Richard Fadden, direttore del CSIS canadese, sottolinea l’accresciuto ruolo della funzione analitica negli attuali scenari operativi dell’intelligence.
[…] In a speech obtained under access-to-information laws, Richard Fadden said CSIS’ mandate is no longer just about working informants and intercepting communications but understanding the information collected and being able to predict how threats to the country will change.
“In today’s information universe of WikiLeaks, the Internet and social media, there are fewer and fewer meaningful secrets for the James Bonds of the world to steal,” Fadden told a conference of the Canadian Association of Professional Intelligence Analysts in November 2011. “Suddenly the ability to make sense of information is as valued a skill as collecting it.”
Fadden said today’s intelligence analysts must be well-read in history, religion, politics and geography and be able to provide answers to complex questions, such as what sort of threat political upheaval in the Middle East poses to Canada’s security interests five years from now.[…]
“The increasing complexity of the threat environment, not least the speed with which new threats can materialize, means that analysts are learning not just to scan the horizon but to try and look over it.
“The increasing complexity of the threat environment, not least the speed with which new threats can materialize, means that analysts are learning not just to scan the horizon but to try and look over it”
come non essere d’accordo!
Guardare oltre l'”orizzonte” è una grande e difficile sfida, che richiede la giusta combinazione di metodo, conoscenza e open mind thinking, il tutto condito con un pizzico di sano coraggio ;).
Ben detto!!
Io sulla increasing complexity nutro qualche – ingenuo – dubbio… generato anche dal fatto che di analisi strategica non ne capisco un tubo corrugato.
In primo luogo perché dovessimo calcolare il livello delle “complessità” (crescente) da quando, per la prima volta, questo termine è stato usato per descrivere la minaccia, saremmo già a livelli ampiamente al di fuori dalla computabilità e comprensibilità umana.
In secondo luogo – dato un ambiente (sistemico?) ed il suo proprio equilibrio “ecologico” – bisogna poi vedere se il medesimo diventa più complesso o semplicemente diverso, fermo restando il fatto che un cambiamento di stato di un ambiente – anche verso uno stato più semplice – genera comunque una attenzione (ovvero dispendio di energia) da parti di chi lo osserva.
E qui la seconda perplessità: può essere che – oggi – gli analisti (ovvero il sistema osservante terzo ed esterno, secondo la concezione classica) devono ancora fare i conti con la presunta “velocità” con la quale queste minacce si materializzerebbero?
Quindi la mia domanda (più una curiosità che altro) a chi ne sa più di me è: davvero la complessità della minaccia cresce con questa allarmante tendenza? Ed in cosa si manifesta, al livello strategico, questa “complessità”? In difficoltà di comprensione? analisi? reazione?
Banalizzando all’ennesima potenza: è un problema di chi corre (che va troppo veloce) o di chi insegue (che va troppo piano)?
Faccio infine presente che l’orizzonte non è un “punto assoluto”, ma relativo. Il che significa che è sempre alla stessa distanza… 😀
Saluti cari a tutti!
Giovanni caro, sei uno dei commentatori preferiti in questo blog (sarà che sono di parte).
del discorso sopra io ho gradito soprattutto: “understanding the information collected…..Suddenly the ability to make sense of information is as valued a skill as collecting it.”
io molto modestamente, filosoficamente e logicamente parlando credo che il punto non sia rincorrere ciò che sta per avvenire, ma comprendere che è il sistema delle relazioni tra fenomeni che si è evoluto (insieme alle relazioni tra gli essere umani e le loro manifestazioni sociali) in una complessità che in un certo senso è nuova perché si sono ingrandite le dimensioni orizzontale e sincronica (tra eventi, fenomeni e persone).
se posso permettermi, of course… ;-P
…
Anonimo carissimo, grazie di cuore per la graditissima preferenza dimostratami (perdonami, sembra proprio una frase in politichese spinto, tipo l’elezione dell’amministratore del condominio insomma… 😛 )
Intendi dire che la complessità del sistema di relazioni supera la somma delle capacità cognitive dei singoli di percepirla (la complessità) o magari di percepirlo (il sistema) in quanto tale?
Uhm… Gio’…secondo me stiamo astraendoci un po’ troppo 😀 😀 😉
Mi spiego. Il senso del commento da me postato riguarda una dinamica piuttosto evidente: rispetto a 20 anni fa il numero delle minacce è aumentato. E’ il vecchio discorso, trito e ritrito ma vero, della minaccia sovietica (una) che ha lasciato il posto ad un insieme composito di minacce.
Come ben sai, la pluralità di minacce crea diversi problemi nella pianificazione delle politiche di sicurezza nazionale e ciò a causa delle difficoltà nella priorizzazione e nel conseguente impiego delle risorse, umane e materiali.
Il senso del messaggio di Fadden è quindi piuttosto chiaro. Le minacce sono tante, cambiano anche con un maggiore frequenza rispetto al passato (la minaccia sovietica è rimasta tale per 40 anni), per evitare di fare scelte sbagliate nel lungo periodo è necessario imparare a guardare “oltre l’orizzonte”. Detto in altri termini: previsione e comprensione profonda delle dinamiche strategiche
Alla tua domanda “davvero la complessità della minaccia cresce con questa allarmante tendenza” la mia personale risposta è: negli ultimi 20 anni c’è stato un incremento nella complessità della minaccia, dovuto anche all’aumentato ritmo di interazione/interconnessione tra soggetti e regioni del mondo.
E’ per questo che, oramai da due decenni, le Intelligence occidentali stanno puntando moltissimo nella riqualificazione del proprio personale analitico 😉
D’accordissimo
Come sai, capisco abbastanza poco di questa roba. Ma la mia domanda finale è: tra 25 o 50 anni – dato tutto quanto detto sopra – si potrà ancora osservare un ulteriore incremento nella complessità della minaccia? Voglio dire, questa complessità ce l’ha ha un asintoto verticale al quale ad un certo punto finalmente si “appoggia” oppure è trend crescente non ha alcun limite?
E’ un po’ come le stime delle presenze turistiche in estate. Ogni estate la stima è sempre inferiore del 20% delle presenze dell’anno precedente. Ciò vuol dire che capo a 20 anni (e cioè più o meno da quando perdo tempo in queste pseudo considerazioni, che potrei impiegare in occupazioni più significative 😀 ) le presenze dell’estate in corso sarebbero dovute scendere all’1,4% del totale del primo anno… (sempre se non ho sbagliato il banalissimo foglio excel dove ho fatto il calcolo 😀 )
Cosa che è tutto tranne che realistica
Quel che voglio dire è che – forse… – continuare ad usare ancora certe prassi (es. la continuous “increasing complexity”) non fa molto bene all’analisi della minaccia o quantomeno alla descrizione della criticità delle minacce che viene propinata alla cosiddetta “gente comune” come me…
Poi sono convintissimo che le minacce sono di più e maggiormente articolate di 20 anni fa. Ma sono anche sicuro che magari tu mi puoi trovare un documento di 20 anni fa che sostiene che le minacce dell’epoca erano (giustamente…) di più e maggiormente articolate di quelle dei 25 anni precedenti…). Così come sono convinto che nei contesti che contano l’analisi e la valutazione della minaccia sia effettuata in modo tale da essere al riparo da questo tipo di failure 😉
In conclusione: non credi che ci sia una certa leggerezza modaiola nell’uso di queste formule?
Ho chiamato James (Clapper) e Ron (Burgess) ed anche loro la pensano in questo modo:
Ovviamente applica una cyber-tara al discorso 😀 😀
Non lo so… perplesso sono 😀
A parte la maxima tara derivante dalla applicazione di una funzione “anticyber” e in larga parte derivante anche dalla mia mediocre conoscenza della lingua inglese (oltre che di quella italiana 😉 ) devo dire che… sono perplesso.
“one of the most treacherous and potential threats facing the U.S. is the speed at which world events are taking place“: con questa frase passa il discorso della famosa ineluttabilità degli eventi (più o meno cyber, più o meno info…) improvvisamente caduti dalle nuvole. Come se (tutte o quasi tutte) le minacce, appunto, cadessero dal cielo come fulmini inviati – per puro sollazzo – da Zeus in persona 😀
Il che spingerebbe me, e spero anche altri, a chiedermi cos’è che genera la velocità con cui questi “events are taking place”. Quali sono cioè i fenomeni scaturenti – o anche solo attuativi – di questo fenomeno. Cosa c’è oggi che non c’era prima. Il che significherebbe magari domandarsi se e come si può agire su quelli per “adeguarsi” in termini di “velocità”.
Se l’elemento attuativo è – come mi sembra di aver capito, ma potrei aver frainteso – tutto ciò che è riferibile in qualche modo alla “questione cyber” (o l’ICT, o le reti, o internet, o i social network o a tutto quello che vogliamo) beh siamo a cavallo, perchè il “contesto cyber” – in quanto ontologicamente basato su un concetto di “best effort”, ovvero si accetta la qualità di servizio che in quel momento è disponibile – offre le stesse “prestazioni” e possibilità sia a chi implementa/attua/rappresenta la minaccia sia a chi invece tende a contrastarla (ovviamente resta fermo il fatto che – a prescindere da tutto ciò – il contrasto è un processo oggettivmente più complesso…).
Il “cyber” più che un elemento discriminatore (ovvero che allarga la forchetta tra le prestazioni dei due attori) è semmai un elemento democraticizzante, che restringe quella forchetta.
Diversamente il tutto si riduce ad un problema di timing. Nel senso che prima – avendo l’acceesso a certe significative risorse – era più facile identificare e reagire alle nuove minacce e/o alle variazioni del contesto. Quando poi quelle stesse risorse sono diventate “bene comune” (come si va dicendo di internet recentemente) il tipo, l’architettura e le potenzialità delle minacce si sono sviluppate e adeguate di conseguenza: perchè non avrebbero dovuto farlo? O – ancora – perché ci saremmo aspettati che avrebbero scelto di non farlo? O – ancora di più – perché ci sorprendiamo che poi hanno scelto di farlo?
In questo senso – oggi – il problema sarebbe semmai quello di “ristabilire” le debite distanze (in termini di performance e potenzialità attese 😀 ) fra le minacce e i “cacciatori di minacce“…
A Te e a voi la parola
P.S.: certo è un po’ complesso scrivere di queste cose mentre si sta lavorando per cui spero di non aver riportato il mio pensiero in frasi senza senso… 😉
Aspetta, Gio’. Secondo me complicando un po’ le cose rischiando di andare fuori traccia. La dichiarazione in questione te l’ho allegata scherzosamente.
Tu devi pensare alla evoluzione della minaccia negli ultimi 30 anni. Dalla Guerra Fredda ad oggi. Ti chiedo: negli anni ’80, per noi occidentali, quali erano le (o la) minacce/ia? Ovviamente non con il senno di poi ma in base all’allora percezione.
O Vate, perdonami: non avevo capito il senso scherzoso (un po’ per l’età, un po’ per il caldo…) 😉 . Forse è anche vero che sbaglio approccio alla questione ma tant’è, ognuno ne ha uno.
Comunque, a parte il “passato” sul quale non mi pronuncio (lo sai strategicamente parlando faccio bella figura solo quando sto zitto :P) quel che mi interessa di più è il metodo o – se vogliamo – il funzionamento delle cose.
Quello che mi interessa sapere è se di qui a “n” anni (un “n” qualsiasi… 10, 20, 25 anni) si potrà considerare terminata questa “escalation della complessità” o si continuerà ad osservare tale fenomeno come estremamente (ed ulteriormente) critico rispetto alle capacità di analisi e comprensione. Tra l’altro – mi pare, ma potrebbe essere i contrario – che il fenomeno sia ampiamente osservato, citato e richiamato, ma non altrettanto ampiamente analizzato o descritto.
Dico questo perchè se le cose stanno così come si dice, date le minacce e le relative specifiche complessità, allora probabilmente conviene cominciare a considerare la stessa complessità [del sistema] come principale minaccia [alla comprensione dello stesso] e solo poi valutare le minacce proprie (e qui mi potrebbe venir in mente un certo utilizzo della complessità come “deterrente”… :D).
Mi ripeto colpevolmente, ma è un concetto a cui tengo: nel 2030, quando nei cinema 3D senza occhialini passerano il film “Silendo Reloaded“, ritieni continueremo a leggere sulle pubblicazioni specializzate citazioni sulla – semper nova – “increasing complexity” delle minacce come fattore critico delle fasi di analisi (e valutazione) strategica o di intelligence?
Se è così, io mi arrendo subito. Se già la complessità (delle minacce) è un imponderabile problema strategico oggi, figuriamoci cosa accadrà tra vent’anni… 😉
Non è che continuare a perorare la causa della sempre crescente complessità (che raggiunge vette purissime e levissime o, meglio ancora, degne della famosa grappa dal nome equivoco…) muova altri tipi di interessi? Tipo quelli che si sospetta che muova la “questione Cyber”?
P.S.: amici, non me ne vogliate… sto solo facendo un esercizio di visione oltre l’orizzonte 😛
No, Giovanni… scusami ma stai andando oltre il senso del ragionamento 😉 E’ proprio per questo che insisto e ribadisco la domanda. Non per impuntarmi ma per ragionare assieme a te. Negli anni ’80, per noi occidentali, quali erano le (o la) minacce/ia?
No, Giovanni… scusami ma stai andando oltre il senso del ragionamento 😉
Magari sono solo due ragionamenti su due tematiche diverse… 😀
Negli anni ’80, per noi occidentali, quali erano le (o la) minacce/ia?
Non saprei proprio… mi butto: quella sovietica?
Assolutamente sì.
Bene, nel corso degli anni Novanta la minaccia sovietica è stata sostituita, mano a mano, da quella terroristica. Il 2001 costituisce l’apice di questa (chiamiamola) tendenza. Nel corso degli anni Duemila Al Qaeda è stata LA minaccia ma, a torto o a ragione, assieme a LA minaccia sono coesistite anche minacce come le armi di distruzione di massa, in mano ai c.d. Stati canaglia e/o ai terroristi. Concordi?
Si certo. Ci sono 😉
Perfetto.
Quindi, nel corso degli anni 90/00 siamo passati (molto sinteticamente, sia chiaro) da UNA minaccia ad UN PAIO di minacce.
Adesso però (2012) non solo non è scomparso il terrorismo e non sono scomparse le WMD (come minacce, intendo) ma si sono aggiunte: la Cina, la crisi economica, i mutamenti climatici, le pandemie eccetera eccetera.
Ora, Gio’, so perfettamente che alcuni di quelli che ho velocemente elencato sono fattori di rischio più che minacce 😉 ma quello che mi premeva far emergere, con questo esempio mediocre, è proprio che negli ultimi 25 anni il sistema internazionale si è aperto ad una pluralità di potenziali crisi globali come mai prima d’ora. Laddove il “come mai prima d’ora” non si riferisce alle minacce/crisi (terrorismo, epidemie, crisi economiche ecc sono sempre esistite) quanto alla coesistenza di più fattori di rischio con capacità di impatto rapido e su ampia scala geografica.
Ciò, essenzialmente, per il concorso di due cause: la globalizzazione e la sempre minore leadership esercitata sul sistema stesso. Ma questo è un altro discorso.
In conclusione, quando persone come il direttore del CSIS canadese o i responsabili dell’intelligence americana parlano di pluralità di minacce, della loro interconnessione e della loro rapidità intendono, molto semplicisticamente, dire quanto sopra
Quando alcuni avveduti sottolineano l’importanza di esplorare meticolosamente l’orizzonte strategico per non farsi cogliere di sorpresa lo dicono proprio per questo motivo.
Perfettamente d’accordo sulla tua analisi, ma mi pongo – ancora di più – le seguenti domande:
1) si prevede che nei prossimi 25 anni fattori di rischio/minacce crescano ancora con lo stesso ritmo? o più veloci? o più lentamente? e poi anche…
2) ammesso che i fattori di rischio/minacce crescano molto più velocemente, si prevede che crescano per sempre o fino ad un certo periodo? e poi anche…
3) ammesso che il trend sarà sempre a crescere, questa “complessità” è un fattore di rischio essa stessa (non so… come la crisi economica i mutamenti climatici)? E poi ancora…
4) lo “sforzo analitico” (chiamiamoli così 😀 ) nei confronti di questi fattori di rischio/minacce ce la farà a crescere anche lui almeno quanto loro? ovvero..
5) cosa gli impedisce di crescere di più (delle minacce)?
6) il sistema internazinale si è aperto ad una pluralità di potenziali crisi. Causa la globalizzazione e la minore leadership. Sono questi quindi i fattori “acceleranti”? come in un incendio?
7) un incendio (la complessità…) finisce – da quel che ne so – o a) quando finisce il combustibile oppure b) quando finisce il comburente.
Perciò, posto che sono totalmente d’accordo con quel che dici, la mia domanda finale (quella che puoi scambiare con il pacco offerto dal Comitato :P) è: quando avrò 57 anni (cioè data astrale 2030) potrò sperare che questa complessità di minacce/fattori di rischio sia ad un livello inferiore di oggi (la complessità di un sistema qualsiasi – di qualunque tipo e con qualsiasi architettura – è sempre finita a meno che non sia infinito il sistema…) o è meglio aspettarsi, entropicamente parlando, il peggio? 😀
Infine, secondo me, quando il direttore del CSIS canadese o i responsabili dell’intelligence americana parlano di pluralità di minacce, della loro interconnessione e della loro “rapidità” (nel far cosa? nell’evolversi? nel cambiare? nell’aumentare/diminuire di numero? nell’intergire?) dovrebbero spiegare anche il perchè chi reagisce alle minacce (loro, gli analisti, l’intelligence, i decisori e chi più ne ha più ne metta…) soffra così tanto (perchè pare che la soffrano…) questa situazione e soprattutto perchè – essendo sicuramente anche loro parte del sistema – non riescono a sfruttare, dal loro punto di vista e a loro vantaggio, questa specie di vortice così come l’abbiamo ormai oggettivato.
Sarà mica – come giustamente affermi tu (e sono pienamente d’accordo) – una questione di minore leadership esercitata “sul [loro?] sistema”? Secondo me… po esse! 😛
Insomma il punto è che un epidemiologo non può lamentarsi della estensione, della velocità e della complessità con la quale si sviluppa una pandemia, perchè è esattamente ciò che deve studiare.
😉
Caro Gio’, ti rispondo sinteticamente punto per punto 😉
C’è chi ritiene di sì, chi ritiene di no, chi semplicemente ritiene di non poter… ritenere, perlomeno allo stato attuale della conoscenza.
Insomma, tra gli esperti i pareri sono molteplici ma, più o meno, tutti concordano sul fatto che negli ultimi 25 anni i fattori di rischio e le minacce siano aumentati nel senso da me illustrato prima.
Francamente non ho mai avuto modo di leggere analisi su questo punto. Dubito ce ne siano, di serie. Voglio dire, Gio’, che qui rientriamo più nell’ambito della preveggenza che non della previsione 😀
La complessità è un fattore… di complessità 😀 😀
Dico sul serio.
Bella domanda che evidenzia un punto fondamentale. Una questione chiave, ad esempio, per tutte quelle organizzazioni, pubbliche (ad esempio i Servizi) o private (ad esempio le società finanziarie), il cui “core business” è costituito proprio da rischi e minacce.
Ce la farà a crescere? Sicuramente è possibile. Se poi ciò avvenga è tutto da vedere 😉
Non ho idea. Vedi risposta al punto 2 😉
Secondo me, e molto sinteticamente, sì!
E chi dice che sia un incendio? O meglio: chi dice che sei una deviazione, un’anomalia? Io penso, ad esempio, che è molto probabile che questo sarà lo standard per molto tempo. Gio’, mi permetto di consigliarti due letture. Uno è un libro che avevo già consigliato, l’altro invece lo recensirò a breve.
Ecco, come ho scritto sopra,a questa domanda secondo me possono rispondere i maghi 😀
Cambiamento ed interazione.
Tieni sempre conto che il termine di paragone storico è la minaccia sovietica. Una minaccia sostanzialmente statica perchè soggetta a cambiamenti tutto sommato molto lenti, decennali.
Prendi invece il terrorismo islamico e guarda come è cambiato nel corso di dieci anni. Passa poi alle crisi finanziarie…
Anche qui molto sinteticamente perchè le burocrazie si modificano con grande lentenza e sempre quando hanno il fuoco… ehm… come risposta a shock esogeni 😉 per non parlare dei decisori…
E perchè non deve? Perchè non deve lanciare allarmi pubblici? Perchè non deve sensibilizzare i cittadini o il decisore stesso?
Vate, provo a farlo anche io, solo che non ho idea di come si faccia la virgoletta della citazione, quindi verrà una cosa un po’ disordinata… comunqe “V” = Vate e “G” = Giovanni 😉
1) si prevede che nei prossimi 25 anni fattori di rischio/minacce crescano ancora con lo stesso ritmo? o più veloci? o più lentamente?
V – C’è chi ritiene di sì, chi ritiene di no, chi semplicemente ritiene di non poter… ritenere, perlomeno allo stato attuale della conoscenza.
Insomma, tra gli esperti i pareri sono molteplici ma, più o meno, tutti concordano sul fatto che negli ultimi 25 anni i fattori di rischio e le minacce siano aumentati nel senso da me illustrato prima.
G- Quindi, se non capisco male, non c’è un’idea vagamente condivisa sulla tendenza che assumerà questa escalation. Diciamo che date le tre opzioni (stessa tendenza, tendenza calante, tendenza crescente) e usando l’accetta abbiamo un buon 66% di probabilità che la tendenza rimanda uguale o vada a decadere… già la cosa mi conforta un po’ 😛 (parametri correttivi a parte :D)
2) ammesso che i fattori di rischio/minacce crescano molto più velocemente, si prevede che crescano per sempre o fino ad un certo periodo?
V – Francamente non ho mai avuto modo di leggere analisi su questo punto. Dubito ce ne siano, di serie. Voglio dire, Gio’, che qui rientriamo più nell’ambito della preveggenza che non della previsione .
G- Beh oddio… preveggenza 😀 Diciamo che se ad esempio (e non sto dicendo che lo si faccia) non si reagisce in alcun modo ai fattori di rischio/minaccia, è ragionevole pensare che questi siano potenzialmente liberi di crescere – se ragionevolmente significativi – senza soluzione di continuità 😀 In questo caso presumo che una ipotesi sul “trend assoluto” possa e debba essere fatta studiando la qualità e misurando l’efficacia della “reazione”…
3) ammesso che il trend sarà sempre a crescere, questa “complessità” è un fattore di rischio essa stessa
V – La complessità è un fattore… di complessità
Dico sul serio.
G- Beh ma se un fattore di complessità ha un “peso” assolutamente significativo e non viene pienamente e consapevolmente percepito – e integrato nel sistema analitico – diventa un fattore di rischio, giusto?
4) lo “sforzo analitico” (chiamiamoli così ) nei confronti di questi fattori di rischio/minacce ce la farà a crescere anche lui almeno quanto loro?
V – Bella domanda che evidenzia un punto fondamentale. Una questione chiave, ad esempio, per tutte quelle organizzazioni, pubbliche (ad esempio i Servizi) o private (ad esempio le società finanziarie), il cui “core business” è costituito proprio da rischi e minacce.
Ce la farà a crescere? Sicuramente è possibile. Se poi ciò avvenga è tutto da vedere
G- Vedi risposta successiva
5) cosa gli impedisce di crescere di più (delle minacce)?
V – Non ho idea. Vedi risposta al punto 2
G- Ecco, qui invece secondo me ci sarebbe da lavorare – e molto – nell’ottica in cui notoriamente si orienta il mio ben noto penZZZZiero 😀
6) il sistema internazinale si è aperto ad una pluralità di potenziali crisi. Causa la globalizzazione e la minore leadership. Sono questi quindi i fattori “acceleranti”?
V -Secondo me, e molto sinteticamente, sì!
7) un incendio (la complessità…) finisce – da quel che ne so – o a) quando finisce il combustibile oppure b) quando finisce il comburente.
V – E chi dice che sia un incendio? O meglio: chi dice che sei una deviazione, un’anomalia? Io penso, ad esempio, che è molto probabile che questo sarà lo standard per molto tempo. Gio’, mi permetto di consigliarti due letture. Uno è un libro che avevo già consigliato, l’altro invece lo recensirò a breve.
G- Beh se non è un’anomalia è meglio. Non c’è bisogno di far nulla. O quasi! 😀 Nel senso che una non-anomalia (a prescindere dalla utilità/dannosità della medesima) è definibile uno stato possibile, prevedibile, atteso e conosciuto di un sistema. E’ più facile da considerare in senso analitico. L’esempio classico è quello della morte. Tutti moriremo e per una pluralità di cause. Sono tante ma si possono studiare statisticamente, così come si può studiare la morte in senso biologico. Se dopo la morte – in un solo unico caso – avvenisse la resurrezione, allora quella sarebbe una anomalia del sistema. E studiarla diventerebbe complicatissimo (e forse senza risultati condivisi, come noto…) 😛
quando avrò 57 anni (cioè data astrale 2030) potrò sperare che questa complessità di minacce/fattori di rischio sia ad un livello inferiore di oggi (la complessità di un sistema qualsiasi – di qualunque tipo e con qualsiasi architettura – è sempre finita a meno che non sia infinito il sistema…) o è meglio aspettarsi, entropicamente parlando, il peggio?
V -Ecco, come ho scritto sopra,a questa domanda secondo me possono rispondere i maghi
G- Ecco, su questo invece ci contavo… 😀
loro “rapidità” (nel far cosa? nell’evolversi? nel cambiare? nell’aumentare/diminuire di numero? nell’intergire?)
V- Cambiamento ed interazione.
Tieni sempre conto che il termine di paragone storico è la minaccia sovietica. Una minaccia sostanzialmente statica perchè soggetta a cambiamenti tutto sommato molto lenti, decennali.
Prendi invece il terrorismo islamico e guarda come è cambiato nel corso di dieci anni. Passa poi alle crisi finanziarie…
G- Intendi dire che nessuno si aspettava (o che fosse lecito aspettarsi) le crisi finanziarie e il cambiamento del terrorismo islamico? Perché sarebbe dovuto rimanere com’era? Ovvero: cosa lasciava pensare che sarebbe rimasto un fenomeno statico?
dovrebbero spiegare anche il perchè chi reagisce alle minacce (loro, gli analisti, l’intelligence, i decisori e chi più ne ha più ne metta…) soffra così tanto (perchè pare che la soffrano…) questa situazione e soprattutto perchè – essendo sicuramente anche loro parte del sistema – non riescono a sfruttare, dal loro punto di vista e a loro vantaggio, questa specie di vortice così come l’abbiamo ormai oggettivato.
V- Anche qui molto sinteticamente perchè le burocrazie si modificano con grande lentenza e sempre quando hanno il fuoco… ehm… come risposta a shock esogeni per non parlare dei decisori…
G- Allora il problema non è delle “elevate prestazioni” 😛 offerte dal “sistema” ma delle performance inadeguate di una sua specifica parte…
Insomma il punto è che un epidemiologo non può lamentarsi della estensione, della velocità e della complessità con la quale si sviluppa una pandemia, perchè è esattamente ciò che deve studiare.
V – E perchè non deve? Perchè non deve lanciare allarmi pubblici? Perchè non deve sensibilizzare i cittadini o il decisore stesso?
G- Può senza dubbio farlo se lo ritiene necessario e funzionale ai fini di una maggiore sensibilizzazione (es.: maggiori finanziamenti) però non può sostenerlo da un punto di vista scientifico, all’interno della sua funziona analitica, in quanto quella complessità è parte fondante del suo ambiente. Se studio e cerco il bosone di Higgs è giusto che io faccia presente all’esterno la complessità e le difficoltà ma non mi posso lamentare con i miei colleghi ricercatori del fatto che il bosone di Higgs non si fa mai vedere… :D)
Posso inserirmi? Giovanni credo che tu stia analizzando la questione da un punto di vista differente da quello del Vate.
R.
ahahah grazie, Gio’!
Gio’, Roberto ti ha evidenziato la diversità dei punti di vista perchè tu proietti in avanti ciò che è la presa d’atto di una tendenza degli ultimi anni. Fai diventare proiezione/previsione ciò che è constatazione del passato e del presente.
Capisci cosa voglio dire? E’ un po’ come dire che siccome a quindici anni, in due mesi, crebbi di quasi dieci centimetri nei successivi sei sarei dovuto crescere di 30.
Perchè tu assumi o dai per scontato che l’azione umana strategicamente finalizzata possa incidere addirittura sul contesto strategico globale. Io, da modesto realista, nutro qualche dubbio.
Ma teoria delle relazioni internazionali a parte permettimi di ribadire quanto sopra e cioè che anche in questo caso il tuo ragionamento riguarda un altro aspetto della questione. A me sembra che tu sottintenda qualcosa del tipo: non potete lamentarvi se non fate nulla per modificare la realtà? Sbaglio?
Gio’, non estremizzare 😀 😀 non ho detto questo. Ho detto che il contesto internazionale del 1989 era differente da quello del 1994 e questo era differente da quello del 2001. Quest’ultimo è differente da quello attuale.
Qualcuno ha pure sostenuto che la storia fosse finita, altri hanno previsto un mondo di conflitti ma non è questo in discussione. Secondo me. O no? 😀
Gio’, scusami… intendi dire che le burocrazie sono parte del sistema globale?
Insisto, secondo me stai volutamente complicando la cosa. Scusami, ma non colgo il senso della frase evidenziata in grassetto :O
Vuol dire che, ad esempio, uno scienziato politico non possa analizzare, con dignità scientifica, i mutamenti nelle relazioni internazionali dall’89 ad oggi? O che non lo possa fare, sempre per fare un esempio, un economista?
Roberto carissimo, si hai ragione.
Ma d’altronde, se la memoria non mi fa cilecca, credo di aver posto questa “lieve” differenza di prospettiva come “prerequisito” qualche post fa (in verità non riesco a trovare dove… con questo infernale sistema dei commenti nidificati!). Se non l’ho fatto chiedo venia, se posso, lo faccio adesso 😀
Siccome però lo scambio di vedute con Vate è spessissimo concime per i miei punti di vista (specie quando le visioni non sono proprio coincidenti…) allora mi sono permesso di insistere nello scambio medesimo 😉
Adesso ci vorrebbe uno Zacapa però… ;)))
O Vate! Riduco le mie repliche solo alle tue osservazioni sulle quali mi viene ancora da riflettere (sulle altre sono ben allineato 😉 )
Fai diventare proiezione/previsione ciò che è constatazione del passato e del presente.
Beh no, volevo dire che volevo inserire le constatazioni del passato e del presente come “costanti” di una qualche funzione di proiezione, più o meno matematica… più o meno ingenua. Non è così che si fa di solito?
E’ un po’ come dire che siccome a quindici anni, in due mesi, crebbi di quasi dieci centimetri nei successivi sei sarei dovuto crescere di 30
Anche qui no, voglio dire proprio il contrario. Ovvero che la complessità – intendiamola come quantità, tipologia e velocità di correlazioni (ma forse sarebbe meglio trovare un altro termine, perchè questo presuppone tutta una serie di cose che forse qui non sono in discussione) – di un sistema “chiuso” composto da tre come da 5 miliardi di entità è comunque un concetto non infinito. Vedi – e qui so che entro in un campo minato di windows 😛 – è come nel gioco degli scacchi. Normalmente viene considerato un gioco (sia in termini di tattica che di strategia) di una complessità immane, anche per un algoritmo. Invece è assolutamente falso. La complessità degli “eventi” che posso accadere sulla scacchiera è quanto di più finito esiste al mondo. L’albero di ogni singola mossa, di ogni singolo pezzo, in ogni singola posizione, in ogni singola SITUAZIONE, (per TUTTI i pezzi, mosse e posizioni) è FINITO e CALCOLABILE. Così come, di conseguenza, tutte le interazioni che possono scaturire da o portare a una delle citate situazioni.
Questa cosa vale negli scacchi come… nel mondo (in modo un po’ diverso ma vale 😉 ). Nel senso che vale nel mondo quando – per lo studio, analisi, ricerca scientifica – si riduce la realtà delle cose (delle situazioni, dei contesti, ecc. ecc.) a livelli più ponderabili descrivendola con dei modelli standard (più o meno complessi, più o meno efficaci, più o meno previsionali 😉 )
E tutto ciò non è altro che “ridurre della complessità”. Ora quello che voglio dire è che se oggi mi lamento della complessità e non faccio nulla per ridurla domani mi lamenterò della “complessità + K” e dovrei fare qualcosa tipo “contromisura + K*K” per ridurla, ma non lo faccio perché fare il “K*K” è… complesso.
Di qui si salta subito al punto successivo… 😀
…non potete lamentarvi se non fate nulla per modificare la realtà? Sbaglio?
Hummmm, si. Però è più complesso. Diciamo, ma ci sto ancora lavorando su in gran segreto :P, che tendezialmente la frase sarebbe “non potete lamentarvi se non fate nulla per risolvere le fallacie che vi affliggono – cyber_questione, increasing complexity, ecc. – per poi provare a modificare la realtà” 😀
Perchè tu assumi o dai per scontato che l’azione umana strategicamente finalizzata possa incidere addirittura sul contesto strategico globale
L’azione umana – variamente strutturata e organizzata – non incide nemmeno un po’ sul contesto strategico globale? Quali sono allora i fenomeni che sono significativi?
Ho detto che il contesto internazionale del 1989 era differente da quello del 1994 e questo era differente da quello del 2001. Quest’ultimo è differente da quello attuale.
Ecco il punto! 😀 DIVERSO! La complessità è un’altra cosa! Se non riesco ad affrontare cose che cambiano, non è detto che sia per colpa della complessità delle medesime! (ovvio che spesso lo è… ma non è detto 😀 )
Gio’, scusami… intendi dire che le burocrazie sono parte del sistema globale?
Intendo dire – ma prometto che poi mi punisco subito 😀 – che probabilmente il “sistema degli analisti strategici o di intelligence” (escludendo dal sistema tutti quelli “de panza”, ovviamente…) non mi sembra si preoccupi molto (o molto spesso) di adeguare certe sue performance a quelle del sistema che osservano. Tieni però conto questa è una cosa osservata da neofita eh… per quel poco di cose che so sull’argomento 😉
Scusami, ma non colgo il senso della frase evidenziata in grassetto [“non può sostenerlo da un punto di vista scientifico, all’interno della sua funziona analitica, in quanto quella complessità è parte fondante del suo ambiente”]. Vuol dire che, ad esempio, uno scienziato politico non possa analizzare, con dignità scientifica, i mutamenti nelle relazioni internazionali dall’89 ad oggi? O che non lo possa fare, sempre per fare un esempio, un economista?
No ovviamente 😀 Voglio dire che uno scienziato politco o un economista – che studia i mutamenti nelle relazioni internazionali dall’89 ad oggi – non può dire che è complicato fare un’analisi perché… ci sono stati tanti mutamenti! Sarà complesso magari per altri motivi no? Anzi, nella ricerca scientifica – da quel che mi risulta – più ci sono fenomeni osservabili e meglio è! Non so… Non mi viene un esempio migliore ma per il solito epidemiologo – pare brutto a dirlo – più grande è l’epidemia, più dati ci sono, più fenomeni si manifestano e si osservano, meglio è! 😀 Per identificare il focolare dell’epidemia, lui studia in fin dei conti la complessità di quel fenomeno: guai se non fosse osservabile la complessità. Morirebbero molte persone in più!
FINE 😀 Ora prometto che non ti/vi assillo più 😛
Comunque comprendo bene che questo “palleggiamento” possa essere stato un po’ “palloso” (in quanto palleggiamento… era naturale! 😀 ) però lo scambio mi è piaciuto molto e ti ringrazio. Tu non ci avrai guadagnato granché ma io sicuramente si! 😉
Ora non ti rimane che scegliere: birretta o mirtillino? ;)))
Non è questo il caso.
Capito cosa volevo dire quando, prima, ho affermato che stavi un po’… complicando il discorso?
Tra l’altro il proiettare in avanti le stesse tendenze del passato non è proprio il top, quando si parla di analisi di medio-lungo termine &C. Per motivi che puoi ben capire il rischio è quello di restare intrappolati, analiticamente parlando.
Insisto anche in riferimento al punto successivo. Perdonami ma non ho mai parlato di complessità infinita.
Gio’, scusami la brutalità 😀 ma se tu ritieni che le affermazioni citate non siano corrette dovresti affermare che sono errate “dimostrando”, ad esempio, che le minacce/rischi di oggi – per numero, loro interrelazione, estensione geografica ecc – siano identiche alle minacce di ieri (=25 anni fa). Altrimenti, scusami, tu non affronti la questione ma sposti semplicemente il discorso verso un’astrazione che, a mio modestissimo avviso, è fine a se stessa e che tra l’altro per adattarsi agli scenari internazionali necessita di una riflessione specifica in materia di relazioni internazionali. Mi spiego?
Ma non sono fallacie. E’ la realtà. Come si fa a disinventare una bomba atomica? Come si fa a bloccare il veloce flusso di denaro da un capo all’altro del mondo? Come si può impedire ad intere popolazione di migrare?
Si può smantellare un gruppo criminale, sventare un attentato, vincere una guerra ma le tendenze sistemiche, a mio avviso, sono molto poco modificabili dall’azione umana (insisto) strategicamente finalizzata. Che, bada, è una cosa un po’ diversa dalla sola azione umana 😉
Ok. Però adesso hai tu l’onere di dimostrare che la diversità (se per te è diverso) non è, in questo specifico caso (non in astratto, Gio’!), anche complessità 😉 😀
Diciamo che molto spesso è così. Ma lo sai benissimo che su questo punto non c’è proprio da discutere e che si è d’accordo.
E perchè non può dirlo se ritiene che il contesto che studia in quel dato momento è diventato più complesso (per i motivi suddetti che tu, adesso, hai l’onere di smentire 😀 )?
Ma infatti io non ti ho scritto che la complessità deriva solo dal maggior numero di minacce/rischi. Ho scritto (ma sicuramente non sono stato chiaro io) che: “quello che mi premeva far emergere, con questo esempio mediocre, è proprio che negli ultimi 25 anni il sistema internazionale si è aperto ad una pluralità di potenziali crisi globali come mai prima d’ora. Laddove il “come mai prima d’ora” non si riferisce alle minacce/crisi (terrorismo, epidemie, crisi economiche ecc sono sempre esistite) quanto alla coesistenza di più fattori di rischio con capacità di impatto rapido e su ampia scala geografica.”
Lo sai. Per me è sempre un piacere (anche se qualche volta devo scrivere di fretta…
)
Birretta???? A me??? MAI!!!! Solo acqua, lo sai! 😀
Eccomi alla carica! 😀
V – Insisto anche in riferimento al punto successivo. Perdonami ma non ho mai parlato di complessità infinita.
G – Tu non ne hai parlato, ma se – ad esempio – dalla fine della minaccia sovietica ad oggi (che è più di qualche anno) si continua a leggere di “increasing complessity”, divento curioso – da osservatore non esperto nella materia – di sapere se questo incremento continuo c’è davvero o se si tratta di una… impressione.
V – Gio’, scusami la brutalità ma se tu ritieni che le affermazioni citate non siano corrette dovresti affermare che sono errate “dimostrando”, ad esempio, che le minacce/rischi di oggi – per numero, loro interrelazione, estensione geografica ecc – siano identiche alle minacce di ieri (=25 anni fa).
G – ma non sono affatto capace di farlo, è ovvio! :D. Poterlo/saperlo fare implicherebbe una serie di conoscenze e esperienze (per non parlare delle capacità poi…) che non ho e che mi sarebbe in assoluto impossibile acquisire :). A me no interessa sapere se un fenomeno (la increasing complessity) esista o meno. Mi interessa sapere se un siffatto fenomeno – in questo modo osservato e definito da chi è del mestiere – all’interno delle prassi di un ragionamento analito, può costituire/costituisce o meno una fallacia (vedi risposta sotto).
V – Altrimenti, scusami, tu non affronti la questione ma sposti semplicemente il discorso verso un’astrazione che, a mio modestissimo avviso, è fine a se stessa e che tra l’altro per adattarsi agli scenari internazionali necessita di una riflessione specifica in materia di relazioni internazionali. Mi spiego?
G- Non è fine a sé stessa, ma risponde semmai ai fini del mio ragionamento affermandolo o negandolo 😉Poi lo so che le mie astrazioni non sono così significative rispetto agli scenari 😀 Eh beh… vi dovete accontentare 😉 😛
V – Ma non sono fallacie. E’ la realtà. Come si fa a disinventare una bomba atomica? Come si fa a bloccare il veloce flusso di denaro da un capo all’altro del mondo? Come si può impedire ad intere popolazione di migrare?
G – Tutti questi fenomeni, è ovvio, non sono fallacie. Niente è una fallacia, se presa a sé stante. Possono diventarlo però quando – incardinati all’interno di un ragionamento – intaccano la correttezza formale delle inferenze. Per i motivi che cercherò di descrivere nel paragrafo “complessità vs. diversità” 😀 😀
V – Si può smantellare un gruppo criminale, sventare un attentato, vincere una guerra ma le tendenze sistemiche, a mio avviso, sono molto poco modificabili dall’azione umana (insisto) strategicamente finalizzata. Che, bada, è una cosa un po’ diversa dalla sola azione umana
All’interno del “sistema” (popolazioni, guerre, bombe atomiche, singoli, governi, nazioni, stati, risorse naturali, cataclismi, ciberspazi, ecc. ecc. 😀 ) gli “uomini” – ovvero le entità cosiddette human-based – sono l’unica componente che può operare in senso strategicamente finalizzato sulle tendenze sistemiche. A tutte le altre entità (non “human-based”) – che pure magari influiscono in modo molto più significativo – non può assolutamente essere riconosciuta questa possibilità. La cosa non mi pare affatto “poca cosa”, in termini di influenza sulle tendenze sistemiche…
G – non sono molto d’accordo
V – Ok. Però adesso hai tu l’onere di dimostrare che la diversità (se per te è diverso) non è, in questo specifico caso (non in astratto, Gio’!), anche complessità
G – come dicevo sopra, non ho le competenze per farlo (e, scusate, mica posso fare tutto io! 😛 ). Nel senso che, come al solito, la mia è solo l’esposizione di quella che mi sembra una necessità. Una necessità che se qualcuno ritiene interessante, puoi qualcun’altro – dotato della necessaria capacità – avrà l’onere, come dicevo, di dimostrare o confutare. Inoltre il concetto di complessità (forse sarebbe meglio dire complicazione…) non è assoluto; va, come dire, indicizzato (complessità “x” piuttosto che “y”, bassa complessità piuttosto che alta complessità, complessità in crescita/diminuzione, ecc.) nel senso che così com’è descrive non descrive uno stato in particolare. Questo sempre in un’ottica ingenua, in quanto sia le definizioni filosofiche che quelle logico-matematiche di “complessità” sono di una… complessità mostruosa 😉 (P.S.: ciò vorrebbe anche dire che la complessità è un fattore di complessità… 😛 )
La diversità invece è più semplice e viene normalmente indicata con “ogni alteità, differenza o dissomiglianza” (Abbagnano) oppure – ontologicamente parlando ed in modo più chiarificatore – se non ricordo male: “..sono diverse le cose che non possono essere sostituite l’una a l’altra rimanendo saldi i predicati che si attribuiscono ad una di esse o in assoluto o a certe condizioni” (Wolff). Ciò può voler dire che la diversità può anche essere semplice pur rimanendo come tale: un punteruolo fatto in acciaio uccide, un punteruolo della stessa forma, dimensione e colore fatto di zucchero pasta di mandorle al limite ha un altro tipo di effetto… dirompente 😛
Ora sta agli “esperti di dominio” (cosa che io non sono 😉 ) valutare quanto ed in che modo le minacce innovino -e con quale tendenza – queste due proprietà (diversità e complessità) rispetto alla ecologia del sistema. Quello che non so, ma tu potrai certamente rispondermi, è se questo tipo di differenziazione è presente nella prassi analitica degli studi strategici/di intelligence/politica internazionale ecc. o meno.
V – E perchè non può dirlo se ritiene che il contesto che studia in quel dato momento è diventato più complesso (per i motivi suddetti che tu, adesso, hai l’onere di smentire )?
G – vedi risposta sopra 😉 Può essere semplicemente che il contesto sia diventato diverso, nel senso indicato.
V – Laddove il “come mai prima d’ora” non si riferisce alle minacce/crisi (terrorismo, epidemie, crisi economiche ecc sono sempre esistite) quanto alla coesistenza di più fattori di rischio con capacità di impatto rapido e su ampia scala geografica.”
G – Capito 😉
V – Birretta???? A me??? MAI!!!! Solo acqua, lo sai!
G – allora prendo il cesto delle noci e delle noccioline… 😉
P.S.: comunque se vi siete appassionati, una piccola letturina molto “in tema” 😉
Una soluzione ce l’ho! Abroghiamo le previsioni a lungo termine!
Tanto, hanno basso o per nulla valore scientifico 😉
ARGH! Linus, proprio a casa di Silendo vieni a dire certe cose??? 😉
En.
In effetti è una cosa parecchio grave, Linus

Roberto
Vero? E’ incredibile! Non c’è più rispetto… 😀
Carissimi tutti,
Linus!!!!!!! sfotti per caso?
a) per Giovanni: in parte volevo dire qualcosa di quello che ha scritto Silendo e che Silendo ha scritto comunque (ovviamente) meglio di me,
in parte voglio proprio dire che le relazioni tra fenomeni si sono allargate nella loro velocità di interazione, e quindi forse serve più acuratezza analitica nell’osservare le cose nella visione sincronica mentre forse in passato è stato possibile applicare schemi più diacronici
ma io ragiono su schemi logici, non da expertise tecnica sulla materia in oggetto
b)
che bel commento! come scrissi già in un post su questo blog che il ns augusto padrone di casa gradì (a suo tempo, era la ‘vecchia’ casa)
scientificamente parlando..no, gli outlook da qui a 20 anni propio non li digerisco. perchè quando li leggo noto che spesso si rischiano due cose:
banalità (tipo: ‘ora che questo processo industriale è cominciato sarà difficile che si interrompa subito’ non è una previsione, è una questione legata agli investimenti che devono essere recuperati. nessun industriale si alza la mattina e chiude un ciclo di investimenti a meno che non intervenga una catastrofe totale nel settore)
oppure inutilità (quale outlook di 15 anni fa aveva previsto la cosiddetta ‘rivoluzione dei gelsomini’? se lo sapete , vi prego di farmelo sapere e mi ricrederò subito)
e questo per il motivo di cui sopra (velocità e complessità dei fenomeni). al max, si può elaborare con successo una previsione che vada da qui a 10 anni anche nell’ipotizzare variabili sconosciute.
tipo (sparo eh?): ‘nella regione X si osserverà un susseguirsi di scontri tribali che le formazioni terroristiche T e Z utilizzeranno per le ragioni 1, 2 e 3 cercando di ottenere Y. questo ammesso che non intervenga nel frattempo un fenomeno di militanza politica locale anche con formazione di un ala militare da parte dei leader della popolazione studentesca che sembra non poter tollerare oltre lo statu quo nell’area’.
mettiamo che a questo scenario io debba aggiungere ulteriori dieci anni..
ma come si fa a prevedere cosa succederà in africa tra 20 anni sulla base di quello che già sto cercando di prevedere per gli anni immediatamente a venire?
come si fa ad applicare l’analisi in modo accurato da qui a 20 anni???? (dico…forse tra 20 anni ci saranno infermieri robot…e gli infermieri umani saranno andati tutti in africa a lavorare!!!)
???????
…
Anonimo, credo che sia tu che Linus abbiate una visione non esatta delle attività di questo tipo. Ma preferisco tacere lasciando a chi ne sa più di me (il padrone di casa) il piacere della puntualizzazione.
Enrico
…non so perché ma ho la netta sensazione che la “puntualizzazione” sarà un altro di quei post “definitivi” da stampare e incorniciare
(Va-te! Va-te! Va-te!)
Si provoca un pò….puntualizzo prima io, visto che in men che non si dica è partito un warning dagli allegribrigatisti 😉
) punta dello Stivale!
qui si rischia un calcio con la ( o dalla?
Caro Linus, tranquillo. Si scherza 😉
En.
ciao,
per l’allegrobrigatista enrico:
giusto, è verissimo che la visione non è esatta. questo però anche perché
alcuni ‘specialisti’ del settore che a volte partecipano anche ad attività di formazione ( o le mettono proprio in piedi) e/o offrono le loro consulenze sul mercato,
secondo me ne danno una visione ben poco chiara. molto poco chiara.
quindi è difficile per chi cerca magari di usufruire del lavoro degli analisti a beneficio del proprio lavoro
apprezzarne il prodotto e soprattutto capire cosa devono desumerne e aspettarsi.
o quanto sia utile investire in servizi di consulenza di questo tipo o addirittura assumere specialisti nel proprio team.
e credo che tale confusa percezione riguardi anche il decisore politico e in genere i livelli istituzionali. in italia sicuramente.
per non parlare del fatto che ci sono persone che a forse avrebbero capacità adeguate ma non riescono a capire che tipo di lavoro dovrebbero svolgere, rinunciando completamente al tentativo di provarci.
questo limita l’offerta di skills ad un gurppo ristretto di profili già consci del settore.
il che è bene forse per limitare la selezione, ma non è detto sia utile in presenza della necessità (anche su fenomeni specifici soltanto) di disporre di abilità interdisciplinari e intersettoriali.
in attesa di illuminazioni
(inutile negarlo, anch’io conto sull’intervento di Silendo, che forse vorrebbe mandarci al diavolo….)
…
Secondo me Linus ed Enrico si sono accordati per mettermi in trappola 😀
Sintetizzare in un commento qualche annetto di dibattiti e risultati in materia di previsione strategica è impossibile. L’argomento è veramente vasto e composito. Economia, politica, sicurezza nazionale, intelligence, aziende e corporate. Chi più ne ha più ne metta. Alcuni punti, però, devono essere chiari:
1) le attività di analisi di medio-lungo termine o di previsione strategica non devono essere confuse con la predizione. Disegnare, seguendo apposite metodologie, scenari probabili/possibili è una cosa molto diversa dal predire il futuro.
2) Proprio perché non si tratta di predizione ne deriva che l’attività non è “one-shot” ma, al contrario, deve essere continua e costante. Per intenderci, siccome non si tratta di consultare la maga che prevede il futuro per i prossimi 20 anni l’analisi (delle tendenze, di scenario, di medio-lungo termine, ecc) deve essere continuamente aggiornata e “tarata”.
A questo punto però mi permetto un piccolo sondaggio-provocazione. Ma secondo voi a cosa servono analisi di questo genere? Qual è il loro obiettivo? 😛
Poter contare su una fatturazione dignitosa. Ma difficilmente funziona… 😛
Signori, per poter individuare la differenza tra “predizione” e “analisi previsonale a medio-lungo termine con elaborazione di scenari” è fondamentale consultare chi, da sempre, ha lo sguardo rivolto al futuro:
http://www.meteogiuliacci.it/
😀 😀 😀
[Sil, mi rendo conto che questa c*****a è da censurare, ma non ho resistito!]
ahahahahahahahahah
Questa cosa che giustamente Barry cita, la trovo utilissima anche per sottolineare (semmai ce ne fosse ancora bisogno) che all’estero riescono – anche questa volta – a far meglio di noi.
😛
😀
questi rapporti a lungo lungo termine possono essere elaborati da molteplici soggetti, pubblici e privati. dov’è lo specifico di apparato in simili prodotti?
Difatti, caro Linus, in genere rapporti del genere non vengono realizzati dai soli apparati di Intelligence bensì da strutture esterne cui i Servizi si appoggiano 😉
Tu conosci le vicende del Global Trends, vero? 😉 😀
Uhm…poco o niente
Pensavo al nic in verità
Parlo dell’unico ambito che conosco ovvero la previsione di carattere economico.
Funziona bene sotto condizioni di regolarità, ovvero se le relazioni stimate tra le variabili sono abbastanza stabili nel tempo.
Cominciano i guai quando si deve prevedere un mondo in cui non solo cambia il valore delle variabili indipendenti, ma anche il modo in cui influiscono sulla variabile dipendente. In sostanza, questione di “known unknowns” e “unknown unknowns”: sui primi si fa un buon lavoro, sui secondi le proprietà statistiche delle previsioni vanno generalmente abbastanza male nonostante l’esistenza di qualche tecnica un po’ migliore delle altre.
Ci sono modi per vedere che accadrà alle principali grandezze macroeconomiche se accade un generico evento imprevisto con determinate caratteristiche (le quali sono rappresentate di norma tramite un processo stocastico), ma c’è una bella differenza tra un “generico evento” modellato più o meno bene e un evento specifico della realtà che cambia le carte in tavola.
Per questo fare forecasting serve eccome, ma – come diceva prima Silendo sulla previsione di scenari – anche quello non è predire il futuro. Bello sarebbe, predire il futuro. 😀
Silendo permettimi di proporre i commenti e relativi link ‘meteo’ del Barry e del Giovanni come
Oscar ex aequo al miglior post.
che sagome che siete, ragazzi (si può chiamarvi ‘ragazzi’, vero? non vi offendete..)
😀
Perchè ex aequo scusate?
Il contenuto artistico – sia come messaggio che come tecnica – del mio link è indubbiamente superiore!
😛 😀
Diciamo che cinematograficamente parlando, Giovanni ha un approccio alla Woody Allen, Barry alla Kubrick 😉