E’ il titolo dell’ultimo saggio che ho letto.
Si tratta di un lavoro pubblicato su Intelligence and National Security già da qualche tempo. Per la precisione nel dicembre del 2006. L’autore è A. S. Hulnick, un docente di “Strategic and Business Intelligence” con un lungo passato nella CIA e nell’Intelligence militare.
Faccio subito una premessa: l’articolo si legge con qualche difficoltà.
Non è una questione di lingua quanto di mancanza di sinteticità. L’autore, a mio avviso, tende un po’ a disperdersi e questo rende la lettura un po’ noiosa. Detto ciò l’argomento del saggio è comunque molto interessante. Vediamo di cosa si tratta.
Tutti coloro che lavorano nell’intelligence (pubblica o privata che sia) o studiano la materia conoscono il c.d. “ciclo dell’intelligence” ovvero quel modello teorico, quel grafico, che serve ad illustrare il processo dell’intelligence (qui di seguito alcuni esempi).
Schematicamente, secondo tale modello l’attività inizia su input del decisore il quale formula le proprie richieste alle strutture di Intelligence. Viene effettuata quindi la raccolta delle informazioni con gli strumenti a disposizione (Humint, Sigint, ecc) dopodichè si procede all’analisi delle informazioni.
Al termine della fase analitica viene prodotto un report che viene poi inviato (dissemination) al decisore.
Il decisore fornirà un feedback, formulerà altre richieste ed il processo ricomincia dall’inizio. Per l’appunto: un ciclo.
Secondo Hulnick (per la verità non solo secondo lui…) tale modello è meramente teorico e non rappresenta la realtà dei fatti. Il vero, reale, processo d’Intelligence segue altri percorsi ed è strutturato in modo differente.
Vediamo nel dettaglio, punto per punto, le obiezioni dell’autore.
I ‘requirements’ ed il processo di raccolta, ovvero la prima e la seconda fase.
Afferma Hulinck che “the notion that policy makers or intelligence consumers, as they are sometimes called, provide guidance to intelligence managers to begin the intelligence process is incorrect”.
Generalmente, infatti, il decisore non dà input affinchè inizi il processo di raccolta. Anzi, sostiene l’autore, il decisore molto spesso è passivo ed attende semmai che siano i Servizi ad avvisarlo.
Sono i managers delle strutture di Intelligence, quindi, che decidono cosa deve essere approfondito, su quali obiettivi deve essere effettuata la raccolta. In base ad una valutazione fatta perlopiù autonomamente dai dirigenti stessi (sulla base degli eventi internazionali, delle contingenze nazionali, dei gap esistenti all’interno dei propri database, ecc…).
In particolare, sostiene Hulnick: “Filling the gaps is what drives the intelligence collection process, not guidance from policy makers (…). For all these reasons, intelligence managers, and not policy officials, are real drivers of the intelligence collection process”.
L’analisi.
Secondo Hulinck l’analisi in realtà non segue la raccolta in modo sequenziale ma scorre parallela ad essa.
“Analysts do not always need new intelligence material to understand world events. The database is already so large that a competent analyst could write about most events without any more than open sources to spur the process. The incremental addition of new intelligence from human sources or technical sensors may modify the analytic process but rarely drives it”.
A ciò si aggiunge che spesso le informazioni grezze (‘raw intelligence’) vengono inviate direttamente al decisore senza prima essere elaborate ed analizzate dagli analisti.
Hulnick quindi ritiene che le due fasi di raccolta ed analisi siano due processi che scorrono paralleli e, putroppo, spesso indipendenti l’uno dall’altro.
Difatti – sicuramente influenzato dalla storica rivalità tra il ramo operativo della CIA (il Directorate of Operations adesso National Clandestine Service) e quello analitico (il Directorate of Intelligence) – l’autore scrive che: “Because of restrictions of information sharing, psychological barriers, fears of compromising sources, and security concerns, the intelligence collection process and the intelligence analytic process not only in parallel, they are sometimes quite independent of each other. This is a major problem”.
Produzione di rapporti e loro distribuzione al decisore.
Le ultime due fasi sono la produzione dei rapporti e l’invio degli stessi al decisore affinchè questi possa decidere anche sulla base delle analisi di intelligence.
Hulnick ritiene che bisogna innanzitutto distinguere tra i vari tipi di prodotti analitici per meglio valutare l’effettivo impatto che tali prodotti hanno, o possono avere, sul decisore.
I prodotti di current intelligence difficilmente, secondo Hulnick, influenzano il processo decisionale. Benchè siano i più diffusi servono sostanzialmente come rapido aggiornamento quotidiano. Utilissimo complemento delle informazioni disponibili sui mass-media.
Un discorso simile vale per i c.d. “in-depth intelligence studies”: “These studies have proliferated in recent years (…). These studies are designed to provide in-depth analysis on specific subjects and are meant more for policy officials at working levels rather than senior decision makers, who rarely have the time to read them (…). Policy officials sometimes request these in-depth studies (…) but in many cases the studies are produced because analysts are directed by intelligence managers to write them, or analysts themselves believe they should be written”.
I due prodotti che invece tendono ad avere un reale ed effettivo impatto sul processo decisionale sono, secondo l’autore, quelli di warning e di estimate intelligence.
Nel primo caso le motivazioni sono ovvie. L’avviso di un imminente pericolo ha (o dovrebbe avere…) un impatto rilevantissimo sulle scelte del decisore.
Nel secondo caso le previsioni elaborate dall’Intelligence dovrebbero costituire un importante strumento decisionale. Purtroppo però non è sempre così. La realtà infatti “is that policy officials often know what they want to do even before they receive the estimate, and hope that this product will confirm in some way the wisdom of the path they have already chosen. When the estimate conflicts with their views, policy consumers may dismiss it as uninformed, useless, or even obstructionist. When it agrees with what they think they already know, then they may see it as confirming, irrilevant, or again useless”.
Concludendo, quindi, anche per le ultime due fasi il modello del ciclo d’intelligence risulta, secondo Hulnick, errato o quantomeno astrattemente teorico.
L’articolo però non si conclude così.
Hulnick accenna alla necessità di costruire un modello separato riguardo alla contro-intelligence e cioè quell’attività rivolta al contrasto dello spionaggio, della criminalità organizzata e del terrorismo.
Il Professore propone un modello basato su: a) Identification b) Penetration c) Exploitation d) Interdiction e) Claim Success. O meglio: identificazione della minaccia, penetrazione del gruppo ostile, raccolta delle informazioni (l’exploitation), interdizione* e, ma non sempre, pubblica dichiarazione di successo**.
In conclusione l’articolo offre degli spunti molto interessanti ed ha il merito di far riflettere sulla necessità di andare oltre il modello del “ciclo di intelligence” (consapevolezza, peraltro, diffusa presso tutti gli studiosi di intelligence).
I limiti del saggio sono, a mio modestissimo parere, dovuti proprio al fatto che l’autore in alcuni casi (ad esempio riguardo al modello della contro-intelligence) rimane in superficie senza analizzare in profondità le questioni.
* E’ da notare che l’autore sottolinea la differenza esistente tra attività di contro-intelligence e quella di law-enforcement (o di polizia giudiziaria) affermando che nella prima generalmente l’obiettivo dell’attività è la raccolta informativa (exploitation) più che l’interdizione mentre nella seconda è l’inverso.
** A differenza dell’attività di intelligence strettamente intesa nella quale i successi tendono a non venire mai pubblicizzati.
ok per Hulnick ma io pretendo anche il tuo commento alle dichiarazioni di Blari… perd…!!! 😀
F.
.. dai che sono già in “crisi d’astinenza”..
The Jackal
ahahahah in effetti siamo tutti curiosi… anche perchè noi sappiamo pure quali altri saggi commenterà :))
F.
è da un po’ che sento parlare di rivisitazioni del ciclo di intelligence, ma questo ragionamento non mi convince:
– il ciclo di intelligence non è applicato nelle sue componenti teoriche;
– la mancata applicazione causa inefficienze e disallineamenti tra decisore, operativo e analista;
quindi,
bisogna rivedere il ciclo di intelligence.
La squadra in campo dovrebbe schierarsi con un 4-4-2, ma in realtà gioca con un 2-3-5 e stiamo perdendo 3 a 0. Quindi lo schema 4-4-2 non funziona…
Maaah..
Kadmos
Kadmos non capito bene la tua posizione.
É inutile dire che il ciclo di intelligence deve essere rivisto, quando la veritá mi sembra confermare che in realtá non viene applicato. Faccio fatica a trovare contesti nazionali o internazionali in cui si realizzi una vera intelligence led policing.
Premetto (anzi post-metto) che non ho letto l’articolo, ma solo l’ottima sintesi di SILENDO, perció il tutto é IMHO…
Kadmos
Kadmos che ne dici del mitico 5-5-5 ???
:)))
Kadmos mi sembra di capire che quindi ritieni che si tratti di un deficit, di un errore?
Che il ciclo lo si possa realizzare ma che ciò non avviene?
Roberto
Mah… che questa visione del “ciclo” dell’intelligence sia da rivedere (profondamente) è cosa arcinota.
Come tutte le cose arcinote è però cosa difficile a farsi. Non c’entra – a mio parere – la complicazione metodologica od organizzativa ma, torniamo sempre “a bomba”, c’entra la passività culturale…
Il fatto è che almeno a guardare la mia – modestissima per carità – esperienza nel settore, non è che “si usa/non si usa” questo modello di “ciclo” (assolutamente riduttivo e non rappresentativo nella sua rigidissima… circolarità).
Il fatto è che spesso “si usano” numerosissime “prassi” che assai poco hanno a che fare con un discorso scientifico di completezza, efficienza, funzionalità.
Inoltre, sempre attingendo alla mia piccolissima esperienza personale, ho potuto constatare che questo modello di “ciclo” (quello… circolare) piace MOLTISSIMO ai decisori.
Probabilmente proprio perchè – in un modo o nell’altro – è un modello che, alla bisogna, è facilmente… “interpretabile” – ed in una pluralità di modi – dalle parti (a favore di chi, poi, è tutto un altro discorso…).
Probabilmente – prima di andare a studiare dei nuovi “cicli” (cosa comunque da fare subito) – è ancor prima necessario “rinverdire” (culturalmente parlando) alcuni principi di base sui rapporti “etici” che intercorrono tra decisore (politico) e supporto d’intelligence.
Delineare cioè, con una certa precisione, quali siano ruoli, le funzioni, prerogative e attività, dell’uno e dell’altro e quanto i rispettivi ruoli, funzioni, prerogative e attività possano/debbano “incrociarsi” (il termine adeguato sarebbe forse… “miscelarsi” :))) nell’ambito del processo decisionale.
Dopo di che, lo studio e la produzione di un modello realmente rappresentativo non dico diventi cosa facile, ma certamente più agevole.
Ad ogni modo, io preferisco – ora e sempre – il “551”: nave Garibaldi forrever!
😉
cari saluti a voi tutti
Giovanni
Ho letto l’articolo e confermo che Silendo ha effettuato un’ottima sintesi. Personalmente non mi convince affatto il modello proposto riguardo alla contro-intell. C’è qualcosa che non mi torna ma non ho ancora capito cosa.
Penso invece che sia ben focalizzato il discorso sulla raccolta e l’analisi che scorrono parallele.
F.
Interpolando il – magnifico, per capacità e completezza – sunto di Silendo (a quanto la vendi al chilo un po’ della tua capacità di sintesi? ne prenoto sei quintali…) mi pare di intuire che nell’economia generale dell’articolo l’autore dedichi poco spazio (o comunque meno spazio) alla esposizione della sua ipotesi per la contro-intel… o sbaglio?
Perchè in effetti di quelle cinque “azioni” messe così non si sa cosa pensarne… (meglio, non so io cosa pensarne).
Silendo quando vuoi… illuminaci 😉
Saluti cari a voi
Giovanni
Giovanni l’autore non dedica poco spazio alla CI. Diciamo che si limita a descriverla. Non approfondisce. Ma da un punto di vista quantitativo su 18 pagine di articolo almeno una decina sono su questo argomento. Silendo ne ha parlato poco perchè ha correttamente descritto solo le cose veramente rilevanti dell’articolo. Dal lato CI di rilevante, stringi stringi, c’è poco.
f.
Come dice Federico, Hulnick non si limita a scrivere il modellino senza spiegarlo. Anzi.
Quindi, Giovanni, se non sai cosa pensare la colpa è mia e non dell’autore. Il quale comunque non va oltre una spiegazione, per così dire, elementare delle caratteristiche di ciascuna fase.
Il ragionamento di Hulnick è essenzialmente quello che ho riportato.
Egli afferma che il ciclo classico dell’intelligence non riflette comunque l’attività tipica della contro-intelligence la quale inizia con l’identificazione di una minaccia. Attività alla quale, scrive, prendono parte sia i “policy officials” che i dirigenti dei Servizi. Dopodichè parte la pianificazione con l’obiettivo della penetrazione del gruppo ostile alla quale segue l’exploitation, la raccolta informativa.
Su questo punto Hulnick si sofferma particolarmente sottolineando la differenza tra l’attività di intelligence e quella di polizia giudiziaria, ricordando che negli States non esiste una struttura unicamente dedicata all’intelligence interna, ecc. (insomma: è pur sempre un articolo scritto da un americano… 😉 ). Parla poi del concetto di interdizione accennando anche al ruolo degli attacchi preventivi (anche qui con due occhi puntati sulle contingenze made in USA) ed infine conclude col punto e) ovvero la pubblica dichiarazione di successo. Cosa che, onestamente,non mi ha convinto minimamente.
Ma è un po’ tutto il modello, secondo me, che è traballante.
Come ha scritto Federico, se non sbaglio, c’è qualcosa che non mi convince. Soprattutto non riesco a vedere la sostanziale differenza tra questo modello CI ed il classico.
Sicuramente è un mio limite però non capisco.
Cari Silendo e Federico, io direi che funziona così: se non so cosa pensare la colpa non è nè dell’autore nè tantomeno di Silendo… tempo infatti che la colpa sia tutta mia :)))
Comunque grazie di cuore per la vostra – accurata – delucidazione che in una certa misura mi conforta.
Quel che posso dire è che la tua frase “non riesco a vedere la sostanziale differenza tra questo modello CI ed il classica” esprime benissimo anche tutta la mia perplessità.
Ovviamente non ho letto l’articolo quindi può essere che la mia “sensazione” sia falsata o addirittua… fittizia (o semplicemente derivante dalla mia incapacità di comprendere… può semore esse;) Ma comunque leggendovi sembra che l’interrogativo sia comune…
Saluti cari!
Giovanni
ovviamente nella prima frase non è “tempo” ma “temo”…
chiedo venia 😉
Anche secondo me il modello proposto dall’autore del saggio non ha niente di veramente innovativo.
Andrea
Secondo me il ciclo ha avuto il pregio di facilitare l’adozione di un processo cognitivo ordinato e metodico ad una realtá altrimenti complessa. Ammetto che in alcune sue componenti possa segnare il passo, ma le deviazioni da esso non hanno portato benefici rilevanti (altrimenti illuminatemi).
Alternative veramente valide non ne ho viste, perció prima di buttarlo via…
Comunque i decisori che conosco io non ne sanno molto di intel-cycle.
E poi il ciclo mi piace…lo uso tutte le mattine per andare in ufficio!!..:)
Kadmos
P.S.: per Giano…mica si gioca in quindici!!! (citando Speroni..)
Kadmos, sono d’accordo con te.
Penso però che generalmente in letteratura gli sforzi – per così dire – “revisionisti” :)) non abbiano tanto un fine ‘normativo’ quanto un fine ‘descrittivo’.
Mi spiego meglio.
A mio avviso la maggior parte degli studiosi che hanno scritto sull’argomento, rendendosi conto che il ciclo d’intelligence non riflette perfettamente la realtà (e su questo credo che si sia d’accordo tutti, o sbaglio?), hanno cercato modelli alternativi (generalmente correzioni del modello classico) con l’obiettivo di descrivere meglio la realtà e non di dettare dei principi da seguire.
Per restare ad Hulnick, quando egli, in relazione alla raccolta ed all’analisi, sostiene che tendono ad essere processi paralleli più che sequenziali a mio parere descrive una realtà oggettiva. Soprattutto nel caso di burocrazie di Intelligence numericamente consistenti e molto complesse.
Voglio dire, quindi, che secondo me gli sforzi di ‘ripensamento’ del ciclo sono tutto sommati positivi… benchè comunque il ciclo stesso resti, almeno allo stato attuale, insostituibile.
Quanto scritto da Hulnick è interessante anche se resto dell’opinione che il problema principale del ciclo intelligence “classico” (seppure migliorabile) è quello di non essere – la maggior parte delle volte – applicato come dovrebbe. Perchè dovrebbe essere cambiato quando nella realtà il problema principale non è la teoria del ciclo bensì la sua applicazione pratica? Andiamo ai fatti. Le fasi nella realtà operativa si identificano in strutture e uomini che dovrebbero svolgere una funzione precisa ma che (poche o molte volte) vagano “a folle” (chiamatela pure anche policy-driven!) perchè:
-il decisore non capisce un H di intelligence (figuriamoci del ciclo!):
-le stesse strutture intelligence fanno della propria “fase” un “ciclo” a sè (per motivi che lascio a voi indovinare).
In relazione a quanto scritto da Hulnick:
“”Analysts do not always need new intelligence material to understand world events. The database is already so large that a competent analyst could write about most events without any more than open sources to spur the process. The incremental addition of new intelligence from human sources or technical sensors may modify the analytic process but rarely drives it”.
– Concordo in pieno. Il problema semmai è avere un numero congruo di analisti capaci.
Silendo:”a ciò si aggiunge che spesso le informazioni grezze (‘raw intelligence’) vengono inviate direttamente al decisore senza prima essere elaborate ed analizzate dagli analisti.”
– Concordo in pieno. Succede spesso.
“Hulnick quindi ritiene che le due fasi di raccolta ed analisi siano due processi che scorrono paralleli e, putroppo, spesso indipendenti l’uno dall’altro. ”
-E’ vero.
I prodotti di current intelligence difficilmente, secondo Hulnick, influenzano il processo decisionale. Benchè siano i più diffusi servono sostanzialmente come rapido aggiornamento quotidiano. Utilissimo complemento delle informazioni disponibili sui mass-media.
-E’ vero.
Cordiali saluti
Cactus
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