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    Articolo ed analisi molto interessante, a firma di Giuliano Amato:

    http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2010-07-25/imprese-agenti-segr

    I libri di storia economica e di diritto dell'economia indicano una varietà di strumenti con i quali gli stati hanno protetto e proteggono le loro industrie contro la concorrenza straniera. Disponiamo di trattazioni approfondite delle tariffe, delle regole tecniche escludenti, degli aiuti finanziari, delle commesse pubbliche, ma assai raramente leggiamo qualcosa sulla protezione che più sta prendendo piede al nostro tempo, quella di mettere a disposizione delle imprese i servizi segreti, tanto in chiave difensiva, quanto a volte in chiave offensiva.
     
    Abituati come siamo ad accoppiare i servizi segreti alle istituzioni politiche e alla difesa militare, quella fra gli stessi servizi e le imprese ci appare un po' una strana coppia. Ma a pensarci bene ci si accorge presto che la coppia è assai meno strana di quanto non sembri. Nel mondo di oggi sarebbe certo esagerato dire che per dare forza a un paese il potenziale militare ha smesso di contare, ma certo accanto ad esso conta sempre di più l'economia e quindi la capacità delle imprese di ciascun paese di generare innovazione, di esportare, di produrre fuori dai propri confini, di far dipendere gli altri da sé, più di quanto in un mercato globale ciascuno dipenda sempre dagli altri. La globalizzazione non ha cancellato gli interessi nazionali, sarebbe davvero ingenuo pensarlo. Ne ha allargato la sfera ad ambiti diversi rispetto a quelli schiettamente statuali, e non è un caso che il passaggio dal G-8 al G-20 sia avvenuto in ragione della crescita economica di paesi che prima erano deboli perché deboli erano le loro economie.
     
    Né è un caso che l'ultima «Strategia per la sicurezza nazionale» pubblicata dalla Casa Bianca nel maggio scorso affidi in primo luogo alla forza economica degli Stati Uniti la prospettiva di una loro leadership nel mondo di domani. S e così è, attività che probabilmente ci sono state sempre, dallo spionaggio industriale alla disinformazione a danno dei concorrenti, hanno acquistato un rilievo e una dimensione crescenti, uscendo dal loro alveo tradizionale – quello tutto privato della concorrenza sleale – per investire interessi nazionali e attrarre l'attenzione degli apparati pubblici che, ad altri fini, di spionaggio e disinformazione si sono sempre occupati, i servizi di informazione statali.
     
    È stato proprio Il Sole 24 Ore a raccontarci il 23 giugno scorso che nel suo più recente rapporto l'intelligence tedesca collocava al centro dell'attenzione la difesa del sistema industriale da attacchi spionistici esterni.Né si tratta, necessariamente, di difesa pubblica da attacchi privati. Al contrario, se qualcosa abbiamo capito della vicenda delle spie russe prima arrestate negli Stati Uniti e poi rilasciate a Vienna in puro stile Terzo uomo, si trattava di agenti pubblici che cercavano di acquisire segreti tecnologici privati. Quindi può ben accadere che siano gli stati stessi a impegnare le loro risorse per attaccare imprese private di altri paesi. I danni di attacchi del genere sono almeno di due tipi.
     
    Ci può essere il furto di know how, che azzera il possibile rendimento di investimenti coltivati per anni, e ci può essere il furto di reputazione, che, via disinformazione, può produrre danni anche peggiori.
     
    Secondo la sua dirigenza interna, la nostra Finmeccanica sarebbe oggi vittima di un caso del genere e questo ci aiuta a capire la difficoltà dei frangenti in cui ci si può trovare. Si aggiunga una terza situazione, quella frequentissima delle imprese che si vanno a insediare in paesi terzi che conoscono poco e nei quali hanno bisogno di partner, produttivi o finanziari.
     
    Come capire con chi si ha a che fare?
    Come avere la ragionevole certezza di non cadere in qualche guaio o in qualche trappola?
    Ecco materializzarsi così le ragioni della strana coppia, impresa e servizi.
     
    Non tutti i paesi la consentono. In Francia, ad esempio, lo stato ha mantenuto l'esclusiva sulle informazioni della propria intelligence e le imprese devono organizzare da sole i loro servizi di sicurezza.
     
    In Italia, dove i servizi fai da te non hanno dato una prova eccellente, una delle buone riforme che si è riusciti a fare durante il breve governo Prodi del 2006, è stata per l'appunto quella dei servizi.
     
    E la legge 124 del 2007 ha allargato la missione degli stessi servizi al di là della tutela dell'integrità e della sicurezza dello stato, includendovi la protezione degli interessi «economici, scientifici e industriali dell'Italia».
     
    Ciò significa – sia chiaro – che la nostra intelligence è abilitata non a fare …

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    L'acquisizione di aziende fuori dai confini nazionali comporta inevitabilmente la tipologia di problematica cui si riferisce il rapporto oggetto di quell'articolo.
    E' pure vero che l'Italia si spinge talvolta sul percorso inverso: ricordo a solo titolo di esempio l'acquisizione di DRS da parte di Finmeccanica, operazione attraverso la quale l'Italia è entrata da protagonista nel mercato della difesa USA. In quella occasione gli amici americani hanno adottato una struttura fortemente compartimentata per meglio tutelare determinate tecnologia: ricordo un interessante approfondimento su RID-Rivista Italiana Difesa.
    In campo civile, e proprio sullo stesso mercato, un caso interessante credo sia quello di FIAT, che è arrivata al 30% del capitale Chrysler quaisi solamente grazie all'apporto tecnologico: e prorio nel settore civile automobilistico è ben nota la vicenda Renault.
    Insomma: rischio per l'Italia sì, ma è anche vero che non siamo rimasti immobili a farci depredare.
    CaioDecimo

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    Articolo ( di poco) il mio post precedente.
    Il dibattito sulla necessità di preservare la titolarità "nazionale"delle aziende strategiche si è riacceso in Italia da qualche settimana: dibattito sulle modalità operative di apllicazione del principio, mentre mi pare vi sia una ampia condivisione di fondo sui principi alla base del ragionamento.
    Diverso è invece quando le aziende che operano in quei settori si muovono fuori dai confini nazionali.
    In quel caso ci sarà sia chi decrive l'operazione di acquisizione all'estero come espansione, sia chi la vedrà come allontanamento delle operazioni a più elevato valore aggiunto ( R&D) dal Patrio suolo. Entrambi hanno ragione, e la differenza in quel caso la stabiliscono le scelte di politica economica ( se c'è). Quando invece un effettivo coordinamento non esiste, ognuno si muove in  piena libertà. Giusto, giustissimo in un sistema di libero mercato. Altrettanto giusto allora che qualcuno poi dica che le risorse nazionali se ne vanno all'estero.
    All'estero ovviamente determinate tecnologie sono maggiormente esposte al rischio di "suzione" da parte dei vari apparati locali: perchè se ci preoccupiamo che qualcuno venga in casa nostra a " rubarci i segreti", all'estero l'operazione è certamente più facile.
    Che fare? credo che la risposta dovrebbe venire in primo luogo da scelte chiare della politica, da parte di chi traccia il solco. Abbiamo fatto queste scelte? La risposta se la potrà dare ognuno di noi, io spero di avere contribuito al dibattito.
    CaioDecimo

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    Lascerei perdere la prosopopea e analizzerei i semplici fatti: chi sono le nazioni che ci spiano?

    Gli inglesi? I francesi? Gli americani? I russi?

    I cinesi …  che saranno pure numerosi ma che in termini di tecnologia sono indietro rispetto ai primi della classe.

    Non siamo più da Champion ma una squadra da metà classifica che -se sarà fortunata- entrerà in UEFA…

    Forse a voi può andar bene così ma se continuiamo a pensare SOLO a tenerci stretto quello che finora abbiamo capitalizzato non andiamo molto lontano nel medio lungo termine.

    Allora diamoci una svegliata generale e iniziamo a rifare una ricerca militare (andate a vedere i PNMR…) serrata, continua e mirata.

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    Silendo at |

    Anonimo, buonasera :)
    Solo per capire meglio il tuo pensiero:

    "Forse a voi può andar bene così ma se continuiamo a pensare SOLO a tenerci stretto quello che finora abbiamo capitalizzato non andiamo molto lontano nel medio lungo termine"

    Sbaglio o intendi dire "svegliamoci e diventiamo offensivi"?

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    Forse non ho letto attentamente, ma rispetto a quanto affermato al post #5 non ho notato " prosopopea", magari mi sbaglio.
    Rispetto a quello stesso intervento: certo l'Italia ha sempre avuto problemi – che hanno radici nelle motivazioni note a tutti noi – nell'industrializzare i risultati della ricerca.
    E' vero pero' che nel settore della ricerca strategica proprio tanto messi male non siamo. L'acquisizione di DRS cui facevo riferimento e' un'operazione che vale miliardi di dollari e che ci pone in posizione di tutto rilievo nel settore delle forniture per US ARMY e non solo. La recente commessa di Fincantieri per 10 unita' di US NAVY credo sia un segnale di forza piuttosto che di debolezza.
    Credo pure che i settore segnalati nel noto rapporto non siano sostenibili con la sola ricerca militare: il settore bancario ad esempio, ma anche altri.
    In realta' le nostre aziende sono ben coscienti della necessita' di comportarsi in maniera proattiva, e credo sia proprio quello che sta accadendo.
    CaioDecimo

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    Jackallo at |

    Se interessa, sullo spionaggio elettronico cinese e americano:
    http://www.stefanomele.it/news/dettaglio.asp?id=209

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    Silendo at |

    Certo che interessa… :)

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    Silendo,
    si hai capito bene: svegliamoci! La DRS è un acquisizione strategica dal punto di vista commerciale sopratutto all'estero dove la DRS in precedenza era ben piazzata. Questo significa che grazie a DRS le nostre industrie di Finmeccanica possono arrivare facilmente ai tavoli importanti delle nazioni dove DRS storicamente è stata sempre presente (diciamo i paesi della penisola arabica per esempio)
    Ma -CaioDecimo- l'acquisizione perde grande valore se vista dal punto di vista dei prodotti: DRS fa cose (magari bene) che Finmeccanica fa gia. Insomma ora abbiamo 2 punti che fanno gli stessi prodotti.
    I termini dell'accordo sono tali che DRS mantiene il suo mercato di riferimento (e al sua tecnologia) che offre solo ai governi che ottengono il placet del DoD.
    Che facciamo … compriamo i prodotti made USA  e lasciamo languire/morire le industrie italiane? 

    I PNRM servono poichè le piccole e medie industrie non hanno il capitale si rischio per fare sperimentazione di nuove tecnologie. Ora è anche necesario che le industrie capiscano che quei soldi ricevuti NON sono la paghetta annuale del papà al figliolo discolo bensì un investimento di 60 milioni di italiani che si apsettano un ritorno in termini di innovazione, prodotti e dunque anche occupazione.

    Diciamo che alcune industrie pensano ancora alla paghetta … e così non si va lontano (tutti e 60 milioni!)

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    Ovviamente l'allarme si riferisce alla Cina.

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    Credo che l'acquisizione di DRS da parte di Finmeccanica non rappresenti una semplice duplicazione di capacità industriali.
    DRS è molto forte soprattutto nel materiale per l'esercito, pur avendo capacità anche per Navy e AirForce.
    Le capacità tecnologiche italiane di livello mondiale e riconosciute anche nel campo delle forniture "esercito",  troveranno applicazione negli USA (e quindi nei mercati export) offrendo opportunità di mercato ben più ampie di quelle ristretta dai confini nazionali.
    E voglio fare qualche esempio. L'ersercito USA sta esplorando ora la possibilità di utilizzare un carburante unico per i propri veicoli;  il carburante prescelto dovrebbe essere il gasolio (motori diesel). Modelli delle autovetture con tale motorizzazione compaiono regolarmente ai vari saloni nello stand dell'Army ( vedasi SAE Detroit 2010). Proprio nel settore diesel l'Italia vanta capacità di primo piano; proprio a Detroit hanno sedeTACOM e TARDEC, che si occupano di acquisizione tecnologie innovative. Con l'acquisizione di DRS da parte di Finmeccanica si aprono prospettive inimmaginabili per i nostri prodotti nel settore diesel. Ricordo che la nuova Grand Cherokee ( prodotta nello stabilimento di Jefferson North a Detroit) vengono installate le motorizzazioni diesel di VM.
    Quindi? Quindi le aziende italiane trovano ( e troveranno sempre più) uno sbocco per i propri prodotti ( che utilizzano tecnologia non disponibile negli USA) sul mercato americano e successivamente in quello export.
    Un solo esempio quello del diesel, ma potrei annoiarvi per un po' con l'aerospaziale ( BAE che acquisisce capacità a Sterling Heights- Michigan), navale ( il già ricordato contratto siglato con Marinette)…
    CaioDecimo

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    …  e infatti a proposito di propulsione diesel guarda caso cos'hanno pubblicato proprio mezz'ora fa su questo sito

    http://www.autonews.com/apps/pbcs.dll/article?AID=/20110418/OEM02/304189967/1193 

    Seeking diesel engineers

     

    One big opportunity is diesel engines, and Chrysler is advertising for diesel engineers.

    "We have a great opportunity to leverage the competence Fiat has on the diesel side," Ferrero said in an interview at the Society of Automotive Engineers convention in Detroit last week. "We are studying this and looking for U.S. opportunities."

    Ferrero declined to discuss vehicle programs. But Jeep CEO Mike Manley told reporters April 7 that Jeep could offer diesel engines on some models within three years.

    Ferrero said Chrysler needs diesel expertise in Auburn Hills as it brings more diesel offerings to diesel-dominated Europe. The automaker also needs to be ready if North America becomes more diesel-friendly.

    That could happen in 2014, when the next phase of emissions rules in Europe, Euro 6, move closer to U.S. standards. With essentially one standard, autos could be developed for larger volumes, cutting costs.

    Chrysler is also studying other options, including wider applications of Fiat's MultiAir system, which increases fuel economy by regulating intake valves for each cylinder.

    "We are studying gasoline direct injection, MultiAir, turbocharging. We will decide which is the best combination to use for the future," said Ferrero.

    Read more: http://www.autonews.com/apps/pbcs.dll/article?AID=/20110418/OEM02/304189967/1193#ixzz1Js1kYWil 

    CaioDecimo

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    … e lo shopping quotidiano continua.

    1) COLUMBUS, Ohio – (April 18, 2011) – Momentive Specialty Chemicals Inc., and PCCR USA, Inc, announce today that the companies have signed a definitive agreement for Momentive to sell its North American composites and coating resins business to PCCR USA, a subsidiary of Investindustrial, a European investment group with operations in specialty chemicals , resins and intermediates.
    (Investindustrial e' un gruppo italiano)

    2) Shopping a stelle e strisce per Interpump Group, società italiana quotata in Borsa a Piazza Affari e leader nel comparto delle pompe ad alta e ad altissima pressione. Il Gruppo italiano ha infatti reso noto d’aver acquisito la “AMP”, American Mobile Power, società americana con il quartier generale a Fairmount, nell’Indiana, e leader nella vendita, per il mercato dei veicoli industriali, di serbatoi per gli impianti oleodinamici 

    CaioDecimo

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    CaioDecimo,
    dubito proprio che il DoD o US Army permetta di mettere una qualsiasi tecnologia "estera" nei sistemi USA. 
    Può accadere il contrario.

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    Esiste una casistica sterminata di applicazioni tecnologiche estere utilizzate nei sistemi d'arma in dotazione alle forze armate americane.
    A partire dalle tecnologie relativamente più semplici ( Beretta) a quelle estremamente sofisticate (aerospaziale, dove i componenti italiani sono percentualmente rilevanti in numerose applicazioni, e anche qui gli esempi abbondano).
    Anche nel tempo: a partire da tecnologie avanzate come l'arma nucleare ( Fermi) fino al lancio dell'ultimo Space Shuttle su cui viaggerà un italiano ( e infatti il Ministro  era negli USA proprio un questi giorni).
    Certo la questione è sempre quella di come "appiccicare" un passaporto ad un'azienda: in base alla sede legale? ( e allora certo, è necessaria una sede legale anche negli USA) al passaporto del management (e allora certo, anche Marchionne ha un passaporto canadese e residenza in Svizzera), al passaporto della maggioranza degli azionisti ( allora davvero entriamo in un ginepraio senza uscita).
    Uno dei punti di forza dell'industria americana nel settore difesa ( e non solo) è proprio quello di riuscire ad acquisire tecnologie avanzate che vengono utilizzate sui prodotti realizzati; specularmente sono proprio gli USA a cercare di limitare l'accesso alle stesse tecnologie da parte dei " concorrenti" ( provate ad esportare in Russia o Cina le stesse tecnologie di cui sopra).
    CaioDecimo

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    CaioDecimo,
    non dubito che gli USA comprino anche qualche componente italiano ma — in questo caso- dovremmo accertarci se per caso l'utilizzo non sia vincolato alla conoscenza progettuale del componente che si usa: in questo caso sembra più una raffinata subfornitura che una fornitura vera e propria.
    La componentistica hardware ad alta tecnologia è made in USA: se lo zio Sam chiude i rifornimenti son dolori per noi.
    Prova ad esportare un sistema in un paese sotto embargo USA: mi dicono che pure le cpu dei semplici computer (che si comprano dappertutto) bloccano la consegna.

    Mi sembra che il destino dell'Italia sia quello di essere un buon integratore di sistemi fatti con componentistica altrui.

    STM (componentistica high tech) era di Finmeccanica ma è stata venduta per acquisire DRS!

    Insomma negli anni 70 eravamo in Champion ora stiamo languendo in UEFA (se va bene)

    La mia convinzione è che se continuiamo a giocare SOLO in difesa (catenaccio) non andiamo da nessuna parte: occorre anche giocare d'attacco per fare goal.

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    La logica dell'esportazione di semplici prodotti e' finita da un po'. Le aziende si sono rese conto che per capire un mercato e poterci prosperare e' necessario vivere in quello specifico Paese.
    Per questo motivo sono sempre di piu' le aziende italiane che si stabiliscono direttamente in altri Paesi, e nel caso specifico negli USA.
    L azienda italiana interessata ad operare sul mercato USA costituira allora una propria presenza ( tramite acquisizione/ joint venture/nuovo soggetto) sul mercato americano, e si comportera di conseguenza.
    Il risultato e quello di avere sempre piu aziende italiane con una presenza all estero, ed i fatti lo dimostrano con esempi noti e meno noti.
    Altrettanto un fatto e che non esistano soluzioni alternative o migliori: e evidente che se si chiude il mercato USA scompare la stragrande maggioranza del mercato delle forniture militari ( il bilancio russo e circa il 5% di quello americano, tanto per fare un esempio), e quindi non esistono alternative alla presenza diretta sul mercato USA.
    La conoscenza del progetto cui fa riferimento l amico del post n. 17 e' in realta uno dei requisiti perche la proposta venga accettata: quando parte un progetto e prassi che esista un capitolato, che stabilisce nel dettaglio come debba funzionare ( semplifico naturalmente) un determinato prodotto.
    CaioDecimo

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    CaioDecimo,
    voglio continuare -sine ira et studio- la discussione sui temi dei post precedenti.
    La materia del contendere è la fuga di tecnologia know-how verso paesi stranieri (Cina in primis ma non trascurerei i paesi slavi a noi vicini aiutati da una grande potenza economica dell'Europa centrale)

    Andare a produrre i nostri prodotti in una nazione straniera significa sic et simpliciter trasferire de facto know how in cambio del profitto.
    Se il know how è strategico è un errore andare ad investire in un paese straniero.
    Tu sottolinei che le nostre industrie hanno delocalizzato la produzione di beni tecnologici per conquistare i mercati di quei paesi: occorre poi convincere la forza lavoro italiana che perde il posto del lavoro che quella strategia è vincente in una dimensione sistema-nazione. Io non ho argomenti validi per convincere quei lavoratori disoccupati.

    Faccio notare che gli USA (giustamente) condividono con noi <<alleati>> le tecnologie che hanno già raggiunto la maturità (e dunque sono in declino) mentre se ne guardano bene (giustamente) di condividere quelle emergenti che offrono un reale vantaggio competitivo.

    Le recenti pandemie non indicano forse quale strategie tecnologiche dobbiamo sviluppare noi italiani per rimanere al passo con i "grandi"…

      

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    Amico, se la materia del contendere ( e ti cito) e' la fuga di tecnologia, allora il problema della piena occupazione e' altra cosa, certo non di importanza secondaria ma di altro argomento si tratta.
    Esempi di produzioni ad altissimo valorre tecnologico e che vengono realizzate in paesi diversi da quello che possiede la tecnologia sono numerosi: pensiamo alle produzioni di Aple  (iPhine/iPad che hanno rivoluzionato interi mercati come quello della musica ed ora quello dell intrattenimento e dell informazioni), che non viene realizzato negli USA. Il punto e' che Apple ha la capacita' di reinventarsi di continuo.
    Se vogliamo allargare il discorso al problema dell'occupazione: allora l'alternativa qual'e', vogliamo produrre in Cina solo magliette e calzini in Romania e tenerci il resto in Italia? Pensi sia davvero possibile?
    Certo che quando un azienda si muoveci sono timori da parte dei lavoratori,dei fornitori e di tutti gli attori interessati. Ma e' possiblie fermare questo spostamento? Come ? Allora tutto lo sviluppo delle nostre aziende dovrebbe avvenire in casa?
    E' vero invece che la conquista di nuovi mercati comporta allargamento delle produzioni domestiche, se queste hanno un valore reale. In un post precedente portavo l esempio di VM Motori, che invia prodotti negli USA per realizzare automobili: e' quello un mercato strappato ad un produttore europeo ( Magna, in Austria).
    I fatti ci dicono che dove esistono capacita' tecniche elevate si attiva un circuito virtuoso che alimenta ulteriormente le capacita' di fare mercato.
    Infine, riguardo alla condivisione di tecnologie con gli USA: la discriminante credo sia sempre la disponiblita' di budget. Un esempio: la linea F22 e' stata chiusa ( e gia' con il teatro libico aperto se ne e' riparlato in questi giorni) proprio per le note limitazioni al bilancio USA, ma credi davvero che se un alleato " utile e fidato" si presentasse con i soldi in mano gli amici americani faticherebbero a fornire qualche F22?
    CaioDecimo

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    CaioDecimo,

    il mio approccio è che c'è un tutto sistemico (Italia-Nazione) di cui la tecnologia (ovvero la fuga tecnologica all'estero) è una parte.
    Gli altri ci spiano perchè è più comodo importare (gratis) la tecnologia che crearla in casa.

    Ora immagina di avere un cruscotto ideale nel quale siano riportati -in modo sintetico- tutti i fattori o le variabili strategiche del sistema Italia.
    Puoi accettare di far "uscire" un pò di tecnologia a patto che gli altri indicatori non ne risentano; in caso contrario occorre da subito mettere rimedio.

    Voglio inquadrare la fuga del know how italiano nell'ambito sintetico del cruscotto Italia. In tale ottica la stabilità e la coesione sociale sono parametri importanti.

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    Caro amico, a mio modestissimo parere parlare di "fuga" implica una valutazione che connota negativamente un fenomeno.
    Allo stesso modo e specularmente i destinatari dei nostri investimenti fuori dai confini nazionali potrebbero descrive tali nostre operazioni come " spionaggio".
    Per la fornitura di materilali d'armamento viene normalmente richiesta la pratica degli offset, con percentuali che superano normalmente il 100%: cioe' mi dai determinati materiali ma li produci a casa mia, oppure vengo io da te a darti qualcosa di egual valore, o qualcosa che assomiglia ( sto semplificando) al sistema appena descritto. Se per poter vendere materiale in altri paesi le condizioni sono queste ( e sono queste) o si accettta il gioco o si rimane fuori, e anche la tecnologia piu avanzata diviene obsoleta in pochissimo tempo.
    Il mercato domestico ha le limitate capacita di assorbire prodotti, e questo vale per qualsiasi prodotto, sia esso di armamento o meno. La scelta di vendere ( e produrre) all estero e inevitabile, e infatti la crescita delle maggiori aziende avviene per lo sviluppo di nuovi mercati.
    La coesione sociale e senz altro un importante fattore di cui tenere conto. Ma spesso la scelta dicotomica tra stabilita e sviluppo ha privilegiato il consenso: i risultati sono quelli che conosciamo.
    E se anche si decidesse di non far uscire determinate tecnologia, le aziende che tale tecnologia posseggono si fermerebbero o se ne andrebbero comunque? Pensi davvero, caro amico, che quelle aziende rinuncerebbero alle opportunita offerte da nuovi mercati? Io credo invece che i soggetti interessati allo shopping troverebbero altrove – prima o poi – quello di cui hanno bisogno. Mi pare che esempi anche qui non manchino ( e penso allo sviluppo delle tecnologie nucleari in alcuni paesi).
    Il sistema del cruscotto funziona certamente: credo pero che – per rimanere nel settore del materiale di armamento – al " sistema Italia" convenga rimanere vicini a chi/dove sviluppa tecnologia con aziende-centri di ricerca – opportunita di mettere sul mercato nuovi prodotti. Tra le quantita misurate dal cruscotti questi elementi vanno certamente inseriti.
    Altrimenti chiudiamo senza problemi le frontiere e vediamo se la tecnologia ( e le aziende che la possiedono) si fermano davanti ad un semaforo rosso.
    CaioDecimo

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  23. avatar
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    Caro Silendo, oltre ad augurare a te ed ai gentili ospiti una buona Pasqua anche se in ritardo, ho letto con ritardo questo post…. Sono rimasto particolarmente sorpreso da quanto riportato nel secondo articolo in relazione alle capacita’ professionali degli appartenenti ai servizi…. Fermo restando che non ho il piacere di conoscerne personalmente nessuno, conosco pero’ ovviamente molti appartenenti alle FF.AA e FF.PP. e posso garantire che moltissimi di questi ultimi sanno perfettamente fare il loro lavoro anche quando transitano nel mondo privato della sicurezza… Anche in posizioni molto elevate…. Forse l’articolista non era molto ben addentrato in certe dinamiche professionali…. Ma generalmente lo Stato spende molto bene i soldi nella formazione….

    Armigero

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    Silendo at |

    Armigero carissimo, ricambio di cuore gli auguri :)
    Ti riferisci a questo articolo?

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    utente anonimo at |

    si mi riferivo al post n.2.. certe frasi mi hanno mandaro di traverso la Pasquetta 😉

    Armigero

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