistematicamente snobbata.
Una ultima considerazione: i francesi erano rimasti gli unici a non cedere agli acronimi anglofoni e a dare il proprio nome – francese, bien sûr… – alle cose: il DVD lo chiamano “disque numérique polyvalent” o ancora – per citare qualcosa dell’era pre-digitale” – l’LP (il long playing insomma) lo chiamano “disque microsillon” (disco a microsolco) oppure meglio “disque 33 tours” (noi abbiamo perso da un pezzo questa abitudine con l’avvento del CD. Da quel momento non è stato più necessario specificare quale fosse la velocità del disco, non perché ne fosse stata fissata una diversa ma, al contrario, perché la velocità di rotazione del CD cambia a seconda della distanza della traccia in lettura dal centro del disco).
Invece pare proprio – e questa intervista lo dimostra – che anche i francesi abbiano ceduto alla tentazione di anteporre il prefisso “cyber” ad ogni cosa, fosse anche l’omelette al beaufort… Questo, dai francesi, non me lo aspettavo proprio 😀
Credo che ormai non ci sia più nessuna speranza.
Ma essendo stato ucciso (ciberneticamente parlando eh… 😀 ) non penso che mi farò troppi problemi. Un brandy, invece, penso proprio di si. 😛
buon weekend a tutti voi!
* – sul perché non sia sufficiente accontentarsi di chiamare una cosa “così come ci siamo messi d’accordo sul chiamarla” sapete già come la penso…
Touché
Giovanni, se non ti è di disturbo, posso chiederti di approfondire un po’ ciò che chiami “rimbalzo sulla tecnologia”? Mi hai incuriosito molto.
Grazie.
R.
Roberto carissimo,

ci sto scrivendo (tentando di scrivere…) sopra qualcosina. Appena avrà una forma leggibile magicamente ti/vi perverrà.
In sostanza data una “visione” di una cosa qualsiasi, si tratta della tendenza a “completare” il quadro epistemologico di quella “visione” con pezzi di “visioni” già esistenti a livelli meno astratti quindi più semplici e – tendenzialmente – epistemologicamente già… “completi”.
Della serie (PS = problema strategico; ST = soluzione tecnologica; R = rimbalzo):
PS – “in che modo si può spostare una mela dal punto A al punto B della catena di confezionamento delle cassette di mele?”
ST – “…siccome la mela è tendenzialmente sferica e le sfere possono rotolare, bisogna farla rotolare su un piano inclinato”
PS – “…ma è noto che le mele si rovinano immediatamente anche ai piccoli impatti…”
R – “…allora rivestiremo prima ogni mela di una pellicola a bolle d’aria…” (ecco il RIMBALZO sulla tecnologia…)
Ovviamente chiunque abbia visto “How Do They Do It?” su Discovery Channel sa che le mele vengono trasportate per mezzo di canali colmi di acqua perché galleggiano. In questo caso la soluzione è evidentemente prima nello studio delle proprietà strategiche della mela (per i biscotti, ad esempio, non hanno questa proprietà o meglio… non la mantengono) e solo successivamente nella implementazione di soluzioni tecnologiche adeguate).
Stessa cosa accade – sta accadendo – per la questione cyber.
😀 😛
P.S.: se questa cosa del rimbalzo diventerà un giorno famosa, ne reclamo fin d’ora i diritti d’autore 😀
Sig. Nacci c’è la mia copia del Norbert Wiener (che è qui vicino al computer sulla scrivania) che mi sembra abbia avuto un piccolo sussulto mentre leggevo il Suo post. Anzi se non mi sbaglio c’è una lacrima di commozione che scende dal viso del Professore nella fotografia di copertina.
Hooded carissimo, lei mi lusinga e mi fa commuovere: di entrambe le cose la ringrazio di vero cuore (e dico sul serio).
Ma c’è la serissima probabilità che il Professore stia piangendo per un qualche mio altrettanto probabile strafalcione concettuale… 😉 😛
Ma il termine “cibernetica” nel senso di Wiener é in disuso da ormai mezzo secolo… Anche la voce linkata da Giovanni Nacci lo riconosce: ” […] attualmente non si può parlare di una scuola cibernetica o di una disciplina autonoma. Oggi pochissimi gruppi – come il Principia Cybernetica Project e l’American Society for Cybernetics – continuano lo studio della cibernetica come programma di ricerca teorico autonomo.” L’uso del prefisso “cyber” in un senso nuovo risale al “cyberspace” di William Gibson nel suo “Neuromancer”. Da lì è venuto naturale usarlo per definere la rete Internet e poi applicare al prefisso ad altre parole (cybersecurity, cyber warfare etc etc), ma nulla a che fare con timonieri e circuiti di retroazione. Nessuna “fallacia interpretativa” quindi. Per il ruolo di Wiener e sulla marginalizzazione già moltissimo tempo fa della “cibernetica” si possono vedere per esempio i primi capitoli di “The Quest for Artificial Intelligence” di Nils J. Nilsson.
Perfettamente d’accordo con le condivisibilissime osservazioni del Dott. Guarino.
Ma credo che il punto non sia tanto il fatto che “…da lì è venuto naturale usarlo per definere la rete Internet…” (cosa ormai assodata) quanto piuttosto il “perchè” sia accaduto [che una disciplina come gli studi strategici accetti di migrare terminologia e concetti da un pur famoso, tutto sommato recente (1984 mi pare) romanzo cyberpunk…] e se – e come – (a mio parere si) ciò abbia procurato nelle considerazioni degli esperti di studi strategici (perchè è di loro che qui stiamo parlando, non di ingegneri dell’informazione o altri esperti di domini assimilabili) una deriva (che a me sembra oggettivata, il nostro Vate mi corregga se sbaglio…) verso soluzioni eminentemente tecnologiche (piuttosto che – appunto – prioritariamente strategiche) e al contempo – scusate se mi ripeto – un quasi completo disinteresse l’informazione come entità alla base – se sbagllio correggetemi – sia del “cyber” che del “non_cyber”. In questo – e non in un semplice leak semantico – consiste la mia ipotesi di fallacia interpretativa.
Detto questo non vedo perchè un attualissimo combattimento corpo a corpo con il pugnale non possa essere tranquillamente definito “cibernetico” nel senso stretto – anche se magari desueto – del termine. Soprattutto quando negli atti ufficiali della Repubblica appare con tutta tranquillità “sicurezza cibernetica” come banale traduzione letterale dell’inglese cybersecurity…
Devo però riconoscere che se la condizione presente soddisfa gli autorevolissimi esperti di studi strategici – compresi coloro che frequentano questo foro – allora, di conseguenza, deve soddisfare anche me che, come noto, con la strategia c’entro come l’aceto nella zuppa inglese…
Buona domenica a tutti!
Buonasera e benvenuto
Caro Giovanni,
grazie della risposta e grazie al padrone di casa per offrire a noi tutti questo spazio di discussione!
Mi permetto di riassumere quanto ho capito:
-alla base del marasma concettuale c’è il fondamentale problema della definizione del “contesto cyber” o meglio dello studio delle sue proprietà strategiche. Ma è possibile che fin qui nessuno (agenzie governative, strateghi, accademici,erc.) si è cimentato in un tale lavoro? come possono gli attori statali organizzarsi senza una tale riflessione?
Buona domenica a voi tutti,
S.
“…come possono gli attori statali organizzarsi senza una tale riflessione?”
Sultano carissimo, credo che questa sia una questione sulla quale soltanto il Vate ti/ci può illuminare! 😉
Beh, non proprio nessuno, per esempio:
http://www.ccdcoe.org/369.html
Son bravi quei ragazzi che scrivono su quel blog eh… altri che noi! 😉 😀
😛
pardon, un piccolo cyber inghippo :):
questo dovrebbe essere il link giusto:
http://www.ccdcoe.org/369.html
Alessandro, carissimo, mi piaceva di più l’inghippo cibBBBernetico! 😀
e io apposta l’ho scritto… 😉
Buongiorno Alessandro, credo che qui si stia prendendo la perpetuazione (o ripetizione che dir si voglia) di un errore come norma. Verissimo che l’uso del prefisso cyber- sembra essere accettato nella sua accezione mainstream, ma allora come proporrebbe di chiamare la scienza della cibernetica vera? Non è AI perché la cibernetica si occupa di meccanismi di controllo che valgono per anche per sistemi che di AI non hanno nulla. Poi lei cita Gibson, un autore di fantascienza, che per sua stessa ammissione riteneva la parola cyberspace priva di significato, un semplice escamotage narrativo. Se accettassimo tutti i termini che gli scrittori o gli sceneggiatori inventano allora dovremmo essere qui a discutere del ‘compensatori di Heisemberg’. 😉
Sinceramente parlando, il perché ormai il “cyber” sia entrato nel lessico della strategia credo sia interessante solo da un punto di vista storico.. ormai c’è (e nulla queastio sul fatto che sia sovrasfruttato e che sia circondato da una tonnellata di hype). Concordo (se posso eh, da mero ingegnere) che ci sia troppa attenzione ai dettagli tecnici e ci sia carenza di analisi dottrinale e strategica, ma non cadiamo nell’eccesso opposto altrimenti si fa filosofia pura, nemmeno questa utile al progresso del campo. Noi qui in Italia – umanisti e filosofi – possiamo anche ridicolizzare gli Yankee perchè mutuano il lessico dai romanzi di fantascienza, ma al di là dell’Atlantico non sono così settari e le contaminazioni sono all’ordine del giorno (sono molto più integrati che apocalittici…). Il fatto è che il termine è stato mutuato da quel libro, anche se Gibson l’ha solo usato come espediente.
Come chiamerei la scienza della cibernetica? Ma esiste ancora? Io credo che Wiener abbia contribuito alla nascita dell’AI, termine – e disciplina – che anche loro poi hanno avuto i loro alti e bassi nel tempo ma che sono sopravvissuti. Altri elementi della cibernetica anni ’50 facevano e fanno parte della teoria dell’informazione ma la scienza della cibernetica in quanto tale non esiste più (e, ripeto, anche la definizione del dizionario citata da Giovanni lo conferma).
Provo a centrare meglio il mio pensiero. In primo luogo premetto che sono convinto che il “passato” di una scienza o di una disciplina non cessa di esistere (e di significare) ovvero, più filosoficamente parlando e più finemente argomentando, “non cessa di essere esistito” soltanto perché nel tempo è stato epistemologicamente inglobato (o si è trasformato/è evoluto più o meno spontaneamente, come vi pare..) in altre scienze e/o discipline.
Credo che il nostro focus non debba essere quello di determinare cosa sia davvero, oggi, la cibernetica; non perché sia cosa non necessaria, ma semplicemente perché altri lo hanno fatto e lo faranno: non è certamente compito degli Studi Strategici o di Intelligence. E se vogliamo dirla tutta il nostro focus non è nemmeno decidere se la cibernetica sia qualcosa di utile per gli Studi Strategici o meno…
Il nostro obiettivo è capire perché il costrutto “cyber” (che da cibernetica comunque deriva) e tutto il sistema di significati reali o presunti che si porta dietro, sia stato impiegato (anche) dalla disciplina degli Studi Strategici e dell’intelligence per descrivere ciò che accade, o potenzialmente può accadere, sulla “piattaforma” (chiamiamola così) internet, al punto da “promuoverla” addirittura allo status di “global common” (P.S.: nella mia “Critica alla ragion cyber” credo di aver ampiamente descritto il mio pensiero anche su questa ulteriore cantonata, ed i motivi per i quali la considero tale, per cui non vi annoierò ripetendo tutta la storiella).
Personalmente mi rifiuto di credere che ciò sia avvenuto senza una ragione, per caso fortuito o per banale consuetudine linguistica. Deve esserci una ragione e un ragionamento (fallace o meno un giorno qualcuno lo scoprirà) che ha portato a questo stato di cose.
A rigor di logica infatti, ammesso e non concesso che internet sia effettivamente assurta al rango di “dominio”, il prefisso concettualmente più adatto dovrebbe in ogni caso essere “info”, piuttosto che “cyber” (tant’è che anche la ormai ampiamente citata funzione di feedback ha come argomento informazioni, non patate). E perciò mi domando: come può essere che l’entità “informazione” sia del tutto assente dai dibattiti che gli studi strategici/di intelligence intavolano sulla questione internet (o cyberspazio che dir si voglia?). E ancora: come ed in che direzioni si sarebbe sviluppata la visione degli Studi Strategici e dell’Intelligence su questi argomenti se si fosse parlato (ovvero se si fosse continuato a parlare…) di “infospazio”, “infosicurezza”, “infoarma” e – vivaddio! – “infoguerra” e “infowarfare”?
Infine, Alessandro ha ragione, è verissimo: la nostra cultura tende a folleggiar “di gioia in gioia” (linguisticamente parlando eh… :D) quando sfoggia i suoi pindarici ragionamenti, ma è pur vero che oltreoceano (ma anche no…) non è che siano state partorite – mi pare – cyberpolicy che possano ambire al “Premio Nobel della Strategia” (e qualche volta nemmeno al premio della Logica Totale di Spock…). Queste policy ( e qui il Vate e il nostro Jack – che se le sono studiate tutte ed in modo più che approfondito – debbono correggermi se sbaglio) presentano azioni e risposte che mi sembrano molto più vicine un concetto tecno-tattico e tecno-operativo piuttosto che – mettiamola così – tecno-strategico (che termine orrendo!).
Il mio parere è che si possa osservare (osservare, non dimostrare. Fin’ora almeno…) che le discipline degli studi strategici e dell’intelligence si siano trovate epistemologicamente impreparate (hummm… facciamo spiazzate và…) ad affrontare questo… “dominio” (di chi sia la colpa, non lo so proprio… ma mi piacerebbe scoprirlo) e che la ampissima disponibilità di asset tecnologici (che genera il fenomeno del rimbalzo di cui sopra…) abbiamo virtualmente “riempito” (attenzione: “riempito” non “completato”) questo vuoto, senza risolvere in effetti le carenze.
Insomma, un po’ quando si fora una gomma e la si rigonfia con la bomboletta spray autoriparante: certo la ruota si gonfia (forse…) e per un po’ la cosa funziona anche, ma non c’è verso di dimostrare qualcosa di diverso dal fatto che concettualmente il pneumatico deve essere riempito d’aria e non della miscela aerosol di lattice allo stato liquido e gas che è contenuta nella bomboletta. Con la questione cyber-tecno-derivata stiano riempendo il pneumatico degli Studi Strategici con la bomboletta spray, credendo che la cosa valga e funzioni come una riparazione a regola d’arte fatta dal gommista.
Insomma: a mio parere la disciplina degli studi strategici e dell’intelligence in questo settore hanno scelto – e stanno continuando a scegliere – di imboccare la strada più semplice nell’immediato, sottovalutando ampiamente il fatto che non sempre la via più facile è anche quella più giusta.
Un saluto caro a tutti!
P.S.: vogliate perdonate gli errori, i refusi, gli strafalcioni e la mia solita prolissità… spero di annoiarvi troppo con questa roba 😉 Nel caso contrario, lamentatevi con il nostro Ospite: io non ho colpa alcuna. Chi autorizza i post è lui… 😛 😀
“spero di NON annoiarvi troppo… ” sorry…
Annoiarci sicuramente no!
I tuoi interventi sono profondi e sempre stimolanti (è un po’ che ti leggo sia qui che sul tuo blog). Vorrei solo dire una cosa su “info- vs cyber-“. Infospazio è un concetto molto più ampio di cyberspazio: comprende per esempio tutte le operazioni “psicologiche” così come le gestione degli agenti di influenza, per fare i primi due esempi che mi vengono in mente, dove di tecnologie IT se ne può fare comodamente a meno. Credo che quindi il “cyber-” abbia un diritto di cittadinanza come concetto distinto (sottoinsieme?) dall’infospazio. E qualche volta semplicemente una parola viene usata solo perché “suona bene”, senza un progetto (o una strategia…) dietro. Non so se questo sia avvenuto nel caso del cyberspazio, ma potrebbe… (in fondo è la spiegazione più semplice, e in mancaza di altre prove il buon Occam mi dice che per il momento è quella da tenere)
Hai ragione sul fatto che il passato di una scienza o disciplina non vada dimenticato, ma bisogna prendere atto di quando la disciplina non esiste più o non ha più nessuna influenza in quanto tale. Effettivamente però l’uso della parola “cibernetica” nelle policy ufficiali italiano è a dir poco infelice, anche su questo hai ragione da vendere.
Come pure sul fatto che non sono state ancora prodotte cyberpolicy (almeno pubbliche) di un accettabile livello. (anche qui bisognerebbe distingure tra le policy a livello nazionale e le dottrine puramente militari…). Infine non sono convinto che il “cyberqualcosa” sia “assurto al rango di dominio”, molti gli negano la dignità di dominio autonomo e lo considerano un elemento trasversale ai domini preesistenti.
Grazie comunque a Silendo e a tutti per questo dibattito!
Ecco, caro Alessandro, io ritengo proprio che sia avvenuto questo.
Grazie a voi!
Grazie a voi!
Adoro questo blog…….
😀 😉
“è un po’ che ti leggo sia qui che sul tuo blog…”
Ti ringrazio di vero cuore per la tua qualificata attenzione 😉
Questo, per quanto mi riguarda, posso confermarlo senza timore di essere smentito…
Quella che segue è una mia idea, per cui prendetela con le pinze e, se del caso, criticate a man bassa… 😉
Ricordo quando, sul finire degli anni novanta, si iniziò ad usare con sempre maggior frequenza “cyber” e sempre meno “info”. Per quella che è la mia impressione ciò avvenne perchè si voleva distinguere la componentistica (ferraglia, hardware, chiamiamola come vogliamo) dal contenuto informativo.
Se in una prima fase di internet (anni novanta) l’attenzione era focalizzata principalmente sulla parte “info-comunicativa” (vi ricordate? la “guerra con le informazioni”, la “moda” delle fonti aperte, ecc…) mano a mano, anche a seguito degli enormi miglioramenti tecnologici (hardware), l’attenzione si è spostata sulla componentistica, adoperando “cyber” per dare rilievo a ciò.
Caro Giovanni, ho letto tutto il Vostro scambio con estremo interesse, ma mi “intrometto” purtroppo solo nella parte in cui mi hai chiamato in causa.
Tu scrivi: “Queste policy (e qui il Vate e il nostro Jack – che se le sono studiate tutte ed in modo più che approfondito – debbono correggermi se sbaglio) presentano azioni e risposte che mi sembrano molto più vicine un concetto tecno-tattico e tecno-operativo piuttosto che – mettiamola così – tecno-strategico (che termine orrendo!).”
Personalmente credo che le minacce derivanti dal cyber-spazio (o, come sarebbe meglio dire, le minacce derivanti da un uso sconsiderato in determinati settori sensibili delle possibilità date dalle tecnologie informatiche e dalla rete Internet) impongano comportamenti adattivi e di reazione che tagliano trasversalmente sia il settore della ricerca tecnica e tecnologica, che i settori strategico, operativo e tattico, i quali, per la prima volta, proprio attraverso la rete Internet e la tecnologia, stanno vedendo svanire la loro tipica compartimentazione settoriale.
Jack, permettimi una domanda: se esistesse Internet (così come oggi la conosciamo: reti, protocolli, nodi, server, apparati, ecc. ecc.) e non esistesse l’informazione oppure, meglio, se dall’oggi al domani tutta l’informazione dovesse – improvvisamente ed irrimediabilmente – sparire internet, riterresti ancora che l’evaporazione dei confini tra i compartimenti strategico, tattico, operativo e tecnologico debba imputarsi alla rete?
Mi spiego: quante volte ci è capitato di dare la colpa del traffico impazzito ai tempi e ai sincronismi della rete semaforica? Se sparissero d’un tratto i colori, o meglio il concetto di colore, daremmo ancora colpa a quei pali di ferro verniciato di giallo che fanno pendere sulla carreggiata dei strani cosi con tre oblò e la palpebra antisole sopra?
(“sparire DA internet”… ho le sinapsi a pezzi oggi)
i settori strategico, operativo e tattico, i quali, per la prima volta, proprio attraverso la rete Internet e la tecnologia, stanno vedendo svanire la loro tipica compartimentazione settoriale.
No, Jack. Scusami ma su questo non posso essere d’accordo. Non è certamente la prima volta che sorge l’esigenza di muoversi tra i tre livelli (sui quali, peraltro, potremmo discutere a lungo…), evitando compartimentazioni.
In un certo senso si potrebbe affermare che tutta la storia militare del ‘900 è caratterizzata da tale esigenza
Insomma, questo appiattimento rende particolarmente difficile riuscire a parlare in maniera compiuta e completa della problematica senza saltare da un “piano” di astrazione all’altro (dallo strategico al tattico/tecnologico, ad esempio).
Scusate se rilancio con un po’ di ritardo sullo scambio , molto interessante, delle definizioni.
Un’osservazione mi viente alla mente: ma in fin dei conti non tutti utilizzano il termine “cyber”, tipo i russi e cinesi se non sbaglio parlano di information security. E anche negli ambienti militari americani si utlizza spesso “information assurance”, quindi in fin dei conti non c’é ancora un’ogeneità lessicale.