Su “richiesta” di Barry, il documento recentemente diffuso dal Ministero della Difesa di Mosca: “Концептуальные взгляды на деятельность Вооруженных Сил Российской Федерации в информационном пространстве” ovvero “The conceptual views on the activities of the Armed Forces of the Russian Federation in the information space“.
Il documento è in lingua originale ma facilmente traducibile in inglese 😉
Privet Silendo!
ringrazio, sentitamente, spessatamente e quantunquemente….ora tocca solo iscriversi ad un corso intensivo di russo! 😛
il cirillico, nonché le indigene dei freddi luoghi ove si parla quell’idioma, mi hanno sempre affascinato! 😀
Non c’è bisogno, Barry. Usa il traduttore automatico dal russo all’inglese. Traduzione perfetta e semplice 😉
dopo aver letto il testo (tradotto!), tiro giù qualche rapida riflessione:
1. partendo dalla fine e cioè dall’analisi delle conclusioni del documento (“…the Russian Federation’s defense depends on the effectiveness of the Armed Forces of the information space and is largely determined by their capacity to deter, prevent and resolve conflicts that arise in cyberspace…“), rilevo immediatamente che, per il comparto difesa russo, il livello di guardia sulla minaccia cibernetica è molto elevato.
2. la Federazione Russa, sembrerebbe inglobare la minaccia cyber nel concetto più ampio di information warfare. Quindi approccio molto vicino alla dottrina USA sulle Information Operations (basti leggere le ultime pubblicazioni ufficiali sulle IO dello US Army e della US Air Force). Ecco un paio di definizioni, che ho trovato nel documento russo, interessanti in tal senso:
— “.. Information weapons – information technology, tools and methods used to conduct information warfare“;
— “... Information War – the confrontation between two or more States in the information space in order to damage information systems, processes and resources, and other critical structures that undermine the political, economic and social systems, a massive psychological treatment of the population to destabilize the state and society, as well as coercion State to take decisions in the interests of the opposing side…“.
3. A rafforzare l’impressione che si parli di qualcosa di più ampio rispetto al concetto di cyber security (così come inteso da USA, UK ed altri paesi UE) è il rinvio all’Information Security Doctrine of the Russian Federation, un documento in cui già nel 2000 si definiva una priorità per la sicurezza nazionale russa quella di “…improve techniques and methods of strategic and operational camouflage , reconnaissance and electronic warfare, methods and means of active counter information and propaganda and psychological operations…“.
4. le Forze Armate russe sono pronte ad investire (o a continuare ad investire) ingenti risorse (umane e strumentali) per potenziare le loro capacità di infowarfare; l’attenzione è orientata alla “…preparation and implementation of activities in the information space, the most advanced technologies, tools and techniques, as well as to bring to the challenges of a highly qualified information security personnel.…”.
5. la strategia russa nell’individuare la cornice giuridica entro la quale possono essere compiute le attività di infowarfare, richiama espressamente i principi giuridici internazionali universalmente riconosciuti:
— rispetto della sovranità statale;
— principio di non ingerenza negli affari interni di uno stato;
— il diritto alla self-defense (collettiva o indviduale);
— i principi fondamentali del diritto umanitario.
6. In estrema (molto estrema!) sintesi: la Federazione Russa, al pari degli altri attori globali, ha messo in priorità 1 il contrasto alla minaccia cyber (e più in generale il potenziamento delle information warfare capabilities) ed ha, conseguentemente, avviato specifici programmi di ricerca&sviluppo (soprattutto per la sperimentazione di nuovi “tools and techniques“) e lanciato campagne di reclutamento per la formazione di personale altamente specializzato da impiegare sui “nuovi” terreni di scontro.
Chiudo, ancora una volta, chiedendo(mi)vi: e l’Italia??? 😀
Complimenti caro Barry. Sintesi eccelsa.
Andrea
denghiu Andrea,
sempre che il traduttore automatico non abbia tirato qualche scherzetto! 😀
Buonasera Barry, lo sai cosa dicevamo giusto oggi pomeriggio? Che inizi a farci paura… 😉 😉 😉
Enrico
Vedrete, vedrete… ora che si sta convertendo al Culto dell’anti-cyber…
Vedrete! 😉
Grrrrrrrrrrrrr! 😀
Enrico buonasera a te!
L’importante è che nn mi vogliate “neutralizzare”!!
Ma ti pare possibile?!? 😉
Magari “incentivare” 😀
Enrico
Voto per l’incentivazione!
😉
Roberto
Gió, questo nn accadrà mai: la mia posizione sarà sempre in equilibrio tra the dark side* e the clear one!
* solo in un caso, etu sai anche quale, io non potrò resistere al dark side…of….. 😀
indigene dei freddi luoghi ove si parla quell’idioma, mi hanno sempre affascinato
Come mai?

A.
si accettano ipotesi… 😛
Ma davvero volete farmi credere che non conoscete nemmeno un po’ il russo?
Ma dai… 😛
io, Giò, per ora vanto solo una profonda conoscenza dei dialetti e degli slang dell’Italia meridionale! 😛
il che – beninteso – non è affatto poco 😉
U megghiu 😉
En
eh eh, io il russo lo parlo per davvero… non mi è mai servito a molto, perchè finisce sempre che
1. quasi tutti i tuoi colleghi non parlano russo
2. tutti i russi parlano inglese
3. si finisce per parlare inglese
tempo fa mi trovavo nella dell’ ITU a Ginevra e parlavo con un delegato russo.. stavamo negoziando, il tema erano le cognitive radio e il software defined radio… i russi avevano una linea molto chiara in merito…. americani, francesi e inglesi anche… persino i portoghesi… per l’Italia… c’era Telecom che aveva le idee chiare… ma lato istituzionale… lasciamo perdere…
domanda: volete sapere come sta messa l’Italia?
eccovi serviti:
quando si tiene una conferenza a Ginevra, all’ITU, per negoziare trattati su di tematiche oggetto di questo post (cioè atti finali treaty level)
1. l’Italia invia personale che non sa parlare inglese e quando apre bocca fa sghignazzare una plenaria e il chairman chiede di ripetere perchè non ha capito cosa si volesse dire con quell’inglese maccheronico
2. il suddetto personale non ha studiato le pratiche perchè “fra due anni vado in pensione”
3. se le avesse studiate non avrebbe fatto la differenza, perchè non ha la competenza tecnica per capire di che si tratta
4. ti arriva il ministeriale e ti chiede “ma come si chiama questo meeting?” e poi sparisce a fare shopping al negozio diplomatico
ah, la chicca è quella volta che la delegazione italiana, non capendo bene l’inglese, non ha colto che il chairman aveva deciso di trattare le tematiche Italy-related in una sottosessione a parte , ora X , sala Y
inizia il meeeting, ci sono i paesi confinanti e mancano gli Italiani… passano i minuti e niente, ma dove sono finiti gli Italiani… il chairman li va a cercare, e li becca…. al bar.. li cazzia e li porta al meeting, punti come scolaretti… (insulto finale: il chairman era francese e per tutto il corridoio ha ripetuto mais non mais no, on ne peut pas…)
😀
Caro Nemo profeta in patria,
i tuoi post (se corrispondenti al vero per davvero) mi hanno un po’depresso.
SIGH..SNIFF..SOB..
:-((
anche il precedente Anonimo, si sarà capito, era mio.
Purtroppo è tutto vero… non sto facendo disinformazione….
esercizio: meeting del working group 4A dell’ITU-R. Per intenderci li si negoziano i trattati internazionali che regolamentano satelliti (fissi, i mobili sono nel 4C) e orbite. Basta andare a vedere quali nazioni hanno presentato input paper (cioè stanno lavorando a qualcosa e stanno cercando mi modificare i trattati a loro favore) e quanti delegati hanno inviato (quanto stanno investendo nel settore).
Sempre presenti: USA, Russia, Cina, ESA, Francia, Germania, Emirati (Thuraya), UK (Inmarsat), Giappone e poi altri che vengono quando gli interessa (es. Nigeria-Niger-Sat)…
basterebbe guardare quante volte c’è un delegato italiano(quasi mai) e quante volte c’è un input paper lato nostro (mai).
Saluti
Nemo
addirittura certi “mestieri” si stanno estinguendo in Italia. Secondo voi quante persone in possesso della cittadinanza italiana, conoscono davvero le procedure internazionali per avere accesso a uno slot orbitale? si contano sulle dita di una mano, mentre i Francesi hanno un vivaio di giovani ingegneri, bravi e motivati (età media inferiore ai 30, regolarmente inviati a seguire tutti i meeting per farsi le ossa e i contatti giusti, ripartiti tra EADS, ANFR e CNES) gli italiani sono tutti sopra i 50, metà lavorano all’estero, e gli altri due o tre non hanno eredi, nel senso che non mi risulta che stiano allevando … ancora qualche anno e avremo perso un know-how che serve un decennio ad acquisire… a quel punto ciao ciao velleità nel settore spaziale… sarà molto semplice: compreremo dai francesi e basta… ma voi credete che fregi qualcosa a qualcuno? no… perchè? perchè chi deve decidere su queste questioni, non sa di che si sta parlando…
Salutoni
Nemo
Nemo, per capire perché mancano specifiche expertise nel settore (fondamentali per la tutela degli interessi nazionali) è sufficiente censire quante cattedre universitarie di Diritto Aerospaziale ci sono in Italia: le dita di una mano bastano e…avanzano! 😉
Diritto dechè???? :O

quello di luke skywalker!!
Sile, bisognerebbe brevettarti!!! 😉
En.
Puoi dirlo forte fratello.
A.
Sil, come sai, da poco siamo coperti anche sul fronte del deposito e della tutela dei marchi e dei brevetti!
Due anni fa sul sito della nostra intelligence era aperta la raccolta dei CV.
Mi ricordo che immediatamente mi è balzata all’occhio una concezione dei ruoli e delle attività che tradisce una mentalità vecchia…
mi spiego: la dicotomia era
1. analisti : laurea in materie economiche…
2. network specialist: laurea ing. info/ TLC e varie
il profilo network specialist era poi molto IP oriented (poca enfasi sulle grandi architetture, sui sistemi, zero sulla guerra elettronica, telerilevamento, infrastrutture…) e molto “operativo, mani sul server” (certificazioni CISCO ecc…)
quello che ho pensato
1. sbagliato il taglio dato alla figura degli analisti: l’analisi di intelligence è per definizione multidisciplinare, possibile che manchi solo gente esperta in economia? io avrei lasciato aperte più porte: nano-tecnologie, biochimica, fisica, psichiatria, matematica, e anche laureati in ingegneria TLC/Info: anche in questi casi si rende necessario analizzare scenari, per esempio capire come mai ci siamo persi per strada tutta la filiera TLC e come stanno facendo i cinesi a buttare fuori mercato quel poco che resta e se non si è del settore, se non si capisce la tecnologia , le analisi lasciano il tempo che trovano..
2. sbagliato il titolo di studio richiesto persino per gli analisti in ambito economico finanziario. Se voglio cercare gente che ne capisce di finanza e soprattutto è in grado di interpretare gli scenari e le manovre che avvengono nel mondo finanziario, l’unico punto chiave, il resto è fuffa, è DEVO PER FORZA prendere chi viene da JP Morgan, City, Lehman ecc… ed è passato dalla City o da Canary Wharf… ma il problema è il canale di reclutamento di queste banche per i propri esperti di finanza, privilegia laureati e meglio ancora PhD in materie tipo matematica e ingegneria (cercano una solida base quantitativa e una logica strutturata, come funzionano gli strumenti finanziari glielo insegnano loro abbastanza in fretta)… per cui se voglio un esperto di finanza internazionale, molto spesso lo troverò con all’orgine una laurea in ingegneria o matematica, anzichè in economia… e questo vale anche per ruoli “operativi” come la gestione delle asset classes e non solo per i profili da “quant”
se queste sono le premesse culturali sui cui è fondato il ricambio generazionale della nostra intelligence, dubito che avremo la capacità di affrontare problemi di strategici dovuti all’evoluzione tecnologica…
Saluti
Nemo P.
Caro Nemo, buongiorno
Ampliando il tuo ragionamento oserei dire (ma l’ho già detto tante volte da risultare, forse, noioso) che esiste un problema di classe dirigente italiana la quale è rimasta un bel po’ indietro, ancorata a schemi e “visioni” oramai sorpassati da decenni. Questo limite che tu evidenzi, probabilmente, ahimè, fa parte di ciò.
Caro Silendo
buon giorno anche a te!
Sono totalmente d’accordo. Sicuramente il caso specifico che ho esposto si inserisce nel quadro complessivo che hai indicato.
Ho avuto a che fare per anni con la classe dirigente italiana e di altri paesi (ora temo di farne parte) e ho sempre dovuto rimarcare che gli italiani hanno gente valida, mediamente più valida dei competitor stranieri, dai livelli bassi fino al livello di quadro, mentre dal livello di dirigente in su, ho sempre notato che i nostri erano molto più scarsi (sia in termini di bagaglio culturale, sia in termini di capacità decisione e visione di lungo periodo).
Per tornare al tema specifico di questo blog, che è l’intelligence, non conosco i nostri apparati (sono così segreti che si ha l’impressione che siano più che altro rintanati nel loro mondo, senza molte delle sinapsi col mondo esterno che sarebbero invece necessarie), ma da quello poco che leggo (il livello degli articoli sulla rivista Gnosis è molto basso, il tenore delle relazioni pubblicate è scolastico) non mi sembra che la capacità di analisi strategica sia molto evoluta.
Saluti
Nemo
Voglio proprio vedere se nelle altre agenzie di intelligence, anche le più blasonate al mondo, il Governo riesce a strappare tutti questi geni alle più prestigiose merchant bank!
Caro Linus tocchi un punto molto rilevante e critico per tutte le Intelligence internazionali: l’assunzione di personale d’eccellenza. In particolare per quelle competenze (ad esempio l’ambito economico/finanziario) che, nel privato, vengono retribuite a livelli elevatissimi e con prospettive di carriera nettamente superiori rispetto al pubblico, Servizi di Intelligence compresi. Detto in altri termini, non è facile che un brillante laureato a Princeton con MBA ad Harvard preferisca la CIA alla Goldman Sachs o che un ingegnere del MIT preferisca l’NSA all’IBM o che un bocconiano opti per l’AISE e non per Jp Morgan.
Ecco, questa è la vera sfida strategica dei Servizi del XXI secolo: la competizione per l’acquisizione delle competenze. Competenze che, per alcuni specifici settori (economia, finanza, affari internazionali e strategici, cybersecurity, ecc…), sono in buona parte civili e sono sul mercato ed è quindi sul mercato che i Servizi devono combattere per riuscire ad accaparrarsi il meglio e per tenerselo. Cosa non facile, neanche per gli anglosassoni.
Solo che gli anglosassoni questa battaglia comunque la combattono 😉
Grande!
V.
l’ENISA ha appena pubblicato un Report che prova a fotografare il panorama europeo con specifico riferimento all’adozione, da parte dei singoli Stati membri UE, di strategie di cyber security:
http://www.enisa.europa.eu/activities/Resilience-and-CIIP/national-cyber-security-strategies-ncsss/cyber-security-strategies-paper
provate ad indovinare tra gli Stati assenti (e cioè privo di una propria strategia) chi figura?
Tu ed il Capo avete una connessione neurale… siete coordinati in tempo reale… 😉

En.
😀
Enrico, tu sai bene quale sia l’origine di tale connessione neurale… 😀 😀 😀
Lo so bene sì… 😀 😀 😀
Niente volgarità per cortesia 😉 😉 😉 😉
A.
Ah ah ah

E.