da Avvenire di oggi.
"Suez: test della potenza regionale americana
L’esercito, in Egitto, può essere un elemento di stabilità nel breve, ma non nel lungo periodo». Arduino Paniccia, docente di Studi strategici all’Università di Trieste, commenta a caldo le dimissioni di Mubarak, l’uomo che per 30 anni ha fatto da garante degli assetti geopolitici sulla sponda Nord del Mediterraneo.
Professor Paniccia, il 'nuovo inizio' delle relazioni con il Medio Oriente degli Usa non è stato il discorso di Obama al Cairo nel 2009 ma il crollo dell'alleato storico a cui ogni anno gli Usa versavano 1,3 miliardi di dollari. A che fine?
Il più ingente finanziamento americano dopo quello di Israele. Gli Usa hanno fornito armamenti e soprattutto addestrato i servizi di informazione e i reparti speciali.
Per quale contropartita?
Gli americani avevano due posizioni nella sponda nordafricana per sicurezza e antiterrorismo: l’Egitto e il Marocco, per ora saldo. La presenza in Egitto serviva anche al controllo del canale di Suez. Non a caso l’Iran ha subito denunciato un possibile intervento americano nel canale. Una prospettiva non realistica anche se gli americani hanno nell’area sei navi, alcuni sommergibili, e almeno 5mila truppe anfibie. Canale di Suez e Mar Rosso sono quindi già presidiati.
Intanto cosa avviene nell'intera regione?
Si sta spostando la frontiera avanzata americana: dalla lotta al terrorismo fino ai confini con Pakistan e India, da Iraq, Afghanistan, dai confini con Federazione russa e Cina, le forze Usa si stanno dispiegando in posizioni più arretrate. Sarà decisivo capire se gli americani decideranno di difendere il passaggio del canale di Suez assieme ai militari egiziani oppure se, impegnati sul altri fronti, pian piano abbandoneranno la storica presenza per una posizione più atlantica, puntando tutto sul Marocco. Con Israele che ora potrebbe trovarsi gli americani in «retrovia».
Intanto all'interno dell'Egitto cosa potrebbe arrivare?
Conteranno molto le pressioni dei colonnelli, che sono i comandanti delle truppe sul campo, sulla triade Suleiman-Tantawi-Anan (vicepresidente, ministro della Difesa e capo di stato maggiore). L’accordo potrebbe prevedere che l’esercito mantenga ordine pubblico e i rapporti con la popolazione fino alle elezioni prima dell’estate. Una supplenza più lunga, invece, spaccherebbe definitivamente le forze armate. Uno scenario molto rischioso.
Intanto anche dall'Arabia Saudita vengono segnali di difficoltà: un altro asse della politica americana che sembra incrinarsi.
Sicuramente. Dieci anni dopo l’attacco all’Iraq restano grandi dubbi sulla presenza Usa. Sembra che la superpotenza o venga colta di sorpresa o abbia un agire non così professionale come ci si aspetterebbe: una politica che sembra dettata più dagli Stati maggiori che da una vera «dottrina Obama».
Con lo spettro di un Nord Africa destabilizzato quali le priorità per la sicurezza di Europa e Italia?
Seria cooperazione economica anche in un momento di depressione, attivare un processo di sicurezza in cui la nostra Marina ha già un ruolo determinante. E soprattutto garantire che rimanga aperto il canale di Suez. Altrimenti, dieci anni dopo aver voluto esportare la globalizzazione, l’area del Sud Europa rischia, per un effetto boomerang, di esserne tagliata fuori del tutto."
Statement of the Supreme Council of the Armed Forces (3)
Statement of the Supreme Council of the Armed Forces (4)
Lo scenario da "1492" disegnato dal Prof. Paniccia: "L'Egitto può cancellare l'Europa".
"La sensazione, piuttosto avvilente, è che in Italia ed in Occidente si stia guardando senza la necessaria apprensione agli accadimenti egiziani, non capendo cosa stia succedendo e soprattutto senza che si prefigurino i futuri assetti di quella importantissima regione. Ancora una volta Usa, Ue, Nato e perfino l’Onu non sembrano avere una strategia, un piano diplomatico e non solo che ci preparino a trattare col futuro governo egiziano, secondo un infausto modello di “inadeguatezza strategica” che già ci ha colto impreparati al collasso di un altro regime, quello di Saddam.
(…)non esiste un “piano B”, un disegno politico che ci prepari a seguire in maniera adeguata il collasso delle istituzioni ed il vuoto di potere egiziano. Per il momento l’attenzione dell’Italia è comprensibilmente focalizzata sull’urgente contenimento del flusso migratorio tunisino, nel timore fondato che a questo possa seguire l’ondata egiziana. Ma le implicazioni legate al collasso dei governi del Maghreb vanno bel aldilà di un problema per le questure italiane: oggi in Egitto vi sono tutti gli ingredienti necessari alla detonazione di una miscela esplosiva fatta di contrastanti pulsioni rivoluzionarie, di legittime ambizioni democratiche, di latente fanatismo islamico, di militarismo in agguato e anche di retorica populista che rischia, con effetto domino, di contagiare nazioni per ora rimaste illese, fino agli Emirati del Golfo, allo Yemen, alla Giordania o al granitico Iran, già in queste ore scosso da manifestazioni anti-Ahmadinejad. In questo contesto, non del tutto improbabile, diverrebbe a rischio perfino la pacifica gestione delle operazioni nel Canale di Suez, attraverso il quale transitano le superpetroliere vitali alla sopravvivenza dell’Italia e dell’Europa.
Se il passaggio nel Canale diventasse per gli armatori e i loro assicuratori un azzardo insostenibile a causa della turbolenza egiziana e se le acque del Corno d’Africa si confermassero una zona franca in mano a sempre più audaci ed incontrastati pirati somali, la via del petrolio potrebbe tornare ad essere quella della circumnavigazione dell’Africa, con un conseguente slittamento verso altrove del baricentro economico, diplomatico e strategico dell’intero Mediterraneo. In una rivoluzione geo-economica di tale portata il ruolo dell’Italia cambierebbe, ritrovandoci nel bel mezzo di un’area privata di rilevanza, divenuta per forza di cose marginale e di conseguenza abbandonata in balia delle proprie rivoluzioni regionali, di scambi terroristici e dei propri secolari conflitti e lotte tribali. L’Italia, che per decenni ha giocato la sua rilevanza diplomatica proprio in funzione del ruolo di ponte, di anello di congiunzione tra l’Europa e l’Africa, di predestinato mediatore tra l’Occidente e l’Islam mediterraneo, improvvisamente si ritroverebbe a mediare col vuoto, proiettata geograficamente, culturalmente e diplomaticamente verso un mondo periferico a cui nessuno più guarderebbe."
Discorso di Ahmadinejad alle Nazioni Unite
Egypt criticizes US veto in UNSC
United States Foreign Aid Summary Chart