Il solito Walt traccia la solita lucida e realistica analisi della situazione, evidenziando l'inadeguatezza della strategia statunitense. La qual cosa, direi, ha purtroppo risvolti negativi anche sui nostri interessi nazionali.
"1. The financial crisis has put the Eurozone under unprecedented stress, and the European Union's future looks increasingly bleak (…).
2. NATO looks more and more obsolescent. Its performance in Afghanistan has been disheartening and the recent war in Libya is a monument to NATO disharmony (because most NATO members aren't involved), as well as a revealing demonstration of just how weak the alliance is when it can't rely on the United States to do all the work (…)
3. The Arab world is in upheaval, and seems likely to remain unsettled for years. The United States has yet to formulate a clear policy towards this new situation, and contrary what the White House seems to think, having the President give another lofty speech is not a policy. Qaddafi's days may be numbered and the Assad regime in Syria looks like it's on borrowed time too, but what comes after either one is anyone's guess. Prospects for a smooth transition and economic turnaround in Egypt look equally dim. But the key point is that the outcomes of these processes won't be determined by us; the United States lacks the resources, respect, and moral authority to shape the political future in any of these countries (…).
4. In fact, the "Arab spring" has done nothing to improve the U.S. image in the region. Instead, it has sharpened the obvious contradictions between America's strategic interests (…) That would require a thorough rethinking of U.S. policy toward both the Gulf monarchies and Israel, but in case you hadn't noticed, the political will for a more realistic policy is obviously lacking.
5. There may be a mounting power struggle in Iran, but its slow march toward a latent nuclear capability continues. Sanctions won't stop them; military force will only make things worse, and our diplomatic efforts have been half-hearted, impatient (and to be fair, somewhat unlucky). Meanwhile, the Saudis are ticked off with us over Mubarak's ouster, we're getting out of Iraq and leaving god-knows-what behind, and we have no idea what to do about Yemen (…)
6. The Afghan War will end — but not soon — and we will leave behind a dysfunctional country, a nuclear-armed Pakistan (…). Getting out is still the right decision, but it's not like the area is going to be tranquil once we're gone.
7. Japan — which is still the world's third largest economy — has suffered nearly two decades of economic stagnation and a costly nuclear disaster. Its population is shrinking and aging, and its value as a counter-weight to a rising China is diminishing. Building a balancing coalition in Asia is still feasible, but overcoming the inevitable collective action problems will require lots of American attention and some adroit diplomatic and military hardball. Which in turn requires a major shift in foreign policy resources toward Asia, as well as a significant increase in the intellectual capital devoted to these issues. But instead we're still bogged down elsewhere.
8. China continues to rack up impressive rates of economic growth — despite some signs of strain — and it has avoided the foreign policy sinkholes that Washington has specialized in for the past two decades. That's how clever rising powers do it: they let stronger countries try to run the world, and bide their time until those states are suitably weakened by the effort (…).
9. As these various problems mount, America's political institutions seem increasingly paralyzed.
Put all this together, and I worry that we are on the cusp of genuine sea-change in world affairs. The landscape we have taken for granted for decades is now in flux, yet nobody is thinking about how the United States should prepare for a world whose central features are radically different than the one we have known (and not in a good way)"
Che impatto per noi, Sil?
A.
Te lo dico in maniera diplomatica?
L'impatto principale è dovuto al fatto che l'Italia non ha neanche un accenno di "pensiero" e di riflessione strategica. Siamo totalmente ripiegati su noi stessi. Non si va oltre le solite vuote e fumose dichiarazioni retoriche.
Se anche gli USA latitano in tal senso figurati in che condizioni ci troveremo noi da qui a non molto. Privi di una guida…
Mi son spiegato? 😉
…eccome se ti sei spiegato…benissimo…
Notte Silendo
Più che ripiegati su noi stessi, siamo al traino degli usa e senza un minimo di autonomia.
In genere, chi è al traino si trova in questa situazione, perchè trova molto più comodo starsene così.
Linus
La scelta politica di stare completamente al traino degli usa e di accettare acriticamente tutte le decisioni internazionali senza mai fare o dire qualcosa in autonomia è una costante dal secondo dopoguerra ad oggi che ha caratterizzato tutti i partiti politici e che non vedo mettere in dubbio da alcuno. Ovvio che l'Italia meriterebbe scelte più coraggiose, non ci meritiamo quasto ruolo da perenni gregari, ma ahimé è la politica che decide. Da ultimo è clamoroso quanto è successo con La Libia: pur di non discostarsi dalle decisioni dei Paesi "per bene", l'Italia ha accettato di intervenire andando addirittura contro i suoi interessi.
"In genere, chi è al traino si trova in questa situazione, perchè trova molto più comodo starsene così".
Sicuramente, Linus. Inoltre, una volta che questo diventa uno "status-quo" consolidato è ancora più difficile invertire la rotta.
Non è colpa del destino cinico e baro e nemmeno di una partita a dadi sfortunata.
La sicurezza e la difesa costano e per mezzo secolo lo Stato italiano si è occupato anche di panettoni e conserve di pomodoro…
Pensa Silendo, secondo gli scenari industriali del centro studi di confindustria, continuiamo a rimanere la seconda nazione industriale d'Europa dietro ovviamente gli inarrivabili tedeschi.
Si legge "Non pare esserci piena coscienza nel Paese del ruolo cruciale giocato dalle attività manifatturiere nel generare reddito e occupazione, nell’essere il principale motore della crescita dell’intera economia".
Nemmeno dove possiamo dire la nostra con dati alla mano, la classe politica è all'altezza dei meriti del nostro sistema imprenditoriale. E' d'una tristezza…
Linus
Che Confindustria – espressione del mondo imprenditoriale – esprima valutazioni di parte è nelle cose.
Altrettanto normale credo sia il fatto che le attività manufatturiere siano il principale motore della crescita dell'intera economia: anche se una economia avanzata vede prevalere il settore terziario più che quello della produzione industriale.
Motore della crescita , certo, ma è nel gioco delle parti chiedere poi robusti interventi da parte del settore pubblico. E questo accade in Italia come all'estero: bene ha fatto fin qui Marchionne a Detroit, ma senza quei miliardi di dollari prestati da Washington tutto sarebbe finito con il fallimento di una grane azienda.
E se poi lo Stato interviene direttamente nella produzione ( di panettoni, o altro) allora va bene o no? Da noi non esiste un collegamento diretto operato dalla PA tra ricerca e industria ( ARPA negli USA) , e la differenza si nota.
Ma allora cosa dovrebbe fare lo Stato? Ottima la risposta – a mio modestissimo parere – fornita da F Fukuyama in " State Buildind": scegliere tra forza delle istituzioni e scopo delle funzioni svolte. La PA americana interviene poco, ma quando lo fa accade con forza; altri ( noi inclusi) cerchiamo di coprire più tavoli, e su ciascuno di essi giochiamo " leggeri". Ma il punto chiave credo stia nella parola scegliere : e se non accade, se pensiamo di essere più furbi con i soliti bizantinismi,, allora – come diceva Silendo – rimaniamo privi di un guida a giocare con le dichiarazioni fumose.
Un paese membro dell'unione europea può adottare le ricette economiche del governo USA? E allora è inutile citare i salvataggi che fanno a washington, perche negl ultimi due anni talune operazioni hanno preso le sembianze di nazionalizzazioni di fatto.
Linus
Ragazzi preoccupiamoci per notizie come queste http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-06-28/sale-spread-btpbund-faro-063910.shtml?uuid=Aa6ieajD
Già…
Le " ricette perfette" non esistono evidentemente, altrimente la loro adozione sarebbe generalizata.
Generalizzata e' invece la richiesta di interventi pubblici da parte del settore privato quando le cose vanno male. La differenza tra Paesi si vede allora nelle diverse modalita' adottate ( chi si compera le fabbriche e tenta poi di gestirle, chi si limita a prestare dei soldi) e nella profondita' dell'intervento ( spiccioli o cifre che equivalgono alla finanziaria di un Paese UE).
Nazionalizzazioni di fatto: credo si possa parlare di nazionalizzazione quando capitale e gestione sono nella disponibiltia' della parte pubblica. Negli USA negli ultimi 2 anni non credo sia avvenuto, ma posso sbagliarmi. Mi pare invece che Washington abbia prestato dei soldi (a tassi neppure troppo favorevoli, se lo stesso SM e' arrivato a parlare di " tassi d-usura" prima di vedersi costretto a smentire se stesso) e che li abbia visti restituiti in meno di due anni: senza avere una presenza determinante nel CdA delle aziende interessate, senza la creazione di " soggetti" (qualcuno direbbe carrozzoni) tipo le famose " Partecipazioni Pubbliche" di un tempo.
Foreign Affairs di luglio-agosto 2011: Does Obama Have a Grand Strategy?
http://www.foreignaffairs.com/articles/67919/daniel-w-drezner/does-obama-have-a-grand-strategy
Summary:
In uncertain times, grand strategies are important because they help others interpret a country's behavior. Despite some missteps, the Obama administration has in fact developed such a strategy, and a good one. But it has done a terrible job explaining it, which defeats the whole purpose of the exercise.
DANIEL W. DREZNER is Professor of International Politics at the Fletcher School of Law and Diplomacy at Tufts University and the editor of Avoiding Trivia: The Role of Strategic Planning in American Foreign Policy
Proprio il saggio che sto leggendo adesso ;))
aggiornamento al commento "allegrobrigatista" n. 11:
Ritocca i massimi lo spread tra Btp e Bund decennali superando anche la soglia dei 230 punti a 231,4.
Il tasso di rendimento dei titoli di Stato a 10 anni dell'Italia è salito al 5,25%. E la corsa non si ferma. Questa mattina il differenziale di rendimento si è allargato di 7 punti base a 228 punti. Dalla nascita dell'eurozona era il massimo storico. Il differenziale di rendimento si era dopo poco riportato attorno ai 227,5 punti per poi crescere ancora." """"
(Fonte: Repubblica)
barry lyndon
Caro Barry stamattina volevo aggiornare la notizia ;))