Alcune brevi riflessioni, in ordine sparso, dopo aver letto il rapporto pubblicato all’interno dei Quaderni di Intelligence.
Innanzitutto una premessa: il documento offre molti spunti che meriterebbero di essere approfonditi, anche nell’ambito di un dibattito pubblico. Considero quindi positive le iniziative del DIS volte ad avviare tale dibattito e mi auguro che seminari come quelli svoltisi nel 2010 vengano ripetuti e diventino, in un certo senso, appuntamenti stabili e non episodici. La stessa idea di una collana di approfondimento che miri a fornire “spunti per la riflessione su dottrina e prassi della funzione informativa nel terzo millennio” non può che essere benvenuta.
In tal senso potrebbe essere una buona idea quella di creare (se già non esistente o in fase di organizzazione) all’interno del Dipartimento un vero e proprio “centro-studi”. Un ufficio altamente specializzato che, tra le altre cose, funga da perno per il c.d. “academic outreach” del Sistema di Informazione, curando i rapporti tra Intelligence italiana e mondo della ricerca anche ai fini della “promozione e [del]la diffusione della cultura della sicurezza“.
1. Verso una definizione di sicurezza nazionale.
Si legge nel documento (pagg.6-8):
In Italia esiste oggi un clima culturale certamente non favorevole al riconoscimento della funzione esercitata dagli apparati della sicurezza nazionale; in certi casi si incontrano persino delle incrostazioni di tipo linguistico, addirittura semantico, ed il risultato complessivo è l’insufficiente comprensione dell’apporto conoscitivo che i servizi di informazione per la sicurezza forniscono al funzionamento delle strutture dello Stato e anche, più in generale, della indispensabilità della risorsa informazione per il prosperare dell’economia nazionale. […]
Altrettanto necessaria è una chiarificazione concettuale che riduca l’eccessiva sovrapposizione tra la nozione di ordine e sicurezza pubblica e quella di sicurezza nazionale. Nozioni innegabilmente correlate eppure nettamente distinte, alle quali corrispondono due diverse “missioni” dell’amministrazione statale: la prima consiste nel garantire la pacifica convivenza dei cittadini e il loro diritto ad esseri “liberi dalla paura”. Tradizionalmente questo compito veniva assolto in via esclusiva dall’apparato statale, mediante le Forze di polizia e, nei casi di ricorso allo strumento del processo penale, la magistratura e gli uffici giudiziari. […] La seconda, ossia la tutela della sicurezza nazionale, persegue invece l’obiettivo primario, e perciò sovraordinato a quelli appena descritti, consistente nella sopravvivenza stessa della Repubblica e comprendente, quindi, la sua integrità territoriale, l’autonomia delle istituzioni democratiche sulle quali è fondata, la libertà di perseguire gli interessi fondamentali per la collettività nazionale. […] Un dibattito ampio su questi temi consentirebbe finalmente di sciogliere le ambiguità e le incertezze oggi presenti in larga parte della pubblicistica nazionale (…). Una più precisa distinzione concettuale consentirebbe non solamente di fare molti passi avanti sul piano dell’organizzazione del funzionamento degli apparati della sicurezza, ma anche di chiarire meglio al grande pubblico l’esatta distribuzione dei compiti tra Forze di polizia e servizi di informazione.
Sono totalmente d’accordo e lo sono riguardo all’importanza di definire con maggiore precisione il concetto di interesse nazionale.
In particolare, aggiungo, andrebbe approfondito e chiarito il rapporto esistente tra “interesse nazionale” e “sicurezza nazionale” perchè è proprio in tale ambito che si colloca istituzionalmente la mission di un apparato di intelligence.
Più volte, d’altronde, nel documento viene ribadito che le “attività svolte dalle Agenzie non sono finalizzate solamente alla difesa dello Stato nelle sue componenti fondamentali (popolo, territorio, sovranità) ma si estendono fino a coprire il complesso degli interessi della collettività nazionale o, come anche si dice, del sistema-Paese” e che la legge 124 ha esteso “le missioni delle due Agenzie ampliando considerevolmente il novero degli interessi che esse sono chiamate a difendere, individuandoli in quelli politici, militari, economici, scientifici industriali“.
Anche per questo motivo è oramai indispensabile che il nostro Paese elabori una vera e propria strategia (di sicurezza) nazionale seguendo le best practices internazionali in materia.
2. La formazione e le competenze degli analisi di intelligence.
Leggo nel paragrafo dedicato a “La formazione universitaria e la cultura della sicurezza”:
Di fronte a questi nuovi scenari, la formazione delle persone chiamate a lavorare negli apparati della sicurezza dello Stato e, in prospettiva, ad assumervi responsabilità di vertice, rende sempre più necessario un contatto, un’osmosi tra questo mondo e la società civile, con particolare riguardo al mondo accademico, perché appare ogni giorno più importante poter disporre di quel supplemento di conoscenze che può mettere in grado di leggere in profondità scenari complessi e cogliere, anche nel campo economico, le opportunità offerte da situazioni e fenomeni nuovi.
Un esempio ci viene dal mondo anglosassone, dove la intelligence community attinge assai spesso all’accademia, non solamente in termini di contributi alle attività di analisi, ma anche e soprattutto in termini di formazione e selezione del personale da assumere. […] Le brevi considerazioni appena esposte consentono di mettere a fuoco due esigenze fondamentali: la prima è quella di fare dell’intelligence un elemento della cultura generale, inserendola stabilmente nei programmi universitari. La seconda esigenza è relativa alla formazione specifica, necessaria per preparare i professionisti del settore, con particolare riferimento a quelli da impiegare nelle attività di analisi delle informazioni raccolte, attività che rivestono oggi una importanza crescente: ci muoviamo in un mondo in cui c’è abbondanza di informazione e ciò determina spesso un alto livello di saturazione delle capacità di ascolto e comprensione dei servizi di informazione, conferendo nel contempo un risalto sempre maggiore allo scrutinio di quelle che si definiscono fonti aperte.
Poiché ogni problema presenta varie sfaccettature, è necessario che gli analisti dei servizi di informazione siano in possesso di una formazione professionale particolare, che consenta loro di esaminare e valutare l’intero arco delle informazioni per ricavare quelle rilevanti ai fini della sicurezza dello Stato. […] In altri termini, occorre fare tutto ciò che è necessario per investire con decisione sul fattore umano, la cui prevalenza è stata chiaramente evidenziata dall’esperienza di questi ultimi anni. La disponibilità di risorse umane di elevata qualità è indispensabile per adeguare gli apparati della sicurezza nazionale italiana alle esigenze poste dai nuovi scenari e dalle nuove minacce.
Perfetto, oserei dire.
Come si diceva qualche giorno fa, è proprio questa la vera sfida strategica per le Intelligence del XXI secolo: accaparrarsi (perchè si tratta di una vera e propria gara, una competizione sul mercato) professionisti altamente specializzati, in grado di analizzare e capire realmente le dinamiche globali del potere.
3. Il Comitato Interministeriale per la Sicurezza della Repubblica.
Molto interessante la parte dedicata al ruolo ed al funzionamento del CISR ed ai rapporti tra questo, il Presidente del Consiglio ed il Governo. In particolare (pagg.27-28):
Significativo appare il ruolo del nuovo Comitato in relazione alla formulazione dei “fabbisogni informativi”. Mentre prima della riforma il Comitato Interministeriale si limitava, in realtà, a ratificare passivamente gli obiettivi di ricerca informativa proposti dagli stessi servizi di informazione e sicurezza, oggi la situazione è cambiata: la decisione del CISR rispecchia il risultato di una preliminare attività di confronto e di raccordo con i Ministeri in esso rappresentati, ciò che conferisce concretezza ed effettività alle priorità così indicate.
Secondo una valutazione largamente condivisa, questa nuova impostazione sarà sempre più efficace se si realizzeranno due sviluppi organizzativi: 1) la costituzione di uffici dedicati all’attività di definizione degli obiettivi della ricerca informativa per la sicurezza nazionale da parte dei Ministeri che ancora non ne sono dotati; 2) la creazione di un organismo tecnico di supporto del CISR, composto da alti funzionari delle Amministrazioni i cui vertici politici siedono nel Comitato. In questo modo, grazie al lavoro preparatorio di rappresentanti ministeriali qualificati al massimo livello e stabilmente raccordati con gli uffici ministeriali specificamente competenti, si potrà elaborare una “offerta” di informazioni per la sicurezza effettivamente rispondenti alla domanda e ai bisogni dei responsabili politici.
In pratica, il sistema britannico.
È stata da più parti sottolineata l’importanza di questo punto, perché è noto che se le attività dei servizi di informazione non sono impostate in relazione a precise esigenze dei responsabili politici dei diversi Ministeri, l’interesse di questi ultimi per le “risposte” diminuisce fortemente e i risultati delle attività stesse hanno un’elevata probabilità di non essere adeguatamente valutati e di rimanere inutilizzati. […] La definizione di obiettivi precisi e chiari rappresenta anche un presupposto indispensabile per l’efficace esercizio dell’attività di coordinamento, sempre difficile in sistemi amministrativi complessi e ancor di più in settori caratterizzati dalla presenza di organismi a forte riservatezza e spiccata autonomia operativa, come sono appunto quelli che raccolgono informazioni per la sicurezza della collettività nazionale.
4. Il rapporto tra Servizi di Intelligence e decisore politico.
Questo è l’unico punto del rapporto (pagg. 21-23) che considero carente e lo è, molto probabilmente, anche perchè rispecchia l’attenzione riservata a tale materia da parte del mondo della ricerca italiano: attenzione pressochè nulla, tranne rarissime eccezioni.
Sarebbe interessante se i “Quaderni di Intelligence” tornassero sull’argomento, approfondendolo. Argomento che, è bene ricordarlo, nel campo degli studi di intelligence è considerato internazionalmente tra i più rilevanti e pregiati.