Un servizio del Washington Post illustra l’ampliamento delle operazioni del Pentagono nel continente africano: “U.S. expands secret intelligence operations in Africa“. Un continente, per inciso, che la Cina sta “curando” con particolare attenzione.
Un servizio del Washington Post illustra l’ampliamento delle operazioni del Pentagono nel continente africano: “U.S. expands secret intelligence operations in Africa“. Un continente, per inciso, che la Cina sta “curando” con particolare attenzione.
In relazione all’articolo di REDAELLI, vorrei aggiungere questo link sul “problema” degli Istituti Confucio, che prosperano in tutto il mondo. Se fosse una grande rete?
E.D.
Buongiorno Dalton
Direi che sarebbe strano se non lo fossero.
…. Istituti di insegnamento e diffusione della lingua e della cultura ….
mi sembra che debbano essere oggetto di “osservazione” … nessuno escluso …
…. Anche la Scuola Svizzera di Roma potrebbe essere ….
B.A. CH
Sono d’accordo! Ma credo che nessuna altra istituzione similare all’I.C. ( e sono pronto ad essere smentito) abbia l’appoggio di Università del paese ospitante e sia chiaramente e direttamente controllata dal rispettivo governo.
Propongo un’iscrizione in massa per un’azione di C.I.
Un caro saluto.
E.D.
“Gli Usa e il Mali”, di Guido Olimpio, sul Corriere della Sera.
WASHINGTON – Piccoli episodi rivelano spesso grandi storie. Il 20 aprile di un anno fa una jeep Toyota finisce in un fiume a Bamako, Mali. Muoiono le sei persone a bordo, tre cittadini statunitensi e tre donne marocchine. I primi sono membri delle forze speciali “in civile”. Le seconde delle prostitute. Si divertivano in una pausa di “Sand Creek”, nome in codice dell’operazione con la quale il Pentagono ha schierato nella regione aerei spia, personale privato e militari. Molti di loro sono clienti abituali di una pizzeria nel centro di Ouagadougou, in Burkina Faso, paese chiave per Pentagono e Francia negli interventi in Africa. E lo è anche in queste ore di combattimenti, una fase nella quale gli Stati Uniti sono chiamati a svolgere un ruolo. I due alleati hanno le loro agende africane, però in questo caso esiste l’interesse comune nel fermare gli estremisti e dunque c’è stata e c’è una consultazione.
Washington si è preparata da mesi alle eventuali emergenze, creando strutture e punti d’appoggio per poter intervenire non solo nel Sahel, ma anche in Somalia, in Uganda, in Nigeria, Mauritania, ossia in quei teatri dove agiscono formazioni estremiste e milizie. Boko Haram, Ansaru, l’Armata del Signore, Shebab, Al Qaeda, tutte sigle entrate nell’elenco dei bersagli. Per non dare dell’occhio gli americani impiegano aerei senza insegne – Pilatus e King Air – dotati di apparati in grado di seguire movimenti a terra e di intercettare comunicazioni. Operano da aeroporti minori, si confondono con decine di altri velivoli normali. Li hanno segnalati nei cieli ugandesi, a Gibuti, in molti posti “caldi”. Sono preziosi nell’inseguire sulla lande desertiche gli spostamenti delle “tecniche”, i pick up armati dei jihadisti. Captano gli scambi radio degli insorti.
Parigi – secondo quanto ha scritto il “New York Times” – ha già spedito a Washington una “lista della spesa”. I francesi hanno bisogno del supporto dei velivoli-spia, dell’occhio dei satelliti e sopratutto dei droni armati. Predator e Reaper, dotato di missili Hellfire (ordigni da 100 mila dollari a pezzo), possono restare in volo per ore, pronti a incenerire le colonne qaediste. Anche i “mietitori” non sono troppo lontani. Li hanno dispiegati nella regione in concomitanza con la crisi in Nord Africa e non se ne sono più andati. Fanno perno su Sigonella, in Sicilia, e su un network di basi davvero esteso. Sulla mappa geografica compaiono poi il Marocco, l’Etiopia, le Seychelles.
Mezzi ad alta tecnologia indispensabili per l’approccio preferito della Casa Bianca. Obama è consapevole del pericolo islamista nel Sahel ma, come in Libia, vuole intervenire secondo due criteri: restiamo “dietro” (in questo caso alla Francia) e l’impegno deve essere di limitato (conta la qualità). Un mix di guerra aperta e segreta che è diventato la ricetta preferita dell’amministrazione democratica. Un modo per evitare avventure in stile iracheno ma al tempo stesso mantenere la deterrenza nei confronti dei terroristi. Si picchia in silenzio, con minori responsabilità, ma si picchia.
La conseguenza è che il Comando Africa si affida alle truppe che agiscono sotto due sigle, Socom (forze speciali) e il sottogruppo Inscom, l’Intelligence support Activity di Fort Belvoir, in Maryland. Nuclei addestrati che affiancano eserciti africani alleati o che conducono missioni ad hoc. Il programma, varato nel 2007, si è intensificato nell’arco degli ultimi 12 mesi. E agli inizi di dicembre, il Pentagono, insieme alla Casa Bianca, ha avviato contatti con il Congresso. I generali vogliono l’approvazione parlamentare per ampliare il loro raggio d’azione e colpire in profondità. La richiesta si fonda sulla convinzione che, con il progressivo disimpegno dall’Afghanistan, sarà l’Africa ad avere un peso primario. Per l’instabilità politica e per le ricchezze del continente, risorse sulle quali puntano in tanti. Gli Usa volevano procedere per tappe, quasi nascondendosi dietro la Francia. Solo che gli islamisti, lanciando l’incursione verso il centro del Mali, hanno rimesso in discussione i tempi costringendo gli occidentali a rispondere.