Alcune brevi riflessioni, in ordine sparso, dopo aver letto il rapporto pubblicato all’interno dei Quaderni di Intelligence.
Innanzitutto una premessa: il documento offre molti spunti che meriterebbero di essere approfonditi, anche nell’ambito di un dibattito pubblico. Considero quindi positive le iniziative del DIS volte ad avviare tale dibattito e mi auguro che seminari come quelli svoltisi nel 2010 vengano ripetuti e diventino, in un certo senso, appuntamenti stabili e non episodici. La stessa idea di una collana di approfondimento che miri a fornire “spunti per la riflessione su dottrina e prassi della funzione informativa nel terzo millennio” non può che essere benvenuta.
In tal senso potrebbe essere una buona idea quella di creare (se già non esistente o in fase di organizzazione) all’interno del Dipartimento un vero e proprio “centro-studi”. Un ufficio altamente specializzato che, tra le altre cose, funga da perno per il c.d. “academic outreach” del Sistema di Informazione, curando i rapporti tra Intelligence italiana e mondo della ricerca anche ai fini della “promozione e [del]la diffusione della cultura della sicurezza“.
1. Verso una definizione di sicurezza nazionale.
Si legge nel documento (pagg.6-8):
In Italia esiste oggi un clima culturale certamente non favorevole al riconoscimento della funzione esercitata dagli apparati della sicurezza nazionale; in certi casi si incontrano persino delle incrostazioni di tipo linguistico, addirittura semantico, ed il risultato complessivo è l’insufficiente comprensione dell’apporto conoscitivo che i servizi di informazione per la sicurezza forniscono al funzionamento delle strutture dello Stato e anche, più in generale, della indispensabilità della risorsa informazione per il prosperare dell’economia nazionale. […]
Altrettanto necessaria è una chiarificazione concettuale che riduca l’eccessiva sovrapposizione tra la nozione di ordine e sicurezza pubblica e quella di sicurezza nazionale. Nozioni innegabilmente correlate eppure nettamente distinte, alle quali corrispondono due diverse “missioni” dell’amministrazione statale: la prima consiste nel garantire la pacifica convivenza dei cittadini e il loro diritto ad esseri “liberi dalla paura”. Tradizionalmente questo compito veniva assolto in via esclusiva dall’apparato statale, mediante le Forze di polizia e, nei casi di ricorso allo strumento del processo penale, la magistratura e gli uffici giudiziari. […] La seconda, ossia la tutela della sicurezza nazionale, persegue invece l’obiettivo primario, e perciò sovraordinato a quelli appena descritti, consistente nella sopravvivenza stessa della Repubblica e comprendente, quindi, la sua integrità territoriale, l’autonomia delle istituzioni democratiche sulle quali è fondata, la libertà di perseguire gli interessi fondamentali per la collettività nazionale. […] Un dibattito ampio su questi temi consentirebbe finalmente di sciogliere le ambiguità e le incertezze oggi presenti in larga parte della pubblicistica nazionale (…). Una più precisa distinzione concettuale consentirebbe non solamente di fare molti passi avanti sul piano dell’organizzazione del funzionamento degli apparati della sicurezza, ma anche di chiarire meglio al grande pubblico l’esatta distribuzione dei compiti tra Forze di polizia e servizi di informazione.
Sono totalmente d’accordo e lo sono riguardo all’importanza di definire con maggiore precisione il concetto di interesse nazionale.
In particolare, aggiungo, andrebbe approfondito e chiarito il rapporto esistente tra “interesse nazionale” e “sicurezza nazionale” perchè è proprio in tale ambito che si colloca istituzionalmente la mission di un apparato di intelligence.
Più volte, d’altronde, nel documento viene ribadito che le “attività svolte dalle Agenzie non sono finalizzate solamente alla difesa dello Stato nelle sue componenti fondamentali (popolo, territorio, sovranità) ma si estendono fino a coprire il complesso degli interessi della collettività nazionale o, come anche si dice, del sistema-Paese” e che la legge 124 ha esteso “le missioni delle due Agenzie ampliando considerevolmente il novero degli interessi che esse sono chiamate a difendere, individuandoli in quelli politici, militari, economici, scientifici industriali“.
Anche per questo motivo è oramai indispensabile che il nostro Paese elabori una vera e propria strategia (di sicurezza) nazionale seguendo le best practices internazionali in materia.
2. La formazione e le competenze degli analisi di intelligence.
Leggo nel paragrafo dedicato a “La formazione universitaria e la cultura della sicurezza”:
Di fronte a questi nuovi scenari, la formazione delle persone chiamate a lavorare negli apparati della sicurezza dello Stato e, in prospettiva, ad assumervi responsabilità di vertice, rende sempre più necessario un contatto, un’osmosi tra questo mondo e la società civile, con particolare riguardo al mondo accademico, perché appare ogni giorno più importante poter disporre di quel supplemento di conoscenze che può mettere in grado di leggere in profondità scenari complessi e cogliere, anche nel campo economico, le opportunità offerte da situazioni e fenomeni nuovi.
Un esempio ci viene dal mondo anglosassone, dove la intelligence community attinge assai spesso all’accademia, non solamente in termini di contributi alle attività di analisi, ma anche e soprattutto in termini di formazione e selezione del personale da assumere. […] Le brevi considerazioni appena esposte consentono di mettere a fuoco due esigenze fondamentali: la prima è quella di fare dell’intelligence un elemento della cultura generale, inserendola stabilmente nei programmi universitari. La seconda esigenza è relativa alla formazione specifica, necessaria per preparare i professionisti del settore, con particolare riferimento a quelli da impiegare nelle attività di analisi delle informazioni raccolte, attività che rivestono oggi una importanza crescente: ci muoviamo in un mondo in cui c’è abbondanza di informazione e ciò determina spesso un alto livello di saturazione delle capacità di ascolto e comprensione dei servizi di informazione, conferendo nel contempo un risalto sempre maggiore allo scrutinio di quelle che si definiscono fonti aperte.
Poiché ogni problema presenta varie sfaccettature, è necessario che gli analisti dei servizi di informazione siano in possesso di una formazione professionale particolare, che consenta loro di esaminare e valutare l’intero arco delle informazioni per ricavare quelle rilevanti ai fini della sicurezza dello Stato. […] In altri termini, occorre fare tutto ciò che è necessario per investire con decisione sul fattore umano, la cui prevalenza è stata chiaramente evidenziata dall’esperienza di questi ultimi anni. La disponibilità di risorse umane di elevata qualità è indispensabile per adeguare gli apparati della sicurezza nazionale italiana alle esigenze poste dai nuovi scenari e dalle nuove minacce.
Perfetto, oserei dire.
Come si diceva qualche giorno fa, è proprio questa la vera sfida strategica per le Intelligence del XXI secolo: accaparrarsi (perchè si tratta di una vera e propria gara, una competizione sul mercato) professionisti altamente specializzati, in grado di analizzare e capire realmente le dinamiche globali del potere.
3. Il Comitato Interministeriale per la Sicurezza della Repubblica.
Molto interessante la parte dedicata al ruolo ed al funzionamento del CISR ed ai rapporti tra questo, il Presidente del Consiglio ed il Governo. In particolare (pagg.27-28):
Significativo appare il ruolo del nuovo Comitato in relazione alla formulazione dei “fabbisogni informativi”. Mentre prima della riforma il Comitato Interministeriale si limitava, in realtà, a ratificare passivamente gli obiettivi di ricerca informativa proposti dagli stessi servizi di informazione e sicurezza, oggi la situazione è cambiata: la decisione del CISR rispecchia il risultato di una preliminare attività di confronto e di raccordo con i Ministeri in esso rappresentati, ciò che conferisce concretezza ed effettività alle priorità così indicate.
Secondo una valutazione largamente condivisa, questa nuova impostazione sarà sempre più efficace se si realizzeranno due sviluppi organizzativi: 1) la costituzione di uffici dedicati all’attività di definizione degli obiettivi della ricerca informativa per la sicurezza nazionale da parte dei Ministeri che ancora non ne sono dotati; 2) la creazione di un organismo tecnico di supporto del CISR, composto da alti funzionari delle Amministrazioni i cui vertici politici siedono nel Comitato. In questo modo, grazie al lavoro preparatorio di rappresentanti ministeriali qualificati al massimo livello e stabilmente raccordati con gli uffici ministeriali specificamente competenti, si potrà elaborare una “offerta” di informazioni per la sicurezza effettivamente rispondenti alla domanda e ai bisogni dei responsabili politici.
In pratica, il sistema britannico.
È stata da più parti sottolineata l’importanza di questo punto, perché è noto che se le attività dei servizi di informazione non sono impostate in relazione a precise esigenze dei responsabili politici dei diversi Ministeri, l’interesse di questi ultimi per le “risposte” diminuisce fortemente e i risultati delle attività stesse hanno un’elevata probabilità di non essere adeguatamente valutati e di rimanere inutilizzati. […] La definizione di obiettivi precisi e chiari rappresenta anche un presupposto indispensabile per l’efficace esercizio dell’attività di coordinamento, sempre difficile in sistemi amministrativi complessi e ancor di più in settori caratterizzati dalla presenza di organismi a forte riservatezza e spiccata autonomia operativa, come sono appunto quelli che raccolgono informazioni per la sicurezza della collettività nazionale.
4. Il rapporto tra Servizi di Intelligence e decisore politico.
Questo è l’unico punto del rapporto (pagg. 21-23) che considero carente e lo è, molto probabilmente, anche perchè rispecchia l’attenzione riservata a tale materia da parte del mondo della ricerca italiano: attenzione pressochè nulla, tranne rarissime eccezioni.
Sarebbe interessante se i “Quaderni di Intelligence” tornassero sull’argomento, approfondendolo. Argomento che, è bene ricordarlo, nel campo degli studi di intelligence è considerato internazionalmente tra i più rilevanti e pregiati.
domanda, forse banale, da profano: è meglio attuare questi elementi di “riforma” e poi stabilire una strategia di sicurezza nazionale oppure impostare prima una strategia di sicurezza nazionale e poi ragionare sugli elementi di eventuale “riforma”?
Un caro saluto a tutti!
Teoricamente, la seconda che hai detto
Prima dovrebbe essere elaborata la strategia e poi dovrebbero essere predisposti gli strumenti. L’Intelligence è uno strumento.
Vedi caro Gio’, il nocciolo della questione è: che cosa si intende per strategia di sicurezza nazionale?
Se la strategia è una dichiarazione di principio, il cui scopo principale, se non l’unico, è la comunicazione istituzionale allora la riorganizzazione dei Servizi può anche procedere parallelamente. Il documento strategico, infatti, non sarà di “sostanza” ma servirà, più o meno, per il marketing strategico di quel governo che l’ha elaborato.
Se invece il documento è il risultato finale di una vera elaborazione, di una vera riflessione strategica, allora la riorganizzazione dei Servizi deve essere impostata secondo le necessità strategiche dello Stato. Necessità esposte, per grandi linee, nel documento in questione.
Non so se sono stato chiaro
Perfettamente chiaro 😀
Quindi, mi par di capire, il problema non è tanto produrre il (un) documento, quanto “innescare” una (LA) riflessione… giusto?
Assolutamente sì!
Il punto è quello: non produrre un documento di comunicazione istituzionale (o almeno: non solo) ma attivare un processo, complesso ed articolato, in cui il documento è il risultato finale, il punto di arrivo.
Carissimo Silendo, su questa sfida strategica ti dico la mia
Secondo me, il problema della selezione di un certo tipo di risorse specialistiche sul mercato, vedrà lo Stato sempre in affanno, se si misurerà solo sul piano delle retribuzione.
Per essere competitivi, bisognerebbe pianificare un’azione mirata di propaganda (da un lato miti, simboli, tradizione, valori; dall’altro modernità, giovani energie, difesa della nostra way of life ecc…), esaltando il senso dell’alta missione a cui si verrebbe chiamati, del tipo the nation’s first line of defense negli spot della CIA.
Occorre far leva su forti motivazioni ideali, cosa non facile dato il processo di erosione della sovranità degli Stati medi o medio-piccoli per via della globalizzazione e ancor di più di quelli europei per via della nostra appartenenza alla UE.
Si parva licet, ai tempi della guerra fredda, riferendomi sempre alla CIA, poteva essere più facile allettare i giovani americani usciti dall’Ivy League con queste ragioni, anche se negli anni 50-60 occorre dire che:
1) il divario retributivo tra pubblico e privato non raggiungeva certo lo scarto iperbolico che può esserci ora;
2) gli analisti economico-finanziari non credo fossero al centro delle politiche di assunzione;
3) erano giovani di origine mediamente borghese o alto borghese (della serie il denaro non è tutto e la mia famiglia ce l’ha).
Tutto ciò, se si vuole creare un élite italiana per il XXI secolo.
La domanda che ti pongo è questa. L’intelligence è un spicchio dell’élite nazionale o no? 😉
L’Intelligence è sempre uno spicchio ed uno specchio dell’elite di una nazione. Con i tutti i pro ed i contro 😉
Complimenti per la tua riflessione.
Secondo me, il problema della selezione di un certo tipo di risorse specialistiche sul mercato, vedrà lo Stato sempre in affanno, se si misurerà solo sul piano delle retribuzione.
Per essere competitivi, bisognerebbe pianificare un’azione mirata di propaganda (da un lato miti, simboli, tradizione, valori; dall’altro modernità, giovani energie, difesa della nostra way of life ecc…), esaltando il senso dell’alta missione a cui si verrebbe chiamati, del tipo the nation’s first line of defense negli spot della CIA. Occorre far leva su forti motivazioni ideali, cosa non facile dato il processo di erosione della sovranità degli Stati medi o medio-piccoli per via della globalizzazione e ancor di più di quelli europei per via della nostra appartenenza alla UE.
Caro Linus, credo che lo Stato si troverà sempre in affanno anche se attuasse questi criteri di sponsorizzazione, perchè ognuno di noi saprebbe bene che questi criteri non rispecchiano la verità, sarebbero propaganda, si possono al più sostenere per un certo periodo della vita, ma alla fine tutti sappiamo che la verità si trova altrove!
Mi spiego: per chi moriresti tu? Per chi ti dice muori per lo Stato? Io no, come penso chiunque: si muore per chi ti dice (e ti dimostra) che si muore per ottenere la vita eterna (che significa anche morire per il mio prossimo)!
Ora è chiaro che con ciò non bisogna perdere il proprio bagaglio culturale e tradizionale ma ti ripeto, l’unica via per lo Stato Italiano dovrebbe essere quella della virtù, in ogni campo (per esempio promuovere il bene per ciò che è possibile): questo attirerebbe tantissime persone e sarebbero tutte felici di identificarsi pienamente nei valori italiani!
Ma, in un contesto globalizzato come quello attuale, sembra che non esistono più i confini e più o meno tutti fanno le stesse cose che una subcultura ostile all’uomo diffonde nella cosiddetta società occidentale. L’intelligence in Italia non può permettersi di adeguarsi al mistificante pensiero nichilista-relativista dominante in occidente, perchè altrimenti essa è solo strumento di male ed è solo menzogna (che magari qualche intelligence di Stati più grandi è).
Scrivo questo perchè il tema è appunto cultura della sicurezza.
Per quanto riguarda l’aspetto economico dico questo: notizia di ieri recita che il patrimonio di 10 persone in Italia equivale al reddito di 3 milioni di altre persone più povere. Io aggiungo che di quei tre milioni di persone probabilmente una buona percentuale sono evasori.
Ecco appunto io dico che si debba avere la cultura e il vero coraggio di seguire la virtù e la giustizia (cfr. beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perchè saranno saziati)
Saulti a te e al caro Silendo.
“a group or class of persons enjoying superior intellectual or social or economic status”
Immagino si debba prima chiarire a quale dei tre elementi (intellettuale, sociale ed economico) – o a quale combinazione dei tre – vogliamo fare riferimento. Poi ci sarebbe anche da ragionare sulla “profondità” del concetto di “superior”… 😛
Ho visto cose cha a voi umani non è dato di vedere.. (Da Blade Runner)
Ossia non è, e non è mai stato per come appare…..(l’eccezione che purtuttavia conferma la regola.) ….. Ora – finalmente – è richiesto essere ed avere in quantità e qualità, quello che in passato era “cum paucis ad victoriam”
Non lo è mai…
Salve a tutti,
non si sta facendo confusione tra il concetto di Sicurezza nazionale, peraltro non normato, e quella del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica (normato dalla 124)?
Le competenze dell’Intelligence, nel nostro sistema, sono le seconde e non le prime, che restano in capo al Presidente del Consiglio dei Ministri (e non con la dicitura “Sicurezza nazionale”).
Insomma, chi parla di distinzione tra Ordine e Sicurezza Pubblica (normata dalla 121/81), da un lato, e Sicurezza Nazionale (non normata), dall’altro, mescola concetti su piani distinti tra loro e non comparabili.
La Sicurezza nazionale, in particolare, allo stato è un concetto teorico, forse anche ideologico.
Sia chiaro, anche io penso che sarebbe bene definirlo e normarlo, visto che un sistema esiste solo se difende i suoi fondamentali, ma sta di fatto che ad oggi questo non è avvenuto e che il solo nominarlo da parte del mondo dell’intelligence (considerando la Sicurezza nazionale sovraordinata all’Ordine e Sicurezza Pubblica) può fare sorgere pericolosi equivoci (potrebbe sembrare che Sicurezza nazionale e Ordine Pubblico ideale viaggino nella stessa direzione).
Quindi, per le differenze che ho annunnciato, credo sia tecnicamente impossibile imporre una “gerarchia” tra due concetti.
Asterix
Ciao Asterix. Cosa intendi in questa prima parte?
“Salve a tutti,
non si sta facendo confusione tra il concetto di Sicurezza nazionale, peraltro non normato, e quella del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica (normato dalla 124)?
Le competenze dell’Intelligence, nel nostro sistema, sono le seconde e non le prime, che restano in capo al Presidente del Consiglio dei Ministri (e non con la dicitura “Sicurezza nazionale”).”
Enrico
Chiedo scusa Enrico se rispondo solo ora,
se leggi la 124, tutto si riferisce al Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e il mondo dell’intelligence è collocato in quell’ambito. Solo informazioni, che certo non intendo sottovalutare, ma che non sono l’intera Sicurezza nazionale.
Proprio il concetto di Sicurezza nazionale, invece, non è riferito in nessuna norma dell’Ordinamento, semplicemente per la legge non esiste.
Se però cerchiamo di individuarlo (perchè di fatto una Nazione la sua sicurezza, bene o male, la produce), non è costituito solo dall’analisi delle informazioni (che pure, ovviamente, ne sono gran parte).
Invece la previgente Legge 801/77 prevedeva che “al Presidente del Consiglio dei Ministri sono attribuiti l’alta direzione, la responsabilità politica generale e il coordinamento della politica informativa e di sicurezza”. Il concetto era replicato per SISDE e SISMI. Non solo informazioni, ma anche sicurezza.
Di fatto la 124 ha moncato ogni ambizione direttamente operativa dei servizi, che non sia tesa esclusivamente ad acquisire informazioni. Che poi le cose vadano esatamente così è un’altra faccenda.
Quindi oggi i servizi sono solo una parte del sistema di Sicurezza nazionale evocato dai quaderni di intelligence.
Insomma, al mondo dei servizi sta stretta l’attuale camicia , forse a ragione, ma essi oggi non possono coprire il ruolo di organi tecnici di Sicurezza nazionale.
Chi altro lo può fare? Mah, ciò che era uscito dalla porta è rientrato dalla finestra, vedi il RIS ma anche i compiti svolti da alcuni reparti d’elite e ci si potrebbe spingere oltre.
Asterix
Ciao Asterix. Mi permetto una piccola correzione su questo punto. La “sicurezza nazionale” per il nostro ordinamento esiste. Art. 126 della Costituzione: “Con decreto motivato del Presidente della Repubblica sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge. Lo scioglimento e la rimozione possono altresì essere disposti per ragioni di sicurezza nazionale (…)”.
Ma esistono riferimenti alla sicurezza nazionale anche nella normativa riguardante le espulsioni.
Ciò che manca è un’esatta definizione ma “sicurezza nazionale” non è un concetto estraneo al nostro diritto
Detto ciò, però, invito anche a considerare che la locuzione “sicurezza della Repubblica”, nel nostro ordinamento, può essere considerata molto vicina, per così dire, a “sicurezza nazionale” ove si interpreti “sicurezza della Repubblica” come sicurezza della Nazione, oltre che dello Stato-apparato.
Effettivamente è corretto, Silendo, mi sono lasciato prendere dalla foga.
Però mi sembra che anche questi riferimenti tornano al mio ragionamento: non esiste un concetto di Sicurezza nazionale, né un organismo che la tuteli.
buonasera a tutti, difficile non condividere i vari pensieri espressi che costituiscono,a mio modesto parere, la summa delle riflessioni sulla questione. inoltre, mi sembra difficile normare il concetto di sicurezza nazionale che, per la sua intrinseca natura, abbraccia tutto un complesso di attività difficilmente incasellabili dietro paletti rigidi ( per fortuna, sempre a mio parere).
mi sembra importante, però, che finalmente vengano percepite queste esigenze, soprattutto quella di creare un canale effettivo fra utenti e fornitori di intelligence per creare un efficace sistema di paese, fondamentale per il rilancio della nostra Patria.
versione corretta: sistema paese, perdonatemi. arrivederci
Linus solleva il problema del reclutamento e secondo me imposta il problema nei termini corretti.
In questo momento non ho tempo, ma mi piacerebbe scrivere un post che analizza come dal 1976, anno in cui è apparso il famoso paper di Jensen e MkLing “Theory of the Firm: Managerial Behavior, Agency Costs and Ownership Structure”, si è prodotto un cambiamento di paradigma nella cultura occidentale, inizialmente ristretto alle teorie sul management di impresa e poi via via esteso al modo di pensare il reclutamento e il rapporto di lavoro nel settore pubblico, secondo cui gli incentivi economici sono l’unico elemento( o per lo meno il principale) per assicurarsi risorse umane di adeguata qualità e soprattutto di allineare le loro motivazioni ai fini dell’organizzazione.
I risultati di questo paradigm-shift sono stati l’uso sempre più massiccio delle stock-options (che il Nobel Stiglitz definisce armi di distruzione di massa) e la creazione di una classe dirigente (non solo nel settore bancario) sostanzialmente focalizzata sulla propria retribuzione nel brevissimo periodo, psicologicamente disancorata dal bene dell’organizzazione per cui lavora (io direi, antropologicamente aliena ad essa).
In questi anni le ricerche sulla teoria dell’impresa, stanno prendendo atto degli errori causati dal modello di Jensen e stannno correndo ai ripari (vedansi gli studi di professori come Sumantra Ghoshal dell’INSEAD, un suo articolo divulgativo e interessante è “Bad management theories are destroying good management practices”).
Insomma, se si basasse, nel 2012, il reclutamento della nostra intelligence sulla competitività dei salari, si commetterebbe l’errore di adottare una paradigma datato 1976 e che oramai ha mostrato i suoi limiti e sta cedendo il passo a paradigmi più sofisticati (e sani).
Saluti
Nemo
Concordo (per quanto possa importare)
In questo secondo post vorrei tornare sulla questione sulla domanda di Linus: la nostra intelligence è lo specchio della nostra elite?
Procediamo per via indiretta.
La risosta è no, la nostra intelligence non è elite nel senso che si da a questo termine.
Il mio ragionamento di basa sul fatto che per la maggior parte di tratta di militari e poliziotti e queste due categorie non rispecchiamo l’elite della nazione, per lo meno in termini culturali.
Quando avevo 18 anni (secoli fa) feci un concorso per l’Accademia Aeronautica, che vinsi. Provenivo da un buon liceo del nord e mi ricordo che mi balzò subito agli occhi che il livello culturale dei concorrenti e poi dei miei compagni di corso era molto basso.
Avevo compagni di corso che facevano errori di ortografia (non sviste, proprio non sapevano quando vi volevano gli accenti ). Nel mio liceo persino chi navigava sul 5 e pregava di non avere troppe materie a settembre era a quei livelli.
Fondamentalmente si trattava di ragazzi meridionali, senza troppe pretese dal punto di vista culturale, che cercavano di procurarsi uno stipendio (per chi vuole sapere cosa ne fu di me, diedi le dimissioni e passai al politecnico, che mi diede migliori soddisfazioni).
Qualche anno dopo, durante il dottorato, mi trovai a insegnare al Politecnico di Torino, e questa volta mi trovai nel corso dei tenenti del corpo ingegneri dell’esercito. Tutti meridionali. Anche questa volta l’osservazione fu che c’era un divario di preparazione tra loro e i loro colleghi civili. Per meglio dire: nel corpo Ingegneri erano assenti i casi disperati: mediamente a un 18 arrivavano tutti, cosa che non di poteva dire dei civili. Questo doveva essere l’effetto della selezione all’ingresso in Accademia: tagliare fuori chi era evidente che non avesse i numeri. Ma tra i militari mancavano le “teste”: quel genere di allievo, che rappresenta circa il 5% di un corso, che ha una marcia in più degli altri. Lo riconosci perchè ti fa domande che vanno oltre il programma, perchè ha delle passioni intellettuali mature e ben sviluppate, perchè vede i collegamenti tra materie diverse, perchè si appassiona, perchè gli dai 10 e ti rende 12… Questo è l’allievo a cui tu proponi una tesi, che mandi volentieri in azienda perchè ti farà fare bella figura, che speri voglia fare un dottorato con te e a cui cerchi di aprire le strade…
Ecco, militari di questo genere, no, non ne ho mai visti…
Credo che Lei non abbia visto bene…….. almeno nella mia Amministarzione, tra i cugini dell’Esercito, della Polizia di Stato e della GdF vi sono delle assolute eccellenzesia dal punto di vista culturale che intellettuale.
Per quanto attiene la provenienza geografica, poi, non toccherei poprio l’argomento….
Per puro diletto svolgo le funzioni di Cultore della Materia in un importante Facoltà di Giurisprudenza del Nord avendo quindi continui contatti con innumerevoli studenti…
senza alcuna pretesa di scientificità il livello culturale, almeno nelle materie umanistiche di cui mi occupo, è assolutamente più basso tra i provenienti da istituti superiori del nord….. in un livello di mediocrità generalizzato, ovviamente…….
Le FFAA e FFPP credo che rappresentino, ancora, l’elite del Paese…. specie tra gli Ufficiali/Dirigenti….. poi non so se siano altrettanto validi quali operatori d’Intelligence…. certo conosco molti colleghi (e non sono tra quelli……) che se devono spremere un’informazione lo fanno anche da una rapa…… ma non ho elementi di raffronto.
Armigero
In base alla mia esperienza non posso che confermare
Caro Nemo, premesso che condivido molte delle tue riflessioni, mi permetto di farti notare che il tuo “ragionamento” volto a dimostrare che non vi è coincidenza tra l’elite del paese e la nostra intelligence, è – almeno in parte – fallace.
Ripercorrendo il tuo iter logico, individui quale fondamento del tuo ragionamento questa affermazione:
“la nostra intelligence non è elite….[perché]…. per la maggior parte si tratta di militari e poliziotti e queste due categorie non rispecchiamo l’elite della nazione, per lo meno in termini culturali“.
Il tuo “assunto di base” non è, a mio avviso, del tutto valido.
Cerco di esporti il mio punto di vista.
2 considerazioni preliminari sono necessarie per sostenere il mio ragionamento:
– gli appartenenti alle FF.AA. e alle FF.PP. non hanno un livello culturale medio inferiore ad altri dipendenti pubblici; è sufficiente operare una comparazione per livelli funzionali equivalenti per rendersene conto (ad es. andiamo a verificare se il livello culturale di un funzionario di un ente locale, di un’agenzia fiscale, di una a.s.l., etc. sia realmente più elevato rispetto a chi ricopre posizioni equivalenti nel comparto difesa/sicurezza; andiamo a misurare la diffrenza di spessore intellettuale tra un dirigente di un ministero, di un’università, di un’authority, etc. e quello di un generale di F.A. o di un dirigente della P.S. = sei sicuro che questi ultimi siano generalmente una spanna sotto gli altri? io no!);
– chi lavora nel settore privato non ha un livello culturale medio superiore a quello dei dipendenti pubblici (sia appartenenti al comparto difesa/sicurezza sia alle altre pp.aa.); anche in questo caso, ritengo che, da una comparazione tra posizioni analoghe tra i 2 settori, non rileveremmo mai una preminenza intellettuale del settore privato rispetto al pubblico.
Se convieni sulle mie due premesse, ti renderai conto che il problema non deriva esclusivamente, così come da te sostenuto, dal bacino da cui si attinge per il reclutamento ma dalle modalità con cui il reclutamento viene condotto.
In altri termini, la nostra intelligence non è diretta espressione dell’elite del nostro paese NON SOLO perchè, come da te affermato, proviene dalle FF.AA. e dalle FF.PP., ma perché probabilmente, le modalità di reclutamento non sono sempre improntate all’individuazione delle migliori expertise presenti in tali istituzioni.
Tutta la nostra attuale classe dirigente è inadeguata ad affrontare le sfide, presenti e future, ed essa stessa non è l’elite del paese. Non mi risulta che la maggior parte dei rappresentanti della nostra classe dirigente abbia un background militare o nelle FF.PP.!
Il problema, quindi, non è (solo) focalizzato sul “dove” pesco, ma (soprattuto) sul “come” lo faccio.
Per assurdo, se gli “head hunter” dei nostri apparati intelligence rivolgessero la loro attenzione verso lidi completamente diversi da quelli tradizionalmente considerati, pur svuotando gradualmente le strutture da “poliziotti e militari“, rischierebbero, comunque, di continuare a reclutare risorse non pienamente corrispondenti ai fabbisogni istituzionali e non rappresentati l’elite.
Il nocciolo della questione è, quindi, fondato sulle modalità di selezione e reclutamento. Non (o, comunque, non solo) sull’origine del “vivaio”. Non è solo importante da quel terreno vuoi raccogliere, ma anche come ari, semini, curi, poti, raccogli, etc.
Per sostenere il tuo ragionamento, infine, ricorri ad un esempio (quello della tua esperienza negativa nell’A.M.) nel quale inserisci una considerazione che credo sia poco elegante e, soprattutto, al di sotto di quella che è la tua levatura intellettuale:
“…il livello culturale dei concorrenti e poi dei miei compagni di corso era molto basso […] Fondamentalmente si trattava di ragazzi meridionali, senza troppe pretese dal punto di vista culturale, che cercavano di procurarsi uno stipendio…”
Sarò scontato ma condivido, caro Barry
R.
In parte sono d’accordo con le obiezioni che fa, in parte no.
Confrontare i titoli di studio livello per livello è fuorviante. Per esempio tendenzialmente i laureati delle università più selettive snobbano i concorsi pubblici, che invece sono più frequentati da laureati di università più scadenti.
Sulla capacità di reclutare e trattenere i miglioro, si sono fondamentalmente d’accordo.
Per quanto riguarda la mia ultima affermazione
1. che il livello culturale dei miei compagni di corso fosse basso, è un dato di fatto, triste ma inconfutabile
2. che fossero prevalentemente meridionali in cerca di uno stipendio,è un’affermazione brutale, se vuole sgradevole, ma rappresenta la realtà delle nostre FFAA. Avevo un collega di corso, meridionale, che aveva fatto tutti i concorsi dell’anno: GDF, CC, MM e AM. Entrato in AM, come pilota (!), sperava nell’esito positivo di quello nella GDF perchè la GDF aveva più caserme nella sua regione e aumentava la probabilità di riuscire a sistemarsi vicino a casa…
non sono affatto stupido e se voglio posso parlare di teoria generale dei sistemi, ma è inutile indorare la pillola. è la realtà che è essa stessa brutale
“Confrontare i titoli di studio livello per livello è fuorviante“.
Sono d’accordo con te. Infatti, non ho mai fatto questa affermazione!
Diversamente ho detto che, per confrontare il livello culturale/intellettuale degli appartenenti alle FF.AA./FF.PP. con quello dei dipendenti di altre PP.AA./settore privato, è necessario fare una comparazione per livelli funzionali equivalenti.
Semplificando:
– il top manager/dirigente pubblico che parla 3 lingue lo devi confrontare con un ufficiale generale impiegato in ambito SMD o con un dirigente superiore della PS con un incarico presso una direzione ministeriale;
– il quadro aziendale/funzionario categoria C (smart, giovane e intraprendente) lo devi confronatare con chi ricopre una funzione equivalente nel comparto difesa/sicurezza e, quindi, un maggiore/ten.col “cazzuto” dislocato all’estero (ad es. Europol) o un vice questore con un incarico in un qualificato reparto interforze;
– l’impiegato presso la segreteria di uno studio legale/commerciale, l’addetto commerciale di un’azienda o l’impiegato amministrativo all’ufficio anagrafe del comune li devi confrontare con un maresciallo/ispettore con incarichi analoghi.
Ancora una volta, ti chiedo, sei sicuro che il confronto (in senso generale) non regga e che ci sia tutta questa differenza di spessore intellettuale tra il comparto difesa/sicurezza ed il resto? Focalizzando l’attenzione (e la misurazione) sulle figure apicali sei così certo che ci sia questo grande divario culturale tra la dirigenza delle FF.AA./FF.PP. e quella degli altri settori pubblici/mondo privato?
Continuando:
“…che fossero prevalentemente meridionali in cerca di uno stipendio,è un’affermazione brutale“.
Si, in effetti, dimenticavo che nel mondo del management, l’attività lavorativa viene svolta esclusivamente per scopi di filantropia!! 😀
“…un collega di corso, meridionale, che aveva fatto tutti i concorsi dell’anno: GDF, CC, MM e AM. Entrato in AM, come pilota (!), sperava nell’esito positivo di quello nella GDF perchè la GDF aveva più caserme nella sua regione e aumentava la probabilità di riuscire a sistemarsi vicino a casa…“.
Perché, nel mondo privato, soprattuto quando si hanno specifiche e qualificate skills, non ci si “vende” al migliore offerente? 😉
Con tutto il rispetto per le tue rilfessioni, che come vedi non condivido in buona parte, ritengo che il tuo punto di vista e, conseguentemente, le tue valutazioni siano sensibilmente influenzate dalle tue pregresse esperienze negative con il comparto sicurezza/difesa del nostro paese…
L’emotività, spesso, compromette la capacità analitica.
ps: rileggo il mio post e ritrovo errori qua e là… scusate, scrivo alla veloce nei ritagli di tempo…
mah, sarà…
anche io sono stato cultore della materia e le assicuro che non è un titolo di cui andare fieri. Semplicemente il docente titolare del corso non ha voglia di perdere tempo a fare lezioni e tanto meno esercitazioni ed esami ai marmocchi e trova un povero Cristo che ha un’infarinatura della materia, che ha voglia di farlo lui e gli firma il certificato di cultore della materia necessario per pupparsi la rogna. Nel mio caso si trattava di raccimolare qualche euro per arrotondare la borsa di dottorato, nel suo forse di togliersi lo sfizio di dire che ha insegnato all’università e raccimolare qualche titolo che ai dipendenti pubblici serve per fare carriera , ma le assicuro che si tratta di roba di cui non vantarsi troppo, nel suo caso come nel mio…
militari ne ho visti all’opera abbastanza, prevalentemente nel grado da maggiore a colonnello, prevalentemente EI e AM. Direi che di eccellenza non si trattava proprio.
Per quanto riguarda la PS, una sola volta ho avuto a che fare con loro, per motivi professionali. Non sapevano neanche su che pianeta si svolgesse la discussione, da vergognarsi…
Posso concedere che i CC siano un po’ meglio, ma mi dovete convincere!
dei ragazzi che facevano la tesi sotto la mia supervisione, uno è andato a fare il concorso RTL per i CC, per la telematica… e ha vinto! gli ho chiesto come si stesse nei CC, solo due cose mi ha detto:
1. fantastico, abbiamo l’omogeinizzazione stipendiale
2. fanstastico perchè sono ben pagato per lavorare poco, qui non mi faccio il mazzo come me lo sarei fatto nel privato
ora , da uno che entra come tenente dei CC e avrà le stellette si e no da due mesi, mi aspetto che mi parli di cosa spera di andare a fare a fine corso, dell’entusiasmo per la nuova esperienza, delle investigazioni telematiche, del corso, insomma di qualcosa, qualunque cosa che mi trasmetta il messaggio “sono qua perchè voglio fare qualcosa di buono”…
ma se questo mi racconta dell’omogeinizzazione stipendiale e del fatto che si è trovato un posto per fare la vita traquilla, mi chiedo: ma quale tipo umano va a fare quel genere di concorsi?
ah, sulla questione nord sud, fanno fede i punteggi INVALSI.
Basta andare so Google e cercare le seguenti parole chiave: INVALSI divario Nord Sud.
Poi possiamo discettare delle reciproche esperienze personali, ma non hanno validità statistica (intendiamoci: anche le mie, non solo le sue…)
Armigero, le tue impressioni soggettive (che personalmente trovo sorprendenti) sono clamorosamente smentite dai risultati dei test PISA (indagine comparativa internazionale dell’OCSE) che misurano le abilità nella lettura, scienze e matematica degli studenti delle scuole superiori. Ebbene, gli esiti sono impietosi al sud.
http://noisefromamerika.org/articolo/alcune-prime-osservazioni-sui-risultati-test-pisa-2009
3. Le differenze regionali. Il rapporto breve del sito dell’Invalsi enfatizza come già fatto per le precedenti versioni le differenze per macro regioni, e confermano enormi differenze regionali. Non credo sia appropriato confrontare regioni italiane con interi paesi stranieri, ma tanto per dare un’idea, per la Lettura, il Nord-Ovest e il Nord-Est si attestano ai livelli di altri paesi europei comparabili (punteggi 511 e 504, rispettivamente, non tanto diversi da Australia, 514, Paesi Bassi, 508, Belgio, 506, Svizzera, 501, Polonia, 500, etc…). Il centro si attesta sulla media italiana, 488, mentre il sud ottiene un preoccupante 468, e le isole 456.
Nella matematica e nelle scienze le differenze hanno lo stesso ordine di grandezza: per la matematica, 507 al nord, 465 al sud e 451 nelle isole; per le science, i numeri sono 515, 466 e 454. A voler giudicare dagli esempi di domanda citati sopra, lo studente medio del Sud fa fatica ad interpretare un semplice grafico o a rispondere ad una domanda che richieda una divisione.
Ahimè, è vero…
Nemo, mi hai letto nel pensiero 😉
Dalle ultime due risposte ho l’ennesima riprova di quale sia la considerazione generica media di cui godono le FFAA e le FFPP e i loro Ufficiali/dirigenti in Italia… Probabilmente sara’ meritata ma personalmente non credo… Resto della mia idea, non supportata scientificamente dalla gran messe di dati portati dagli interlocutori, ma in questo caso e’ meglio chiudere le FFAA e FFPP dato il livello delle due dirigenze….
Per quanto attiene i Cultori della materia forse dipende dalla serietà delle persone….
Poi onestamente non vorrei far finire il blog come una puntata di Anno zero….
Data l’educazione dei lettori partecipanti a questo bellissimo blog, cominciando da te, caro Armigero, non credo si correrebbe comunque questo rischio

R.
Sicuramente il Padrone di Casa non assomiglia a Santoro
ahahah

Sicuramente no!
Roberto
Fiuuuu…. meno male…. 😀 😀 😀
I dati statistici riportati non sottendono alcuna considerazione sul livello dei quadri/dirigenti delle forze armate e di polizia, ci mancherebbe. Mi pare un’indebita deduzione.
Io ritengo che il concetto di élite vada usato con molta parsimonia. Ad esempio, se parliamo delle nostre Agenzie+Dis, possiamo riferirci con questo termine ad una manciata di persone.
In generale, però, il concetto è imperniato più sulla cooptazione che sulla selezione in senso ampio. Dove c’è un radicato senso della propria storia e una visione del futuro che si vuole costruire, i meccanismi cooptativi funzionano. Da noi no, come è noto.
I giudici delle corti superiori inglesi (prodotto non importabile) provengono dalla crema della professione forense e sono poche decine, perchè il sistema giudiziario arresta i processi nella massima parte ai livelli inferiori. No concorsi, no selezione pubblica, ma discrezionalità fondata sul prestigio.
Non è solo la seniority autorevole a pesare. Se già a 45 anni sei un (top) manager di un importante istituto del settore creditizio-finanziario-assicurativo, non sei sullo stesso livello di un tenente colonnello, viceprefetto, vicequestore, ecc… Il primo frequenta tutto un mondo che l’altro se lo sogna, eppure sono coetanei.
Chi fa parte dei due dell’élite/classe dirigente?
Questo discorso sta prendendo una piega interessante
Linus credo che ci si debba intendere sul concetto di elite. Non sono un sociologo e non conosco la letteratura. Mi sembra di cogliere che tu consideri ‘elite’ sinonimo di ‘valore’. Corretto?
Enrico
Carissimo Linus! 😉
Condivido la domanda di Enrico ed il suo presupposto. Dobbiamo intenderci sul concetto di elites, per evitare di dare significati diversi alla stessa parola
La mia costante esperienza in materia (e non sono ironico) mi porta a dire entrambi… Sono innumerevoli i casi di Ufficiali richiesti dalle aziende per coprire adeguate professionalità… Penso a quanto più vicino al mio mondo… Security ed intelligence aziendale…. Chi prendono? Il laureato con tre master alla Bocconi o il Maggiore dei Carabinieri? E i cari colleghi PdS o GdF? Poi si può dire tutto sulle singole professionalità … Ma che piaccia o no il dato fenomenico e’ questo….
eh, ma appunto: la security aziendale
1. non definisce le revenues
2. non definisce i costi
3. non definisce le strategie
il problema sta appunto nel fatto che per tutte le cose che impattano sui soldi, che poi sono il core, vogliono uno della Bocconi e non un maggiore dei CC. Lo so che FIAT ha una security aziendale, ma appunto le prime linee di Marchionne sono tutte Bocconi e simili e a nessuno passerebbe per la testa di metterci un ex ufficiale.
manno!
qui rischio di essere frainteso. Se scrivo su questo forum, è evidente, credo, che “voglio bene” alle FP e FA.
Mediamente le FP e le FA fanno un buon lavoro e credo che siamo tutti d’accordo che sia invece opportuno potenziarle.
Pero’, negli ultimi 50 anni, purtroppo, in Italia ci sono stati dei trend culturali che hanno scavato un solco tra le FA/FP e la società civile. In particolare mi riferisco una visione internazionalista delle problematiche sociali, che identifica nello stato nazionale un ostacolo sulla via del progresso e di riflesso individua come elementi intrinsecamente negativi le espressioni dirette della sovranità nazionale, le FA e le FP (per intenderci Vaticano e PC). Ancora oggi per molti italiani FA e FP sono sinonimo di violenza.
Ma anche le FA e le FP hanno le loro colpe. Negli anni dal 45 ad oggi, hanno coltivato il mito della loro diversità antropologica. L’idea base è stata che il militare , anzichè un cittadino in armi, appartiene a una “casta” a parte. Questi discorsi li ho sentiti fare mille volte da Ufficiali di Accademia. Il modello di reclutamento è fondamentalmente ancora impostato su questi presupposti culturali. Io mi ricorso benissimo i miei superiori, al primo anno di Accademia, dirmi che la cultura per un ufficiale è una dote superflua. Questo atteggiamento “autarchico” delle FA e FP, sicuramente anche indotto dalle spinte di rigetto di matrice internazionalista, ha però relegato molto le FA e le FP ai margini della vita culturale del paese.
Ma insomma, prendiamo le tesine che i nostri generali fanno a fine corso ISSMI. Ma davvero vogliamo dire che brillano per originalità e profondità di pensiero? No! Ma anche il CEMISS oramai produce molto poco… e guarda caso ha smesso di produrre da quando è stata soppressa la leva e gli è mancato l’afflusso di civili…
Sulla base di questo divorzio tra società civile e mondo militare si è creata la base del nostro dialogo di oggi. La società civile, specie quella del nord, dove sopravvive un barlume di apparato industriale, adotta i riferimenti culturali dell’azienda privata, mentre il mondo militare vive dei propri.
Esempio pratico. Credo di averlo già postato su questo forum, ma in questo caso cade a pennello.
Due anni fa non ero ancora dirigente, ma guadagnavo già abbastanza. Esce un concorso per Direttori Tecnici della PS. Se vinco, vado a guadagnare circa un terzo in meno del mio stipendio di allora. Ci penso e mi dico: ma si, chi se ne frega dei soldi e dei disagi, alla fine , essendo il soggetto che la sera posta su silendo, ci sta. E guardate che stiamo parlando di uno che a 25 anni stava facendo la tesi alla NASA, e parla inglese, francese e russo . Le probabilità che perdessi quel concorso erano bassine.
Bene, passano cinque mesi e mi arriva la raccomandata per la convocazione alle visite mediche: spedita due giorni prima, ritirata il giorno stesso della consegna: mi dice di recarmi a Roma due giorni lavorativi dopo, munito di lastre torace e analisi varie (una pagina di analisi da fare). Scritto chiaro come il sole che le visite non si possono spostare per nessun motivo. Bravi, vi siete tenuti tutto in pancia per cinque mesi e mi notificate all’ultimo momento. Anche se fossi mandrake in due giorni non posso procurarmi tutte le lastre in due giorni, e soprattutto non posso sparire dal lavoro cosi senza preavviso (annullando un incontro a Londra)… Chiamo Roma e mi dicono “guardi, se non si presenta e con le lastre a posto noi la consideriamo rinunciatario” alle mie rimostranze sul fatto che tra l’altro lavoro e non posso sparire di punto in bianco “ma noi ci rivolgiamo a un pubblico di disoccupati, ma se lei ha un lavoro le sembra di fare un concorso pubblico?”
lo so che facendo ricorso un qualsiasi tribunale mi avrebbe dato ragione ma alla fine mi sono detto: ma se per reclutare la loro classe dirigente si muovono con questa sciatteria, ma io devo mollare carriera, soldi e tranquillità per loro?
e fine, il giorno delle visite sono andato al lavoro, la sera sono andato a farmi una pizza e tanti saluti alla PS.
Mi dispiace per queste esperienze negative…. Anche la mia vita militare non e’stata ne e’ tutta rose e fiori o tanto meno serate e balli al circolo Ufficiali… Nella mia Amministrazione (e per origine nell’EI) la cultura e’ generalmente ricercata…Certo quella giuridico-umanistica ma per confrontarsi con magistrati ed avvocati bisogna pur saperne qualcosa altrimenti si fa la figura dei peracottari…..
lo so, se invece di essere alto 1,69 fossi stato alto 1,70 un pensiero ai CC, nell’RTL l’avrei fatto, ma li volete alti biondi e con gli occhi azzurri! quel mio allievo che voleva entrare nei CC per sistemarsi e lavorare poco era alto 1.85! fregati vi siete!
Eccomi!
Certo Enrico, un’élite disgiunta da virtù e valore è una mera oligarchia, no?
Anch’io da profano, idealmente, ma proprio idealmente, impiego il termine élite nel senso di riferirmi a coloro che fanno parte, diciamo, di quello che potremmo chiamare l’inner circle che orienta, indirizza, influenza strategicamente una società politica.
Storicamente, si tratta di una minoranza che riceve un testimone (immagino per l’Inghilterra l’Impero), lo conserva e poi lascerà ad altri che lentamente verranno aggregati tra i propri membri.
Invece, quando penso all’espressione classe dirigente allora immagino un cerchio concentrico maggiore.
Quando l’élite non sa riprodursi (per familismo amorale e cinismo) e perde valori e virtù, (storicamente dati, ma legati sempre ad una grande o quantomeno lungimirante visione) allora fatalmente degenera in banale oligarchia, che è poi quella più facile da vedersi nella nostra storia nazionale.
Anche l’oligarchia orienta, ma senza visione, piatta e sciatta.
Boh, direi che mi sono spremuto per bene 😛
Egregi signori,
scrivo due righe per puntualizzare un’aspetto incontrato in un post precedente. In esso si accennava ai test INVALSI che restituiscono un risultato apparentemente agghiacciante definendo un desolante scenario completamente sbilanciato in favore del nord..
Bene dico apparentemente, perché chi è ben informato sull’argomento sa perfettamente che cosa è il programma INVALSI, ovvero uno strumento imposto dalla CE ed assorbito malvolentieri da quasi la totalità dei docenti di elementari/medie/superiori. Questo perché chi ha esperienze pratiche di insegnamento fino alla media superiore, sa bene che il solo programma didattico è pieno zeppo di insegnamenti ed attività, mentre i test invalsi piombano lì obbligatori..
Ora quindi secondo il mio modesto parere, occorre ben osservare più che il dato facile da interpretare (gli studenti del sud sono somari) quello nascosto, in virtù di quanto sopra premesso: gli insegnanti hanno male assorbito questi test “imposti” dal MIUR (al quale li ha imposti la CE) e quindi è chiaro che esiste una certa trascuratezza nell’affrontare e presentare agli studenti questi strumenti. Inoltre se aggiungiamo a quanto detto che ogni insegnante (escludendo l’Università), data la miseria del proprio stipendio approfitta della possibilità offerta dal dirigente scolastico di proporre un progetto didattico da affiancare al programma, retribuito extra-stipendio.. è ancor più chiaro che più si va al sud italia e più questo feeling con il test INVALSI diminuisce!
Per quanto concerne il discorso elìtes vi dico attenzione ad esaltare e desiderare tanto le elìtes, perchè si può essere circondati di libri e rimanere profondamente ignoranti (nel caso delle elìtes culturali), oppure essere pieni di soldi ma usarli solo per il proprio piacere o per la propria avidità (elìtes economiche), oppure per sfruttare il proprio potere (elìtes politiche). Anche la Chiesa nella sua enormità si deve costantemente confrontare con questo problema, perchè la tentazione di essere come un’elìtes in questo caso la distoglie dalla propria missione: essere nel mondo, tra tutti, particolarmente tra i più poveri (i “piccoli” del mondo) ed annunciare il Vangelo e l’annuncio di Gesù Cristo.
Ora, credo come dico spesso, che più dei soldi, più dei soli libri, più del potere è fondamentale essere persone che sappiano stare alla pari con tutti, con il povero ignorante così come il potente e il colto, con il bifolco come con il ricco signore: ecco in questo si nota la vera elìtes, la superiorità dell’anima prima che biologica.
Per il resto, onore a tutte le forze di sicurezza, dove l’innegabile spirito di sacrificio sovrasta enormemente la banalità del tristo pensare.
Un saluto a tutti!
E.S.