Stralcio dell' articolo di Marta Dassù- La Stampa-
Da parte americana, quindi, la tolleranza sul Pakistan è finita. La collusione dei servizi segreti pachistani con i gruppi qaedisti era nota da anni: in un messaggio pubblicato da Wikileaks nel 2001, i diplomatici americani descrivevano l’Isi (l’agenzia di sicurezza pachistana) come un braccio del terrorismo. Ma Washington, che bombarda con i droni i santuari qaedisti nel Waziristan, non aveva mai avuto la forza di imporre un chiarimento. La domanda è se, dopo anni di politica fallimentare verso il Pakistan, e dopo montagne di aiuti sprecati, l’uccisione di Bin Laden renda possibile una svolta favorevole agli interessi occidentali.
Nel breve termine, una fase di tensione estrema con Islamabad è probabilmente inevitabile, tensione che la Cina sta già cercando di sfruttare a suo favore. Ma se Washington riuscirà a giocare bene le sue carte, facendo leva sull’attuale debolezza dell’esercito pachistano, i rapporti con Islamabad potranno fondarsi su basi più «sane»: il Pakistan non sarà mai un vero alleato strategico dell’Occidente, inutile illudersi; ma può e deve diventare un partner più affidabile.
Va tenuto conto che Islamabad vede nell’Afghanistan un terreno storico di scontro con l’India; l’appoggio ai taleban, e i santuari di Al Qaeda in Pakistan, sono strumento di questa competizione geopolitica. L’uccisione di Bin Laden potrà forse spingere parte dei taleban a valutare un accordo con il governo di Kabul, facilitando un’intesa con il Pakistan e un ritiro rapido dall’Afghanistan.
Si gioca qui, in ogni caso, una grande e delicata partita: il futuro del Pakistan, politicamente ed economicamente fragile, esposto al terrorismo, con 190 milioni di persone, con armi nucleari, è una variabile decisiva della sicurezza internazionale. Questa partita ha dei rischi per Barack Obama, è il test vero di una politica estera che ha appena colto un grande ma provvisorio successo. E ha dei rischi per noi europei. Se aiutare l’America significa in questo caso aiutare noi stessi, dovremmo ricordarci, mentre l’accogliamo a Roma per il gruppo di contatto sulla Libia, che Hillary Clinton era seduta con Barack Obama, il 2 maggio, nella «Situation room». Quando gli americani dicono che per loro la Libia è un interesse meno centrale (eppure l’America c’è) è forse bene capirli. E trarne le uniche conseguenze possibili: dobbiamo assumerci le nostre responsabilità lì dove è più evidente, nel nostro cortile di casa.
Stralcio dell' articolo di Marta Dassù- La Stampa-
Da parte americana, quindi, la tolleranza sul Pakistan è finita. La collusione dei servizi segreti pachistani con i gruppi qaedisti era nota da anni: in un messaggio pubblicato da Wikileaks nel 2001, i diplomatici americani descrivevano l’Isi (l’agenzia di sicurezza pachistana) come un braccio del terrorismo. Ma Washington, che bombarda con i droni i santuari qaedisti nel Waziristan, non aveva mai avuto la forza di imporre un chiarimento. La domanda è se, dopo anni di politica fallimentare verso il Pakistan, e dopo montagne di aiuti sprecati, l’uccisione di Bin Laden renda possibile una svolta favorevole agli interessi occidentali.
Nel breve termine, una fase di tensione estrema con Islamabad è probabilmente inevitabile, tensione che la Cina sta già cercando di sfruttare a suo favore. Ma se Washington riuscirà a giocare bene le sue carte, facendo leva sull’attuale debolezza dell’esercito pachistano, i rapporti con Islamabad potranno fondarsi su basi più «sane»: il Pakistan non sarà mai un vero alleato strategico dell’Occidente, inutile illudersi; ma può e deve diventare un partner più affidabile.
Va tenuto conto che Islamabad vede nell’Afghanistan un terreno storico di scontro con l’India; l’appoggio ai taleban, e i santuari di Al Qaeda in Pakistan, sono strumento di questa competizione geopolitica. L’uccisione di Bin Laden potrà forse spingere parte dei taleban a valutare un accordo con il governo di Kabul, facilitando un’intesa con il Pakistan e un ritiro rapido dall’Afghanistan.
Si gioca qui, in ogni caso, una grande e delicata partita: il futuro del Pakistan, politicamente ed economicamente fragile, esposto al terrorismo, con 190 milioni di persone, con armi nucleari, è una variabile decisiva della sicurezza internazionale. Questa partita ha dei rischi per Barack Obama, è il test vero di una politica estera che ha appena colto un grande ma provvisorio successo. E ha dei rischi per noi europei. Se aiutare l’America significa in questo caso aiutare noi stessi, dovremmo ricordarci, mentre l’accogliamo a Roma per il gruppo di contatto sulla Libia, che Hillary Clinton era seduta con Barack Obama, il 2 maggio, nella «Situation room». Quando gli americani dicono che per loro la Libia è un interesse meno centrale (eppure l’America c’è) è forse bene capirli. E trarne le uniche conseguenze possibili: dobbiamo assumerci le nostre responsabilità lì dove è più evidente, nel nostro cortile di casa.