L’articolo “Defining Cyberterrorism: Capturing a Broad Range of Activities in Cyberspace” è molto interessante nell’impostazione dell’analisi del fenomeno, ma, a mio avviso, incompleto nella sua definizione.
L’autore, infatti, lo definisce come:
“Cyberterrorism is the use of cyber capabilities to conduct enabling, disruptive, and destructive militant operations in cyberspace to create and exploit fear through violence or the threat of violence in the pursuit of political change“.
Così come definito, però, difficilmente si riescono a cogliere le differenze tra il cyber-terrorismo e un atto di cyber-warfare. Manca, ad esempio, uno degli elementi attualmente caratterizzanti il terrorismo, ovvero l’essere di matrice “non-State actor”.
Io continuo a preferire la definizione che potrebbe scaturire dal seguente passaggio:
“Highly damaging computer-based attacks or threats of attack by non-state actors against information systems when conducted to intimidate or coerce governments or societies in pursuit of goals that are political or social. It is the convergence of terrorism with cyberspace, where cyberspace becomes the means of conducting the terrorist act. Rather than committing acts of violence against persons or physical property, the cyberterrorist commits acts of destruction or disruption against digital property“.
Denning, D. “A view of cyberterrorism five years later”, in K. Himma, Ed., “Internet Security: Hacking, Counterhacking, and Society” (Jones and Bartlett Publishers, Sudbury, MA, 2006), 124.
Che ne pensate?
Ciao Jack. Secondo me sono entrambe valide. Nella prima non si esplicita che il soggetto deve essere un attore non-statuale ma si sottolinea la “paura” cui mira l’atto di cyberterrorism.
anche io, tra le 2 definizioni, reputo la seconda più completa.
Però, per dirla tutta, tenderei ad annoverare il cyber-terrorism nell’alveo del cyber-warfare.
In che senso? Per me il cyber-warfare è una “macro categoria” che include anche il cyber-terrorism ;).
La raccolta copre un periodo ampio, da giugno ad ottobre, perciò possono essere eseguite anche cinque raccolte. Gli indici di maturazione sono: il grado rifrattometrico, la resistenza della polpa (misurata col penetrometro), il rapporto solidi solubili/acidità totale, infine la variazione del colore di fondo della buccia.
La prima raccolta è sempre la migliore, mentre la terza dà frutti di seconda qualità.
Perdonami Andrea carissimo, era per fare un po’ di ilarità su questa cosa della giustapposizione di “cyber” davanti a tutto 😀
E un po’ anche per ridere sullo strumento (cibernetico?) del “penetrometro” applicato al frutto prodotto dal tipo di albero che esce fuori googlando il testo che ho riportato nel post 😉
Vabè, torno un attimo serio (con grande difficoltà, ma ci provo).
Sapete un po’ tutti ormai come la penso perciò è inutile che vi annoi di nuovo. Però vi vorrei proporre un esperimento e lo faccio – so che lui mi perdonerà (dopo un po’ di tempo… 😀 ) con la frase del nostrum Barry. La riporto prima per intero: “Però, per dirla tutta, tenderei ad annoverare il cyber-terrorism nell’alveo del cyber-warfare. In che senso? Per me il cyber-warfare è una “macro categoria” che include anche il cyber-terrorism.”
Ora tolgo i “cyber”: “Però, per dirla tutta, tenderei ad annoverare il terrorism nell’alveo del warfare. In che senso? Per me il warfare è una “macro categoria” che include anche il terrorism.”
Ora tolgo i concetti meno informativi “tenderei ad annoverare il terrorism nell’alveo del warfare. Il warfare è una “macro categoria” che include anche il terrorism.”
Le macrocategorie contengono – in linea di massima – categorie e le categorie contengono, sempre in linea di massima, istanze del tipo assimilabile a quella categoria (macrocategoria: viventi – categoria: esseri umani – istanza di esseri umani: STV Giovanni).
Ora proseguiamo, come si dice, per ipotesi.
Nel caso specifico se warfare è macrocategoria e terrorism è categoria, allora è necessario identificare delle “istanze” di terrorism. Qui voi siete certamente più esperti di me ma, ad esempio, si potrebbe dire (spero di non sbagliare…) che eco-terrorsim è una istanza di terrorism, così come potrebbe esserlo cyber-terrorism.
Quindi cyberterrorism sarebbe certamente incluso in warfare.
Ipotizziamo ora che in warfare (macrocategoria) è presente ANCHE una sottocategoria cyberwarfare e che in questa categoria è compresa l’istanza cyber-terrorism. Nel caso specifico cyber-terrorism sarebbe inclusa in warfare ma NON in terrorism. Quindi il cyber-terrorism NON sarebbe un terrorism. E questo ovviamente non ci soddisfa.
D’altra parte possiamo anche inventarci una sorta di “categoria universale” che comprenda le macrocategorie warfare e cyberwarfare all’interno delle quali risulterebbero rispettivamente le istanze terrorism e cyberterrorism. Categorie che – giocoforza – non dovrebbero mai… compenetrarsi. E anche questo, ovviamente, non ci soddisfa (il concetto, non la compenetrazione in quanto tale… 😛 😀 ).
La chiave di volta di questo discorso, ovvero l’uovo di colombo, è che i confini delle cose e dei concetti sono – nella realtà – molto più sfumati. Diciamo, ecco, che si “compenetrano” 😉 E’ vero, è proprio così. Come fare allora?
Ci vorrebbe quindi uno strumento di misurazione – un penetrometro, come dicevo nel post sopra – di questo livello (ontologico) di… promiscuità concettuale.
Ma la cosa interessante è che dovendo per forza di cose arrivare ad una formalizzazione generalizzante (questo è quello che fa una “definizione”…)
Per arrivare a questa cavolo di generalizzazione partendo da un atto invece di specializzazione (la giustapposizione del termine cyber ad altre parole/concetti che già hanno un carico semantico definito in uno o più contesti) occorre analizzare quando, quanto, cosa ed in che modo questa specializzazione apporta al concetto originario.
Se si tralascia questa fase, ci si ritroverà sempre con definizioni lacunose e insoddisfacenti, che bisognrà per forza di cose “mergiare” (mamma mia che brutto termine che ho coniato…) e che si incapsuleranno una nell’altra come delle matrioske. E si finirà pernon sapere mai se è nato prima l’uovo o la… matrioska.
Il mio parere è che cyber non aggiunga nulla ai concetti che gli si avvicinano (war, terrorism, ecc.). Qualcuno di buon cuore – e di buona volontà – dovrebbe provare a fare la stessa cosa con “info”, per vedere che succede…
Più che un rapporto a matrioska :), secondo me i due concetti giacciono lungo un continuum fattuale. Come direbbe l’Stv Nacci, ontologicamente sono la stessa cosa: un bombardamento è sempre un bombardamento. Solo che se è warfare ci troviamo nell’alveo della legittimità e legalità, nel secondo no. La seconda definizione, restringendo il campo ai non-state actors, la trovo particolarmente pericolosa.
Forse mi sono espresso male io… 😀
L’esempio della “matrioska” era tra warfare e cyberwarfare (ovvero tra terrorism e cyberterrorism) non tra warfare e terrorism (o quindi rispettivamente cyberwarfare e cyberterrorism)…
Chiedo venia
Silendo, secondo me è corretta solo apparentemente, o meglio, superficialmente. In realtà confliggono, giuridicamente e politicamente. Se un atto è terroristico non è più un atto di guerra (legittimo).
Se nell’insiema A ci sono i cittadini percettori di reddito e fiscalmente onesti e nell’insieme B ci sono i cittadini percettori di reddito e non fiscalmente onesti, l’insieme B non è includibile nell’insieme A, a prezzo di trarre delle gravide conseguenze etiche, giuridiche e politiche.
Un attimo, forse ho capito male io il tuo ragionamento.
Io mi riferivo al concetto di “warfare”, termine che non ha un preciso equivalente in italiano e che non è vincolato al concetto di guerra (= due eserciti di due Stati ecc…). Il tal senso, quindi, il terrorismo è un modo di “guerreggiare”, per così dire. E’ un tipo di “warfare”.
Silendo scusa l’intrusione,
ma volevo chederTi se potevi esporre in maniera la piu’ completa possibile il Tuo pensiero circa l’articolo di Il Secolo XIX ?
1) Poni spesso domande a Silendo, chiedendo gentilmente che si risponda nella “maniera più completa possibile; 2) Sei molto sensibile alle disfunzioni organizzative passate e presenti degli apparati;
3) Sei attentissimo a ciò che passano i media, televisivi e non.
Vorrei essere per quanto possibile, piu’ chiaro .
Dal 1985 sono stato avvicinato e vicino a tale settore, tenendo un comportamento di assoluta riservatezza che ha limitato direttamente ed indirettamente la vita personale. Mi e’ stato richiesto comportamenti riservati, quando invece la riservatezza era ed e’ violata sistematicamente.
Dal 2005 per motivi personali, ho voluto capire e verificare tali regole/limitazioni , ma conoscere le disfunzioni della struttura . Anche per lavoro ho sempre utilizzato le Fonti Aperte per avere spunti , suggerimenti dove indirizzare la mia curiosità.
Qualche volta mi dicono che la tenacia e la costanza nel perseguire la verifica di una mia ipotesi e’ una mia caratteristica peculiare.
Poi la scoperta di questo sito , e’ diventato un punto di riferimento, ma soprattutto di confronto, perché il confronto e’ sempre positivo.
Poi spero che qualcuno prenda spunto per riflettere sui Babbani che stanno in silienzio vicino agli operatori dei Servizi .
B.A. … Tesserra Ordine dei Giornalisti del Lazio N .
Caro Babbano, è evidente che la pubblicazione urbi et orbi di volti, targhe, edifici sia un… errore (?) piuttosto serio.
Ancor di più se si considera che la cosa era stata segnalata anche in questo blog diversi mesi fa.
Ma la perfezione non è di questo mondo
Grazie Silendo .
La segnalazione di Street View su questo sito e’ stata fatta da parecchi anni .
Cambiando argomento segnalo nuovamente la visione del programma su Rai Storia diXit La Storia dei servizi segreti francesi pt. 2 1a parte.
Dai titoli di testa mi sembra che si tratti di un programma estero tradotto, per questo e’ interessante.
Poi c’e una casistica di eventi/comportamenti analoghi a fatti accaduti ai nostri ( es. Il numero del centralino intestato al ex RUD e pubblico).
utente anonimo scrive:
aprile 16, 2009 alle 17:02
Sicuramente occorre verificare l’attendibilità degli articoli pubblicati.
Devo prendere atto che vi è stata una corsa “postuma” a togliere le immagini delle due Sedi della Ditta da Street View di Google dopo che se n’è parlato anche qui.
BABBANO ASIMMETRICO
P.S. Google le immagini le avrà memorizzate da qualche parte anche se ora le ha rese non più disponibili.
Rispondi
Però warfare fa parte della dottrina militare, no? Cioè deve essere riconducibile all’hard power statale in quelle forme regolate che chiamiamo conflitto?
Lo straordinario attacco all’Estonia di qualche anni fa è un atto di cyberterrorismo o cyberwar? Ammesso che la matrice fosse effettivamente russa, intimidire, direi mafiosamente, uno stato sovrano confinante come lo definiremmo? Secondo me, la bilancia pende più per il primo termine.
E poi, soprattutto, vorrei delucidazioni su “uno degli elementi attualmente caratterizzanti il terrorismo, ovvero l’essere di matrice “non-State actor”.
Warfare = Military operations marked by a specific characteristic.
Mi sembra una buona definizione. Quindi, un “metodo di conduzione di un’operazione militare”. Come la vedi, Silendo?
Anche se qui dentro il Re della glossa è Giovanni… 😉
A parte che al limite sarei il Re della glAssa Sacher, nello specifico 😛 ) ad ogni modo… giacché mi hai chiamato in causa esplicitamente sapendo che il mio ego mi avrebbe impedito di far finta di niente… intervengo 😀
E lo faccio servendomi di MultiWordNet. Carichiamo la pagina web di MultiWordNet, scegliamo la lingua inglese e nell’apposito campo scriviamo “warfare” e diamo invio.
Quel che ci appare sono due “sensi” del termine che, riassumendo, sono: 1. war, warfare — (History, Military) the waging of armed conflict against an enemy; “thousands of people were killed in the war”
-> military_action, action — (Military) a military engagement; “he saw action in Korea”
-> group_action — (Factotum) action taken by a group of people
-> act, human_action, human_activity — (Factotum) something that people do or cause to happen
2. war, warfare — (Factotum) an active struggle between competing entities; “a price war”; “a war of wits”; “diplomatic warfare”
-> conflict, struggle, battle — (Factotum) an open clash between two opposing groups (or individuals); “the harder the conflict the more glorious the triumph”–Thomas Paine; “police tried to control the battle between the pro- and anti-abortion mobs”
-> group_action — (Factotum) action taken by a group of people
-> act, human_action, human_activity — (Factotum) something that people do or cause to happen
Il primo “sense” si riferisce ad un contesto eminentemente bellico, militare, i soggetti in gioco sono considerati enemy nel senso proprio del termine e la parte “performativa” della frase (nel senso in cui Austin intende la cosa, ossia la parte del testo che non descrive una cosa ma la crea, insieme alle sue conseguenze sociali, es.: “ti dichiaro guerra ad oltranza“, “io ti sposo” ecc.) si esplica nella “conduzione” (waging). Nel secondo il contesto di riferimento è largamente demilitarizzato 😛 ed il perfomativo è più blando: “to struggle…”.
Senza andare troppo per le lunghe direi che warfare è un concetto più attinente ad un comportamento che ad uno stato (nel senso di condizione), mentre il concetto di war è più “stabile” e “strutturato” di warfare, attinente ad una condizione all’interno della quale può o meno verificarsi una condizione di warfare.
Quindi penso di essere d’accordo col Vate quando dice che il terrorismo è un tipo di warfare 😉 😛
Warfare = Military operations marked by a specific characteristic.
Ma anche… “struggle between competing entities: conflict” 😉
Personalmente eviterei accuratamente di vincolare il concetto di warfare a quello di “militare” o “guerra”… 😉
Benissimo. Vediamo di arrivare ad un punto (più o meno) certo.
Da quello che ci siamo detti finora, discende che warfare può essere definito come:
“A conflict between competing entities marked by a specific characteristic”
In italiano suona più o meno come:
“Un conflitto tra soggetti contrapposti contraddistinto da specifiche caratteristiche”
Bene. Proviamo adesso a dare un senso a quel “contraddistinto da specifiche caratteristiche“, aggiungedone una a caso… che so, CYBER..! (tanto lo sapevate che sarei arrivato a parlare di c-mf……..)
Una definizione in italiano di cyber-warfare, allora, potrebbe essere:
“Un conflitto tra soggetti contrapposti caratterizzato principalmente(?) dall’utilizzo di tecnologie informatichee telematiche”
Come suona?
L’unica altra definizione di cyber-warfare in italiano che ho trovato è quella di Stefano Mele, che, nella nota 32 del paper “Cyber-weapons: aspetti giuridici e strategici“, li definisce come:
“Quegli atti aventi come obiettivo la violazione non autorizzata da parte di, per conto di, oppure in sostegno a, un Governo nel computer di un altro Paese, nella sua rete o in qualsiasi altra attività interessata da un sistema informatico, al fine di aggiungere, modificare o falsificare i dati, ovvero causare l’interruzione o il danneggiamento, anche temporaneo, di uno o più computer, di uno o più dispositivi di rete, ovvero di qualsiasi altro oggetto controllato da un sistema informatico”
Tutta un’altra impostazione, quindi.
Jack, secondo me è fuorviante collegare il concetto di warfare esclusivamente a soggetti statuali.
Oggi, tenuto conto dell’evoluzione dell’ordinamento giuridico internazionale, vi sono altre entità che esercitano legittimamente l’uso della forza, e, quindi, hanno capacità e svolgono attività di warfare: le organizzazioni internazionali.
Inoltre, il progresso delle nuove tecnologie ed il mutamento degli equilibri su scala globale, ha consentito ad entità non aventi soggettività giuridica internazionale di dotarsi di proprie capacità di warfare: gruppi terroristici, insurgents, organizzazioni criminali internazionali, gruppi finanziari, etc.. Qui si entra nel campo delle “guerre di quarta generazione”, del “confronto asimmetrico” e del c.d “unconventional warfare”. Ovviamente, limitandoci alla chiave di lettura prettamente giuridica, in questo caso ci troviamo, in linea di massima, di fronte ad un impiego non legittimo della forza, e, quindi, di warfare.
In sintesi, avendo perso il monopolio dell’uso della forza su scala regionale/globale, lo Stato non è più l’unico soggetto dotato di capacità di warfare e/o coinvolto in attività di warfare.
Ciao a tutti.
Anzitutto ringrazio “jackallo” per aver riportato la mia proposta di definizione legale di cyber-warfare (tra l’altro anche con scientifica precisione!) e “Barry Lyndon” per il conseguente commento.
Mi complimento, inoltre, anche per la definizione strategica che state dando di cyber-warfare. Non è assolutamente facile trovare un punto di sintesi tra vari mondi, ma a quanto pare ci state riuscendo benissimo ed è davvero molto interessante leggere il vostro dibattito.
Peccato che da un punto di vista legale questa impostazione non possa andar bene, dato che l’esigenza di certezza del diritto e delle condotte poste in essere dai soggetti agenti, che costantemente “aleggia” misticamente nel settore giuridico, impone definizioni contemporaneamente stringenti e omnicomprensive (cosa enormemente difficile).. e magari anche brevi..
Passando al commento di Barry Lyndon, che credo sia rivolto alla mia definizione, effettivamente non credo di essermi concentrato esclusivamente sugli attori statali.
Infatti, l’incipit della definizione dice: “Quegli atti aventi come obiettivo la violazione non autorizzata da parte di, per conto di, oppure in sostegno a, un Governo nel computer di un altro Paese, nella sua rete […]”.
Ovvero, scomponenso il periodo, sarebbe: “Quegli atti aventi come obiettivo la violazione non autorizzata
da parte di un Governo nel computer di un altro Paese, nella sua rete […] per conto di un Governo nel computer di un altro Paese, nella sua rete […] oppure in sostegno a un Governo nel computer di un altro Paese, nella sua rete […] ecc.”.
Credo di aver abbracciato un po’ tutti i casi. O sbaglio?
Ovviamente sono apertissimo a dibattere con Voi anche su questa definizione.
Un caro saluto a tutti e, ovviamente, uno speciale a Silendo.
anche scomponendola, la tua definizione continua a sembrarmi rivolta esclusivamente a soggetti statuali, che sono da te individuati come attori protagonisti coinvolti – direttamente o indirettamente – nelle attività di cyber-warfare.
Invece, dal mio punto di vista, nelle attività di cyber-warfare (e più in generale quelle di warfare) possono essere coinvolti anche attori non aventi soggettività giuridica internazionale che NON agiscono necessariamente “per conto di, oppure in sostegno a un Governo” ma, al contrario, nel loro esclusivo interesse.
Barry carissimo, credo che la definizione di Stefano Mele citata dal Jack nostrum sia da leggere in questo senso:
– con “da parte di un Governo nel computer di un altro Paese, nella sua rete […]”
contempla un attore governativo che agisce nei confronti di un computer/rete/sistema ecc. collocati sul territorio di un altro Paese (quindi non per forza sistemi di proprietà del medesimo, ma anche di privati o imprese o infrastrutture critiche, ecc.)
– con “per conto di un Governo nel computer di un altro Paese, nella sua rete […]”
contempla un attore ANCHE non governativo che agisce nei confronti di un computer/rete/sistema ecc. collocato sul territorio di un altro Paese (quindi non per forza sistemi di proprietà del medesimo, ma anche di privati o imprese o infrastrutture critiche, ecc.) venendo incaricato dal governo di un altro Paese
– con “oppure in sostegno a un Governo nel computer di un altro Paese, nella sua rete […] ecc.”.
contempla un attore ANCHE non governativo che agisce nei confronti di un computer/rete/sistema ecc. collocato sul territorio di un altro Paese (quindi non per forza sistemi di proprietà del medesimo, ma anche di privati o imprese o infrastrutture critiche, ecc.) che agisce di sua spontanea (più o meno… 😛 ) volontà
Mi sembra quindi che siano contemplati attori governativi e non, statali e non, parastatali e dell’indotto 😛 che agiscono indipendentemente o meno e volontariamente o meno.
Viene in sostanza escluso il “warfaggiare” di una qualche entità avverso attori situati nel suo STESSO paese, cosa che – se non vado errato – viene definita in modo diverso 😉
Giò, ripeto, in quella definizione mancano gli attori non statuali agenti per loro esclusivo interesse/vantaggio .
Faccio un esempio:
un gruppo finanziario, che pone in essere azioni, comportamenti, attività, etc. a nocumento di un soggetto statuale, unicamente per i propri scopi/interessi, e NON per conto e/o a sostegno di qualsivoglia Stato, è coinvolto in attività di warfare.
Se tale gruppo finanziario, nel condurre questa “campagna di warfare”, impiega “sistemi tecnologici informativi” (ti garba la citazione? :-P), esprime capacità di cyber-warfare.
Eppure non è uno Stato, non agisce per conto di uno Stato, non agisce a sostegno di uno Stato ;).
Ho l’impressione che si tenda a confondere (o a far coincidere) il concetto di cyber-war (che attiene unicamente ai soggetti statali e/o alle alleanze fra stati) e quello di cyber-warfare (che, invece, è più ampio e racchiude, al suo interno, cyber-war, cyber-terrorism, cyber-crime, etc.).
Ad ogni modo, il mio vuole essere solo un punto di vista, fondato su due elementi: ragionamento logico e significato comunemente associato al termine warfare (e conseguentemente al termine cyber-warfare).
C’è un grande limite: spesso (purtroppo!) ci si trova a confrontare sul significato di termini che non appartengono alla nostra cara lingua e che non trovano corripsondenza perfetta nel nostro amato idioma
Barry carissimo, ho capito che intendi.
Ma non penso sia una questione di idiomi né – o non del tutto almeno – di corrispondenza tra i modi di esprimere i concetti tra le varie lingue (tutto sommato tra le anglofone e le latine al giorno d’oggi non dovrebbero esserci troppi problemi di… transumanze semantiche😀 ).
In tutto quanto sopra però mi era sembrato che la questione centrale fosse un discorso sulla “natura” dell’attore (statale/non statale) e non tanto la sua intenzionalità o addirittura la natura del suo scopo/interesse e i motivi del suo agire e della sua scelta di agire (che immagino esuli dalle necessità di una definizione).
Anche perché, proseguendo su questa linea di pensiero, bisognerebbe allora anche arrivare a definire l’eventualità che uno Stato conduca una campagna di cyberwarfare non per il suo specifico interesse ma nell’interesse di soggetti diversi da sé e da altri stati (può capitare… 😛 ).
Come per il discorso della “interazione” nel warfare, allo stesso modo credo si possa tranquillamente sempre presupporre l’esistenza di un specifico, diretto e personale “interesse/vantaggio” (uno qualsiasi…) per chi pone in essere la campagna di warfare.
Insomma io dico questo: considerato il fatto che – sulla base di quanto mi dice un carissimo nostro amico che se ne intende… 😛 – il concetto di “warfare” è già assai ben definito in dottrina strategica, nel definire il cyberwarfare non rimaga che concentrarsi sul cosa (e se, e quanto, e come, e perché, ecc..) il prefisso cyber – che si presuppone stia a rappresentare un’idea, un concetto, un significato, una prassi, qualcosa insomma… – apporti al concetto di warfare.
In altre parole, il discorso che faccio io da sempre.
Così teniamo anche la prua all’onda ed evitiamo di ingarbugliarci in considerazioni – pure sempre interessanti – che rischiano di portarci un po’ troppo lontano dall’obiettivo 😉
Poi è ovvio che – a proposito di ingarbugliamenti – gli “azzecca garbugli” 😛 opereranno le loro ulteriori – e magari diverse – astrazioni sulla questione quando vanno a produrre definizioni che siano significative anche nel loro settore.
Quel che sarebbe, a mio parere, estremamente interessante è mettere in qualche modo a sistema queste differenti (e valide) “visioni” in modo che ciò possa essere in qualche modo utile a tutti i vari “domini” 😉
Hummm… vediamo, per quanto riguarda la prima definizione:
– eviterei di usare soggetti e preferirei entità (un warfare “cyberizzato” per quanto mi riguarda può anche essere posto in essere da agenti automatici);
– eviterei di usare contrapposti e preferirei interagenti (un warfare potrebbe non prevedere “parti” dichiaratamente e/o ufficialmente contrapposte, ovvero: una delle due parti potrebbe non sapere di essere “contrapposta” all’altra);
– eviterei tecnologie informatiche e telematiche e preferirei sistemi informatiVI tecnologici (ovviamente nella accezione corretta di sistema e di informativo…);
Quindi verrebbe: “Un conflitto tra entità interagenti caratterizzato principalmente dall’utilizzo di sistemi informativi”.
Con questa definizione si andrebbe a sottolineare:
– la possibile, eventuale pluralità dell’origine (umana o tecnologica) degli agenti;
– che gli agenti devono appartenere ad uno stesso sistema (quindi che vi sia interazione e pertanto feedback);
– che il mezzo attraverso il quel si pone in essere il comportamento (warfare) è costitutito un pacchetto di risorse: fisiche (tecnologiche), metodologiche (anche algoritmiche, perchè no) e informative.
Inoltre la definzione, per meglio definire 😛 , dovrebbe anche indicare lo scopo del comportamento (ovvero del conflitto) che si descrive. Io qui taglierei corto inserendo il sempre valido “al fine di raggiungere, mantenere o difendere una condizione – più o meno persistente – di vantaggio strategico*“.
Siccome è la somma che fa il totale vien fuori: Cyberwarfare: “Un conflitto tra entità interagenti caratterizzato principalmente dall’utilizzo di sistemi informativitecnologici al fine di raggiungere, mantenere o difendere una condizione – più o meno persistente – di vantaggio strategico“.
Da notare che “entità interagente” può (dovrebbe…) essere tranquillamente sostituito da “inforgs” il che automaticamente posizionerebbe in coda “…all’interno della Infosfera o in una sua determinata partizione“.
Cyberwarfare: “Un conflitto tra inforgs caratterizzato dall’utilizzo di sistemi informativi tecnologici al fine di raggiungere, mantenere o difendere una condizione – più o meno persistente – di vantaggio strategico all’interno della Infosfera o in una sua determinata partizione“.
Che ve ne pare? Nel caso dovesse piacervi, domando solo il riconoscimento della paternità intellettuale.
Se invece non vi piace, ehm… vi prego, fate finta di niente! (ci rimarrei male…) 😛 😀
* forse questo vale anche al livello tattico, ma qui è il Vate che deve illuminare
Personalmente penso che sarebbe corretto aggiungere sia il vantaggio tattico (medio termine), che quello operativo (breve termine).
Giovanni, facciamo che manteniamo questa versione: “Un conflitto tra entità interagenti caratterizzato principalmente dall’utilizzo di sistemi informativitecnologici al fine di raggiungere, mantenere o difendere una condizione – più o meno persistente – di vantaggio strategico, tattico e/o operativo“.
Eccellente, davvero. Mi piace moltissimo e mi sembra davvero completa.
Perfetto, fai copia&incolla di tutto quello che hai già scritto, aggiusta qui e lì il ragionamento, mettici un titolo… e aspetto di leggerla sul tuo blog il prima possibile.
Ci sarebbe da definire anche tutto il resto della materia. Che facciamo, andiao avanti..? 😉
Chiedo venia, non per rompere le uova nel paniere ma “interagenti” è troppo cibernetico. Ragazzi, qui siamo in un contesto leggermente differente. Siamo in ambito strategico. Parlare di “conflitto tra attori, statuali e non” è più che sufficiente.
Peraltro “conflitto tra entità interagenti” lo trovo anche ridondante. Se c’è un conflitto tra due soggetti è evidente che debbano interagire, no? 😉
Vediamo se ho capito quello che intendi, Sil.
Ovvero, anche se “dopodomani” ci trovassimo di fronte a sistemi informatici che automaticamente pongono in essere attività di cyber-warfare, comunque quelle attività rientrerebbero sempre in una strategia impostata da un attore statuale o non statuale, al di là della presenza o meno del fattore umano. Giusto?
Se c’è un conflitto tra due soggetti è evidente che debbano interagire, no?
Non è (sempre) detto 😀
Consideriamo due individui che non si conoscono, né si vedono, ma sanno dell’esistenza l’uno dell’altro (e poniamo come condizione che questa “sapienza” sia semplice elemento cognitivo del contesto e non già un qualche esempio di “conflitto”). Poniamo che esista un terzo soggetto – mettiamo una bellissima ragazza – e poniamo anche sia che i due individui abbiano cognizione della ragazza sia che la ragazza abbia cognizione di loro.
Poniamo quindi che i due individui (definiti come sopra) mirino ad ottenere le attenzioni della ragazza e che la medesima abbia cognizione di questa cosa. Poniamo che la ragazza notifichi ad ognuno dei due individui non la precisa esistenza “dell’altro” ma una generica esistenza di “un altro”.
I due individui – se sufficientemente interessati alla figliuola – attiveranno – ognuno per proprio conto – una serie di azioni, comportamenti ed attività mirate a trasferire l’attenzione della ragazza da “un altro” a sé, anche attraverso attività generiche volte a screditare – nel caso in esempio – tutti i possibili (e presumibili) altri.
Tecnicamente è la descrizione di due sistemi (sistema A e B) non tra loro interagenti ma che interagiscono entrambi con un terzo sistema (sistema C). Ragionevolmente, e nella maggior parte dei casi, A e B possono tranquillamente ignorarsi, calcolando invece i propri versamenti informazionali (i “comportamenti” del sistema…) solo sulla base del feedback del sistema C (che a sua volta è la somma [intesa in senso assolutamente NON matematico…] dei suoi feedback e di quelli che sono generati dagli stimoli dei sistemi A e B).
In sostanza, il concetto di “conflitto”, così come ne stiamo parlando (volendo possiamo chiamarlo “competizione”, così è tutto più chiaro 😉 ) , si concretizza o meno a seconda del punto di vista. Ad ognuno dei due individui sembrerà di “competere” (essere in conflitto) con nessuno, con un generico “altri” (dai quali non ha alcun ritorno di feedback però) o al massimo con la ragazza. Alla ragazza magari sembrerà di essere in conflitto con nessuno, con uno dei due ragazzi o – peggio – con entrambi 😀 😛
Per questo motivo mi sembrava necessario sottolineare il fatto di “essere interagenti”: diciamo che penso che affinché ci sia del warfare (a maggior ragione quello cyBBBernetico…) le entità debbano in qualche modo… ecco… debbano “ingaggiarsi“, ingaggiare il warfare insomma.
Che senso avrebbe infatti warfeggiare 😛 contro un nemico che non reagisce in alcun modo, né ha idea che esistiamo e che stiamo “warfeggiando” contro di lui? 😉 😉
Gio’, ciò che scrivi tu è valido in ambito cibernetico ma, e forse ho colto male io, Jack intendeva trovare una definizione in ambito strategico.
Ora, quando c’è un conflitto tra due (o più soggetti) è in sé che i due attori abbiano un’interazione. Senza interazione non può esserci conflitto/competizione. Esempi banalissimi: nel conflitto tra due Stati i due Stati ovviamente interagiscono in quanto ciascuno, con i propri mezzi, si adopera per raggiungere i propri obiettivi superando la resistenza del nemico (qualunque essa sia). Nei conflitti non-convenzionali (ad esempio tra Stato e gruppo terroristico) i due soggetti interagiscono ugualmente ma con mezzi differenti, ecc.
Senza interazione, insomma, non si può parlare di conflitto. Nell’esempio da te fatto i due soggetti maschi non sono in conflitto. Ciascuno dei due implementerà un’azione strategicamente finalizzata (conquistare la ragazza) ma non in un ambiente conflittuale in quanto manca un oppositore.
Quello da te descritto è un sistema cibernetico che, perdonami, è un’altra cosa rispetto all’interazione strategica. A meno che, ovviamente, Jack intendesse proprio analizzare la cosa da un punto di vista cibernetico nel qual caso chiedo venia.
Che senso avrebbe infatti warfeggiare 😛 contro un nemico che non reagisce in alcun modo, né ha idea che esistiamo e che stiamo “warfeggiando” contro di lui? 😉
Per l’appunto, se non c’è interazione non c’è conflitto. Se io do un pugno ad un tizio e questo neanche si cura di me vuol dire che non c’è conflitto.
Si, Sil.
Eravamo passati a definire cyber-warfare, quindi strettamente cibernetico.
Sintetizzando le vostre osservazioni, potrei proporre che cyber-warfare possa essere definito come: “Un conflitto tra attori, statali e non, interagenti tra loro, caratterizzato principalmente dall’utilizzo di sistemi informativi tecnologici al fine di raggiungere, mantenere o difendere una condizione – più o meno persistente – di vantaggio strategico, tattico e/o operativo“.
mi inserisco nella diatriba per fare un altro esempio di come un conflitto tra due attori possa in realtà escludere ed eludere il diretto contatto tra i due..
Mi spiego: nel caso delle movimentazioni finanziarie ad esempio, può perfettamente essere mosso un attacco verso un obiettivo X, attraverso molteplici scambi economici che A potrebbe avere con B, C e D, finalizzati a determinare un peggioramento o un collasso di X appunto. In questo caso, sotto forma di ricadute e conseguenze, A è riuscito a destabilizzare X attraverso il ricorso ad un sistema indiretto, complesso e di difficile smascheramento.
Non penso che sia necessario che X abbia consapevolezza che A stia muovendo un aggressione contro di esso, sicuramente non nella fase iniziale o pre-iniziale (diciamo quando è allo stato embrionale di intenzione), poichè credo che il conflitto essendo una condizione psicologica prima ancora di quella fattiva, può benissimo essere unilaterale, quindi unicamente di A, seppure X ad un certo punto valuterà di essere in conflitto.
Volevo concludere così: magari è anche possibile warfeggiare con chi non ha cognizione di noi e del fatto che lo “warfeggiamo”, ma probabilmente tale attività non si potrà più chiamare “warfare“. Occorrerà un altro modo consono di definirla 😀
conflitto[con-flìt-to] s.m.
1 Combattimento, scontro armato; estens. guerra
2 fig. Opposizione, contrasto: c. di interessi; discordia: essere in c. con i genitori
3 dir. Contrasto tra autorità politiche, giudiziarie o amministrative: c. giurisdizionale
• sec. XIV
L’articolo “Defining Cyberterrorism: Capturing a Broad Range of Activities in Cyberspace” è molto interessante nell’impostazione dell’analisi del fenomeno, ma, a mio avviso, incompleto nella sua definizione.
L’autore, infatti, lo definisce come:
“Cyberterrorism is the use of cyber capabilities to conduct enabling, disruptive, and destructive militant operations in cyberspace to create and exploit fear through violence or the threat of violence in the pursuit of political change“.
Così come definito, però, difficilmente si riescono a cogliere le differenze tra il cyber-terrorismo e un atto di cyber-warfare. Manca, ad esempio, uno degli elementi attualmente caratterizzanti il terrorismo, ovvero l’essere di matrice “non-State actor”.
Io continuo a preferire la definizione che potrebbe scaturire dal seguente passaggio:
“Highly damaging computer-based attacks or threats of attack by non-state actors against information systems when conducted to intimidate or coerce governments or societies in pursuit of goals that are political or social. It is the convergence of terrorism with cyberspace, where cyberspace becomes the means of conducting the terrorist act. Rather than committing acts of violence against persons or physical property, the cyberterrorist commits acts of destruction or disruption against digital property“.
Denning, D. “A view of cyberterrorism five years later”, in K. Himma, Ed., “Internet Security: Hacking, Counterhacking, and Society” (Jones and Bartlett Publishers, Sudbury, MA, 2006), 124.
Che ne pensate?
Ciao Jack. Secondo me sono entrambe valide. Nella prima non si esplicita che il soggetto deve essere un attore non-statuale ma si sottolinea la “paura” cui mira l’atto di cyberterrorism.
D.
Caro jack,
anche io, tra le 2 definizioni, reputo la seconda più completa.
Però, per dirla tutta, tenderei ad annoverare il cyber-terrorism nell’alveo del cyber-warfare.
In che senso? Per me il cyber-warfare è una “macro categoria” che include anche il cyber-terrorism ;).
Per me il cyber-warfare è una “macro categoria” che include anche il cyber-terrorism
Giusto Barry.
D.
La raccolta copre un periodo ampio, da giugno ad ottobre, perciò possono essere eseguite anche cinque raccolte. Gli indici di maturazione sono: il grado rifrattometrico, la resistenza della polpa (misurata col penetrometro), il rapporto solidi solubili/acidità totale, infine la variazione del colore di fondo della buccia.
La prima raccolta è sempre la migliore, mentre la terza dà frutti di seconda qualità.
Giovanni mi sono perso…
Andrea
Perdonami Andrea carissimo, era per fare un po’ di ilarità su questa cosa della giustapposizione di “cyber” davanti a tutto 😀
E un po’ anche per ridere sullo strumento (cibernetico?) del “penetrometro” applicato al frutto prodotto dal tipo di albero che esce fuori googlando il testo che ho riportato nel post 😉
Vabè, torno un attimo serio (con grande difficoltà, ma ci provo).
Sapete un po’ tutti ormai come la penso perciò è inutile che vi annoi di nuovo. Però vi vorrei proporre un esperimento e lo faccio – so che lui mi perdonerà (dopo un po’ di tempo… 😀 ) con la frase del nostrum Barry. La riporto prima per intero:
“Però, per dirla tutta, tenderei ad annoverare il cyber-terrorism nell’alveo del cyber-warfare. In che senso? Per me il cyber-warfare è una “macro categoria” che include anche il cyber-terrorism.”
Ora tolgo i “cyber”:
“Però, per dirla tutta, tenderei ad annoverare il terrorism nell’alveo del warfare. In che senso? Per me il warfare è una “macro categoria” che include anche il terrorism.”
Ora tolgo i concetti meno informativi
“tenderei ad annoverare il terrorism nell’alveo del warfare. Il warfare è una “macro categoria” che include anche il terrorism.”
Le macrocategorie contengono – in linea di massima – categorie e le categorie contengono, sempre in linea di massima, istanze del tipo assimilabile a quella categoria (macrocategoria: viventi – categoria: esseri umani – istanza di esseri umani: STV Giovanni).
Ora proseguiamo, come si dice, per ipotesi.
Nel caso specifico se warfare è macrocategoria e terrorism è categoria, allora è necessario identificare delle “istanze” di terrorism. Qui voi siete certamente più esperti di me ma, ad esempio, si potrebbe dire (spero di non sbagliare…) che eco-terrorsim è una istanza di terrorism, così come potrebbe esserlo cyber-terrorism.
Quindi cyberterrorism sarebbe certamente incluso in warfare.
Ipotizziamo ora che in warfare (macrocategoria) è presente ANCHE una sottocategoria cyberwarfare e che in questa categoria è compresa l’istanza cyber-terrorism. Nel caso specifico cyber-terrorism sarebbe inclusa in warfare ma NON in terrorism. Quindi il cyber-terrorism NON sarebbe un terrorism. E questo ovviamente non ci soddisfa.
D’altra parte possiamo anche inventarci una sorta di “categoria universale” che comprenda le macrocategorie warfare e cyberwarfare all’interno delle quali risulterebbero rispettivamente le istanze terrorism e cyberterrorism. Categorie che – giocoforza – non dovrebbero mai… compenetrarsi. E anche questo, ovviamente, non ci soddisfa (il concetto, non la compenetrazione in quanto tale… 😛 😀 ).
La chiave di volta di questo discorso, ovvero l’uovo di colombo, è che i confini delle cose e dei concetti sono – nella realtà – molto più sfumati. Diciamo, ecco, che si “compenetrano” 😉 E’ vero, è proprio così. Come fare allora?
Ci vorrebbe quindi uno strumento di misurazione – un penetrometro, come dicevo nel post sopra – di questo livello (ontologico) di… promiscuità concettuale.
Ma la cosa interessante è che dovendo per forza di cose arrivare ad una formalizzazione generalizzante (questo è quello che fa una “definizione”…)
Per arrivare a questa cavolo di generalizzazione partendo da un atto invece di specializzazione (la giustapposizione del termine cyber ad altre parole/concetti che già hanno un carico semantico definito in uno o più contesti) occorre analizzare quando, quanto, cosa ed in che modo questa specializzazione apporta al concetto originario.
Se si tralascia questa fase, ci si ritroverà sempre con definizioni lacunose e insoddisfacenti, che bisognrà per forza di cose “mergiare” (mamma mia che brutto termine che ho coniato…) e che si incapsuleranno una nell’altra come delle matrioske. E si finirà pernon sapere mai se è nato prima l’uovo o la… matrioska.
Il mio parere è che cyber non aggiunga nulla ai concetti che gli si avvicinano (war, terrorism, ecc.). Qualcuno di buon cuore – e di buona volontà – dovrebbe provare a fare la stessa cosa con “info”, per vedere che succede…
My 5 cent…
(perdonate gli errori, gli strafalcioni e i refusi…
)
Sono assolutamente d’accordo con te, Barry. Evidenziavo “l’elmento distintivo”, proprio perchè non si sovrapponessero completamente.
Direi, allora, di provare a fare un merging delle due, Davide.. 😉
Più che un rapporto a matrioska :), secondo me i due concetti giacciono lungo un continuum fattuale. Come direbbe l’Stv Nacci, ontologicamente sono la stessa cosa: un bombardamento è sempre un bombardamento. Solo che se è warfare ci troviamo nell’alveo della legittimità e legalità, nel secondo no. La seconda definizione, restringendo il campo ai non-state actors, la trovo particolarmente pericolosa.
Uhm…no, Linus. Con “warfare” s’intende proprio il “guerreggiare” all’interno di un conflitto. Direi, quindi, che la “matrioska” è più corretta 😀
Forse mi sono espresso male io… 😀
L’esempio della “matrioska” era tra warfare e cyberwarfare (ovvero tra terrorism e cyberterrorism) non tra warfare e terrorism (o quindi rispettivamente cyberwarfare e cyberterrorism)…
Chiedo venia
Silendo, secondo me è corretta solo apparentemente, o meglio, superficialmente. In realtà confliggono, giuridicamente e politicamente. Se un atto è terroristico non è più un atto di guerra (legittimo).
Se nell’insiema A ci sono i cittadini percettori di reddito e fiscalmente onesti e nell’insieme B ci sono i cittadini percettori di reddito e non fiscalmente onesti, l’insieme B non è includibile nell’insieme A, a prezzo di trarre delle gravide conseguenze etiche, giuridiche e politiche.
Un attimo, forse ho capito male io il tuo ragionamento.
Io mi riferivo al concetto di “warfare”, termine che non ha un preciso equivalente in italiano e che non è vincolato al concetto di guerra (= due eserciti di due Stati ecc…). Il tal senso, quindi, il terrorismo è un modo di “guerreggiare”, per così dire. E’ un tipo di “warfare”.
Silendo scusa l’intrusione,
ma volevo chederTi se potevi esporre in maniera la piu’ completa possibile il Tuo pensiero circa l’articolo di Il Secolo XIX ?
In ogni caso, Grazie.
B.A.
Babbano, ma in realtà sei un giornalista? 😉
😀 😀 😀
No, non sono un giornalista .
Sono uno che e’ stato “vicino” alla Ditta …..
B.A.
Barry Lyndon …
cosa Ti ha fatto pensare che fossi un giornalista ?
B.A.
Ciao Babbano,
non ho mai pensato che lo fossi. E sono sicuro che anche Linus non lo abbia mai pensato.
Era una battuta. Niente di più.
Qui, come saprai, si alternano momenti di brainstorming e di riflessione a momenti di sana goliardia! 😀
Più i secondi che i primi direi 😀

Enrico
In effetti…. 😀 😀 😀
Enrico, diciamo che si trascorrono momenti di goliardica riflessione strategica
PS: vediamo se il Capo Supremo approva la definizione
Certifico la definizione! 😀
Infatti non ho idea di come faccia il Vate a sopportarci…

Ma scherzi? E’ solo un piacere…
1) Poni spesso domande a Silendo, chiedendo gentilmente che si risponda nella “maniera più completa possibile;
2) Sei molto sensibile alle disfunzioni organizzative passate e presenti degli apparati;
3) Sei attentissimo a ciò che passano i media, televisivi e non.
Insomma, non lo sei, ma potresti esserlo

Vorrei essere per quanto possibile, piu’ chiaro .
Dal 1985 sono stato avvicinato e vicino a tale settore, tenendo un comportamento di assoluta riservatezza che ha limitato direttamente ed indirettamente la vita personale. Mi e’ stato richiesto comportamenti riservati, quando invece la riservatezza era ed e’ violata sistematicamente.
Dal 2005 per motivi personali, ho voluto capire e verificare tali regole/limitazioni , ma conoscere le disfunzioni della struttura . Anche per lavoro ho sempre utilizzato le Fonti Aperte per avere spunti , suggerimenti dove indirizzare la mia curiosità.
Qualche volta mi dicono che la tenacia e la costanza nel perseguire la verifica di una mia ipotesi e’ una mia caratteristica peculiare.
Poi la scoperta di questo sito , e’ diventato un punto di riferimento, ma soprattutto di confronto, perché il confronto e’ sempre positivo.
Poi spero che qualcuno prenda spunto per riflettere sui Babbani che stanno in silienzio vicino agli operatori dei Servizi .
B.A. … Tesserra Ordine dei Giornalisti del Lazio N .

Caro Babbano, è evidente che la pubblicazione urbi et orbi di volti, targhe, edifici sia un… errore (?) piuttosto serio.
Ancor di più se si considera che la cosa era stata segnalata anche in questo blog diversi mesi fa.
Ma la perfezione non è di questo mondo
Grazie Silendo .
La segnalazione di Street View su questo sito e’ stata fatta da parecchi anni .
Cambiando argomento segnalo nuovamente la visione del programma su Rai Storia diXit La Storia dei servizi segreti francesi pt. 2 1a parte.
Dai titoli di testa mi sembra che si tratti di un programma estero tradotto, per questo e’ interessante.
Poi c’e una casistica di eventi/comportamenti analoghi a fatti accaduti ai nostri ( es. Il numero del centralino intestato al ex RUD e pubblico).
B.A.
http://silendo.org/2009/03/28/cyberspazio-e-sicurezza-nazionale
Già nel lontano 28 marzo 2009 si parlava sul questo sito.
B.A.
utente anonimo scrive:
aprile 16, 2009 alle 17:02
Sicuramente occorre verificare l’attendibilità degli articoli pubblicati.
Devo prendere atto che vi è stata una corsa “postuma” a togliere le immagini delle due Sedi della Ditta da Street View di Google dopo che se n’è parlato anche qui.
BABBANO ASIMMETRICO
P.S. Google le immagini le avrà memorizzate da qualche parte anche se ora le ha rese non più disponibili.
Rispondi
Però warfare fa parte della dottrina militare, no? Cioè deve essere riconducibile all’hard power statale in quelle forme regolate che chiamiamo conflitto?

Lo straordinario attacco all’Estonia di qualche anni fa è un atto di cyberterrorismo o cyberwar? Ammesso che la matrice fosse effettivamente russa, intimidire, direi mafiosamente, uno stato sovrano confinante come lo definiremmo? Secondo me, la bilancia pende più per il primo termine.
E poi, soprattutto, vorrei delucidazioni su “uno degli elementi attualmente caratterizzanti il terrorismo, ovvero l’essere di matrice “non-State actor”.
Straordinario attacco?? Linus, guarda che la portata dell’evento è stata ampiamente pompata dal punto di vista mediatico 😉
Warfare = Military operations marked by a specific characteristic.
Mi sembra una buona definizione. Quindi, un “metodo di conduzione di un’operazione militare”. Come la vedi, Silendo?
Anche se qui dentro il Re della glossa è Giovanni… 😉
A parte che al limite sarei il Re della glAssa Sacher, nello specifico 😛 ) ad ogni modo… giacché mi hai chiamato in causa esplicitamente sapendo che il mio ego mi avrebbe impedito di far finta di niente… intervengo 😀
E lo faccio servendomi di MultiWordNet. Carichiamo la pagina web di MultiWordNet, scegliamo la lingua inglese e nell’apposito campo scriviamo “warfare” e diamo invio.
Quel che ci appare sono due “sensi” del termine che, riassumendo, sono:
1. war, warfare — (History, Military) the waging of armed conflict against an enemy; “thousands of people were killed in the war”
-> military_action, action — (Military) a military engagement; “he saw action in Korea”
-> group_action — (Factotum) action taken by a group of people
-> act, human_action, human_activity — (Factotum) something that people do or cause to happen
2. war, warfare — (Factotum) an active struggle between competing entities; “a price war”; “a war of wits”; “diplomatic warfare”
-> conflict, struggle, battle — (Factotum) an open clash between two opposing groups (or individuals); “the harder the conflict the more glorious the triumph”–Thomas Paine; “police tried to control the battle between the pro- and anti-abortion mobs”
-> group_action — (Factotum) action taken by a group of people
-> act, human_action, human_activity — (Factotum) something that people do or cause to happen
Il primo “sense” si riferisce ad un contesto eminentemente bellico, militare, i soggetti in gioco sono considerati enemy nel senso proprio del termine e la parte “performativa” della frase (nel senso in cui Austin intende la cosa, ossia la parte del testo che non descrive una cosa ma la crea, insieme alle sue conseguenze sociali, es.: “ti dichiaro guerra ad oltranza“, “io ti sposo” ecc.) si esplica nella “conduzione” (waging). Nel secondo il contesto di riferimento è largamente demilitarizzato 😛 ed il perfomativo è più blando: “to struggle…”.
Senza andare troppo per le lunghe direi che warfare è un concetto più attinente ad un comportamento che ad uno stato (nel senso di condizione), mentre il concetto di war è più “stabile” e “strutturato” di warfare, attinente ad una condizione all’interno della quale può o meno verificarsi una condizione di warfare.
Quindi penso di essere d’accordo col Vate quando dice che il terrorismo è un tipo di warfare 😉 😛
Concordo. 😀
Ma anche… “struggle between competing entities: conflict” 😉
Personalmente eviterei accuratamente di vincolare il concetto di warfare a quello di “militare” o “guerra”… 😉
Miiiinkiaaaa chi burdellu! 😀
E tutto questo si sarebbe scatenato in un pomeriggio?
Cmq la prossima volta mi faccio una forchettata di….

😀 😀 😀 😀
Da qui non ci si può assentare neanche un attimo caro Barry nostro 😀

Enrico
Difatti non ci assentiamo mai…
😉
R.
AHAH mi hai tolto le parole di bocca V.
😀 😀 😀 😀
Benissimo. Vediamo di arrivare ad un punto (più o meno) certo.
Da quello che ci siamo detti finora, discende che warfare può essere definito come:
“A conflict between competing entities marked by a specific characteristic”
In italiano suona più o meno come:
“Un conflitto tra soggetti contrapposti contraddistinto da specifiche caratteristiche”
Bene. Proviamo adesso a dare un senso a quel “contraddistinto da specifiche caratteristiche“, aggiungedone una a caso… che so, CYBER..! (tanto lo sapevate che sarei arrivato a parlare di c-mf……..)
Una definizione in italiano di cyber-warfare, allora, potrebbe essere:
“Un conflitto tra soggetti contrapposti caratterizzato principalmente(?) dall’utilizzo di tecnologie informatiche e telematiche”
Come suona?
L’unica altra definizione di cyber-warfare in italiano che ho trovato è quella di Stefano Mele, che, nella nota 32 del paper “Cyber-weapons: aspetti giuridici e strategici“, li definisce come:
“Quegli atti aventi come obiettivo la violazione non autorizzata da parte di, per conto di, oppure in sostegno a, un Governo nel computer di un altro Paese, nella sua rete o in qualsiasi altra attività interessata da un sistema informatico, al fine di aggiungere, modificare o falsificare i dati, ovvero causare l’interruzione o il danneggiamento, anche temporaneo, di uno o più computer, di uno o più dispositivi di rete, ovvero di qualsiasi altro oggetto controllato da un sistema informatico”
Tutta un’altra impostazione, quindi.
Che ne dite? Commenti in merito?
Jack, ritengo che a monte bisognerebbe trovare una definizione condivisa di “cyber”. Sappiamo benissimo che non esiste, mode a parte 😉
non esisteREBBE… 😛
Jack, secondo me è fuorviante collegare il concetto di warfare esclusivamente a soggetti statuali.
Oggi, tenuto conto dell’evoluzione dell’ordinamento giuridico internazionale, vi sono altre entità che esercitano legittimamente l’uso della forza, e, quindi, hanno capacità e svolgono attività di warfare: le organizzazioni internazionali.
Inoltre, il progresso delle nuove tecnologie ed il mutamento degli equilibri su scala globale, ha consentito ad entità non aventi soggettività giuridica internazionale di dotarsi di proprie capacità di warfare: gruppi terroristici, insurgents, organizzazioni criminali internazionali, gruppi finanziari, etc.. Qui si entra nel campo delle “guerre di quarta generazione”, del “confronto asimmetrico” e del c.d “unconventional warfare”. Ovviamente, limitandoci alla chiave di lettura prettamente giuridica, in questo caso ci troviamo, in linea di massima, di fronte ad un impiego non legittimo della forza, e, quindi, di warfare.
In sintesi, avendo perso il monopolio dell’uso della forza su scala regionale/globale, lo Stato non è più l’unico soggetto dotato di capacità di warfare e/o coinvolto in attività di warfare.
Hai ragione, Barry. Sono d’accordissimo con la tua osservazione.
Vedi un po’ se ti piace quella di cui stiamo discutendo più sotto…
Abbiamo organizzato un brainstorming virtuale? 😀 😀 😀
Ciao a tutti.
Anzitutto ringrazio “jackallo” per aver riportato la mia proposta di definizione legale di cyber-warfare (tra l’altro anche con scientifica precisione!) e “Barry Lyndon” per il conseguente commento.
Mi complimento, inoltre, anche per la definizione strategica che state dando di cyber-warfare. Non è assolutamente facile trovare un punto di sintesi tra vari mondi, ma a quanto pare ci state riuscendo benissimo ed è davvero molto interessante leggere il vostro dibattito.
Peccato che da un punto di vista legale questa impostazione non possa andar bene, dato che l’esigenza di certezza del diritto e delle condotte poste in essere dai soggetti agenti, che costantemente “aleggia” misticamente nel settore giuridico, impone definizioni contemporaneamente stringenti e omnicomprensive (cosa enormemente difficile).. e magari anche brevi..
Passando al commento di Barry Lyndon, che credo sia rivolto alla mia definizione, effettivamente non credo di essermi concentrato esclusivamente sugli attori statali.
Infatti, l’incipit della definizione dice: “Quegli atti aventi come obiettivo la violazione non autorizzata da parte di, per conto di, oppure in sostegno a, un Governo nel computer di un altro Paese, nella sua rete […]”.
Ovvero, scomponenso il periodo, sarebbe:
“Quegli atti aventi come obiettivo la violazione non autorizzata
da parte di un Governo nel computer di un altro Paese, nella sua rete […]
per conto di un Governo nel computer di un altro Paese, nella sua rete […]
oppure in sostegno a un Governo nel computer di un altro Paese, nella sua rete […] ecc.”.
Credo di aver abbracciato un po’ tutti i casi. O sbaglio?
Ovviamente sono apertissimo a dibattere con Voi anche su questa definizione.
Un caro saluto a tutti e, ovviamente, uno speciale a Silendo.
Stefano Mele
Ciao Stefano,
anche scomponendola, la tua definizione continua a sembrarmi rivolta esclusivamente a soggetti statuali, che sono da te individuati come attori protagonisti coinvolti – direttamente o indirettamente – nelle attività di cyber-warfare.
Invece, dal mio punto di vista, nelle attività di cyber-warfare (e più in generale quelle di warfare) possono essere coinvolti anche attori non aventi soggettività giuridica internazionale che NON agiscono necessariamente “per conto di, oppure in sostegno a un Governo” ma, al contrario, nel loro esclusivo interesse.
Chissà cose ne pensa il grande Jack?
Ragazzi…mi sa che c’è troppo caldo dalle vostre parti

T.
Mi sa che comunque ce n’è più dalle tue 😀 😉
Sai che più che il caldo, mi viene in mente il grande Pirandello 😛
😀 😀 😀
Barry carissimo, credo che la definizione di Stefano Mele citata dal Jack nostrum sia da leggere in questo senso:
– con “da parte di un Governo nel computer di un altro Paese, nella sua rete […]”
contempla un attore governativo che agisce nei confronti di un computer/rete/sistema ecc. collocati sul territorio di un altro Paese (quindi non per forza sistemi di proprietà del medesimo, ma anche di privati o imprese o infrastrutture critiche, ecc.)
– con “per conto di un Governo nel computer di un altro Paese, nella sua rete […]”
contempla un attore ANCHE non governativo che agisce nei confronti di un computer/rete/sistema ecc. collocato sul territorio di un altro Paese (quindi non per forza sistemi di proprietà del medesimo, ma anche di privati o imprese o infrastrutture critiche, ecc.) venendo incaricato dal governo di un altro Paese
– con “oppure in sostegno a un Governo nel computer di un altro Paese, nella sua rete […] ecc.”.
contempla un attore ANCHE non governativo che agisce nei confronti di un computer/rete/sistema ecc. collocato sul territorio di un altro Paese (quindi non per forza sistemi di proprietà del medesimo, ma anche di privati o imprese o infrastrutture critiche, ecc.) che agisce di sua spontanea (più o meno… 😛 ) volontà
Mi sembra quindi che siano contemplati attori governativi e non, statali e non, parastatali e dell’indotto 😛 che agiscono indipendentemente o meno e volontariamente o meno.
Viene in sostanza escluso il “warfaggiare”
Giò, ripeto, in quella definizione mancano gli attori non statuali agenti per loro esclusivo interesse/vantaggio
.
Faccio un esempio:
un gruppo finanziario, che pone in essere azioni, comportamenti, attività, etc. a nocumento di un soggetto statuale, unicamente per i propri scopi/interessi, e NON per conto e/o a sostegno di qualsivoglia Stato, è coinvolto in attività di warfare.
Se tale gruppo finanziario, nel condurre questa “campagna di warfare”, impiega “sistemi tecnologici informativi” (ti garba la citazione? :-P), esprime capacità di cyber-warfare.
Eppure non è uno Stato, non agisce per conto di uno Stato, non agisce a sostegno di uno Stato ;).
Ho l’impressione che si tenda a confondere (o a far coincidere) il concetto di cyber-war (che attiene unicamente ai soggetti statali e/o alle alleanze fra stati) e quello di cyber-warfare (che, invece, è più ampio e racchiude, al suo interno, cyber-war, cyber-terrorism, cyber-crime, etc.).
Ad ogni modo, il mio vuole essere solo un punto di vista, fondato su due elementi: ragionamento logico e significato comunemente associato al termine warfare (e conseguentemente al termine cyber-warfare).
C’è un grande limite: spesso (purtroppo!) ci si trova a confrontare sul significato di termini che non appartengono alla nostra cara lingua e che non trovano corripsondenza perfetta nel nostro amato idioma
Barry carissimo, ho capito che intendi.
Ma non penso sia una questione di idiomi né – o non del tutto almeno – di corrispondenza tra i modi di esprimere i concetti tra le varie lingue (tutto sommato tra le anglofone e le latine al giorno d’oggi non dovrebbero esserci troppi problemi di… transumanze semantiche😀 ).
In tutto quanto sopra però mi era sembrato che la questione centrale fosse un discorso sulla “natura” dell’attore (statale/non statale) e non tanto la sua intenzionalità o addirittura la natura del suo scopo/interesse e i motivi del suo agire e della sua scelta di agire (che immagino esuli dalle necessità di una definizione).
Anche perché, proseguendo su questa linea di pensiero, bisognerebbe allora anche arrivare a definire l’eventualità che uno Stato conduca una campagna di cyberwarfare non per il suo specifico interesse ma nell’interesse di soggetti diversi da sé e da altri stati (può capitare… 😛 ).
Come per il discorso della “interazione” nel warfare, allo stesso modo credo si possa tranquillamente sempre presupporre l’esistenza di un specifico, diretto e personale “interesse/vantaggio” (uno qualsiasi…) per chi pone in essere la campagna di warfare.
Insomma io dico questo: considerato il fatto che – sulla base di quanto mi dice un carissimo nostro amico che se ne intende… 😛 – il concetto di “warfare” è già assai ben definito in dottrina strategica, nel definire il cyberwarfare non rimaga che concentrarsi sul cosa (e se, e quanto, e come, e perché, ecc..) il prefisso cyber – che si presuppone stia a rappresentare un’idea, un concetto, un significato, una prassi, qualcosa insomma… – apporti al concetto di warfare.
In altre parole, il discorso che faccio io da sempre.
Così teniamo anche la prua all’onda ed evitiamo di ingarbugliarci in considerazioni – pure sempre interessanti – che rischiano di portarci un po’ troppo lontano dall’obiettivo 😉
Poi è ovvio che – a proposito di ingarbugliamenti
Quel che sarebbe, a mio parere, estremamente interessante è mettere in qualche modo a sistema queste differenti (e valide) “visioni” in modo che ciò possa essere in qualche modo utile a tutti i vari “domini” 😉
Hummm… vediamo, per quanto riguarda la prima definizione:

– eviterei di usare soggetti e preferirei entità (un warfare “cyberizzato” per quanto mi riguarda può anche essere posto in essere da agenti automatici);
– eviterei di usare contrapposti e preferirei interagenti (un warfare potrebbe non prevedere “parti” dichiaratamente e/o ufficialmente contrapposte, ovvero: una delle due parti potrebbe non sapere di essere “contrapposta” all’altra);
– eviterei tecnologie informatiche e telematiche e preferirei sistemi informatiVI tecnologici (ovviamente nella accezione corretta di sistema e di informativo…);
Quindi verrebbe: “Un conflitto tra entità interagenti caratterizzato principalmente dall’utilizzo di sistemi informativi”.
Con questa definizione si andrebbe a sottolineare:
– la possibile, eventuale pluralità dell’origine (umana o tecnologica) degli agenti;
– che gli agenti devono appartenere ad uno stesso sistema (quindi che vi sia interazione e pertanto feedback);
– che il mezzo attraverso il quel si pone in essere il comportamento (warfare) è costitutito un pacchetto di risorse: fisiche (tecnologiche), metodologiche (anche algoritmiche, perchè no) e informative.
Inoltre la definzione, per meglio definire 😛 , dovrebbe anche indicare lo scopo del comportamento (ovvero del conflitto) che si descrive. Io qui taglierei corto inserendo il sempre valido “al fine di raggiungere, mantenere o difendere una condizione – più o meno persistente – di vantaggio strategico*“.
Siccome è la somma che fa il totale vien fuori:
Cyberwarfare: “Un conflitto tra entità interagenti caratterizzato principalmente dall’utilizzo di sistemi informativi tecnologici al fine di raggiungere, mantenere o difendere una condizione – più o meno persistente – di vantaggio strategico“.
Da notare che “entità interagente” può (dovrebbe…) essere tranquillamente sostituito da “inforgs” il che automaticamente posizionerebbe in coda “…all’interno della Infosfera o in una sua determinata partizione“.
Cyberwarfare: “Un conflitto tra inforgs caratterizzato dall’utilizzo di sistemi informativi tecnologici al fine di raggiungere, mantenere o difendere una condizione – più o meno persistente – di vantaggio strategico all’interno della Infosfera o in una sua determinata partizione“.
Che ve ne pare? Nel caso dovesse piacervi, domando solo il riconoscimento della paternità intellettuale.
Se invece non vi piace, ehm… vi prego, fate finta di niente! (ci rimarrei male…) 😛 😀
* forse questo vale anche al livello tattico, ma qui è il Vate che deve illuminare
Personalmente penso che sarebbe corretto aggiungere sia il vantaggio tattico (medio termine), che quello operativo (breve termine).
Giovanni, facciamo che manteniamo questa versione:
“Un conflitto tra entità interagenti caratterizzato principalmente dall’utilizzo di sistemi informativi tecnologici al fine di raggiungere, mantenere o difendere una condizione – più o meno persistente – di vantaggio strategico, tattico e/o operativo“.
Eccellente, davvero. Mi piace moltissimo e mi sembra davvero completa.
Perfetto, fai copia&incolla di tutto quello che hai già scritto, aggiusta qui e lì il ragionamento, mettici un titolo… e aspetto di leggerla sul tuo blog il prima possibile.
Ci sarebbe da definire anche tutto il resto della materia. Che facciamo, andiao avanti..? 😉
Chiedo venia, non per rompere le uova nel paniere ma “interagenti” è troppo cibernetico. Ragazzi, qui siamo in un contesto leggermente differente. Siamo in ambito strategico. Parlare di “conflitto tra attori, statuali e non” è più che sufficiente.
Peraltro “conflitto tra entità interagenti” lo trovo anche ridondante. Se c’è un conflitto tra due soggetti è evidente che debbano interagire, no? 😉
Mi associo.
A.
Vediamo se ho capito quello che intendi, Sil.
Ovvero, anche se “dopodomani” ci trovassimo di fronte a sistemi informatici che automaticamente pongono in essere attività di cyber-warfare, comunque quelle attività rientrerebbero sempre in una strategia impostata da un attore statuale o non statuale, al di là della presenza o meno del fattore umano. Giusto?
Se c’è un conflitto tra due soggetti è evidente che debbano interagire, no?
Non è (sempre) detto 😀
Consideriamo due individui che non si conoscono, né si vedono, ma sanno dell’esistenza l’uno dell’altro (e poniamo come condizione che questa “sapienza” sia semplice elemento cognitivo del contesto e non già un qualche esempio di “conflitto”). Poniamo che esista un terzo soggetto – mettiamo una bellissima ragazza – e poniamo anche sia che i due individui abbiano cognizione della ragazza sia che la ragazza abbia cognizione di loro.
Poniamo quindi che i due individui (definiti come sopra) mirino ad ottenere le attenzioni della ragazza e che la medesima abbia cognizione di questa cosa. Poniamo che la ragazza notifichi ad ognuno dei due individui non la precisa esistenza “dell’altro” ma una generica esistenza di “un altro”.
I due individui – se sufficientemente interessati alla figliuola – attiveranno – ognuno per proprio conto – una serie di azioni, comportamenti ed attività mirate a trasferire l’attenzione della ragazza da “un altro” a sé, anche attraverso attività generiche volte a screditare – nel caso in esempio – tutti i possibili (e presumibili) altri.
Tecnicamente è la descrizione di due sistemi (sistema A e B) non tra loro interagenti ma che interagiscono entrambi con un terzo sistema (sistema C). Ragionevolmente, e nella maggior parte dei casi, A e B possono tranquillamente ignorarsi, calcolando invece i propri versamenti informazionali (i “comportamenti” del sistema…) solo sulla base del feedback del sistema C (che a sua volta è la somma [intesa in senso assolutamente NON matematico…] dei suoi feedback e di quelli che sono generati dagli stimoli dei sistemi A e B).
In sostanza, il concetto di “conflitto”, così come ne stiamo parlando (volendo possiamo chiamarlo “competizione”, così è tutto più chiaro 😉 ) , si concretizza o meno a seconda del punto di vista. Ad ognuno dei due individui sembrerà di “competere” (essere in conflitto) con nessuno, con un generico “altri” (dai quali non ha alcun ritorno di feedback però) o al massimo con la ragazza. Alla ragazza magari sembrerà di essere in conflitto con nessuno, con uno dei due ragazzi o – peggio – con entrambi 😀 😛
Per questo motivo mi sembrava necessario sottolineare il fatto di “essere interagenti”: diciamo che penso che affinché ci sia del warfare (a maggior ragione quello cyBBBernetico…) le entità debbano in qualche modo… ecco… debbano “ingaggiarsi“, ingaggiare il warfare insomma.
Che senso avrebbe infatti warfeggiare 😛 contro un nemico che non reagisce in alcun modo, né ha idea che esistiamo e che stiamo “warfeggiando” contro di lui? 😉 😉
Gio’, ciò che scrivi tu è valido in ambito cibernetico ma, e forse ho colto male io, Jack intendeva trovare una definizione in ambito strategico.
Ora, quando c’è un conflitto tra due (o più soggetti) è in sé che i due attori abbiano un’interazione. Senza interazione non può esserci conflitto/competizione. Esempi banalissimi: nel conflitto tra due Stati i due Stati ovviamente interagiscono in quanto ciascuno, con i propri mezzi, si adopera per raggiungere i propri obiettivi superando la resistenza del nemico (qualunque essa sia). Nei conflitti non-convenzionali (ad esempio tra Stato e gruppo terroristico) i due soggetti interagiscono ugualmente ma con mezzi differenti, ecc.
Senza interazione, insomma, non si può parlare di conflitto. Nell’esempio da te fatto i due soggetti maschi non sono in conflitto. Ciascuno dei due implementerà un’azione strategicamente finalizzata (conquistare la ragazza) ma non in un ambiente conflittuale in quanto manca un oppositore.
Quello da te descritto è un sistema cibernetico che, perdonami, è un’altra cosa rispetto all’interazione strategica. A meno che, ovviamente, Jack intendesse proprio analizzare la cosa da un punto di vista cibernetico nel qual caso chiedo venia.
Per l’appunto, se non c’è interazione non c’è conflitto. Se io do un pugno ad un tizio e questo neanche si cura di me vuol dire che non c’è conflitto.
Si, Sil.
Eravamo passati a definire cyber-warfare, quindi strettamente cibernetico.
Sintetizzando le vostre osservazioni, potrei proporre che cyber-warfare possa essere definito come:
“Un conflitto tra attori, statali e non, interagenti tra loro, caratterizzato principalmente dall’utilizzo di sistemi informativi tecnologici al fine di raggiungere, mantenere o difendere una condizione – più o meno persistente – di vantaggio strategico, tattico e/o operativo“.
Altre osservazioni?
Jack, allora devi riformulare. Perchè i 3/4 della definizione rientrano nell’ambito della teoria strategica 😀
Buonasera e ben trovati,
mi inserisco nella diatriba per fare un altro esempio di come un conflitto tra due attori possa in realtà escludere ed eludere il diretto contatto tra i due..
Mi spiego: nel caso delle movimentazioni finanziarie ad esempio, può perfettamente essere mosso un attacco verso un obiettivo X, attraverso molteplici scambi economici che A potrebbe avere con B, C e D, finalizzati a determinare un peggioramento o un collasso di X appunto. In questo caso, sotto forma di ricadute e conseguenze, A è riuscito a destabilizzare X attraverso il ricorso ad un sistema indiretto, complesso e di difficile smascheramento.
Non penso che sia necessario che X abbia consapevolezza che A stia muovendo un aggressione contro di esso, sicuramente non nella fase iniziale o pre-iniziale (diciamo quando è allo stato embrionale di intenzione), poichè credo che il conflitto essendo una condizione psicologica prima ancora di quella fattiva, può benissimo essere unilaterale, quindi unicamente di A, seppure X ad un certo punto valuterà di essere in conflitto.
Saluti,
E.S.
Mi dimmenticai la chiosa ( è la vecchiaia…).
Volevo concludere così: magari è anche possibile warfeggiare con chi non ha cognizione di noi e del fatto che lo “warfeggiamo”, ma probabilmente tale attività non si potrà più chiamare “warfare“. Occorrerà un altro modo consono di definirla 😀
Ecco: ho chiuso la chiosa 😛
datemi la definizione di conflitto
Caro Linus, eccola dal primo dizionario online che ho trovato:
:O uau… che velocità 😀 😀
ok…definizione che racchiude alcuni fatti regolati dal diritto interno, altri dal diritto internazionale.
http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/getPDFarticolo.asp?currentArticle=1JOTTQ
E’ un articolo sulla Somalia …. se interessante spostatelo … in caso contrario cestinatelo .
B.A.