Premetto, come sempre, che non sono un economista e che in materia economica dispongo solo di pochi, elementari, strumenti analitici.
Tra le tante analisi su quello che sta succedendo negli Stati Uniti e che quotidianemente leggo questa di Zingales è una di quelle che meglio esprime l’idea che mi sono fatto sulla gestione della crisi da parte del Governo statunitense.
Per capire cosa intendo vi prego di leggere l’articolo fino alla fine.
Ma a pagare è il contribuente
di Luigi Zingales
Il titolo Citigroup ha festeggiato con un rialzo del 58% il piano di salvataggio del Governo Usa, ma i contribuenti americani non hanno nulla di cui rallegrarsi. Il conto del piano Paulson continua ad allungarsi: il Governo non solo inietta altri 20 miliardi di dollari di capitale (dopo i 25 già versati), ma si sobbarca un costo di almeno altri 60 miliardi per le garanzie sugli asset a rischio.
Lo Stato Usa, infatti, assume su di sé il 90% delle perdite al di sopra di 29 miliardi di dollari su 306 miliardi di prestiti di Citi.
Ma più ancora che il costo in maggiori imposte future, il danno per i contribuenti americani (e anche per gli investitori di tutto il mondo) è che con il suo comportamento il Governo di Washington ha minato le regole fondamentali del capitalismo e trasformato la Borsa in una ricevitoria di scommesse sulle azioni del Governo. Ha minato le regole perché ha deciso i salvataggi non i base a criteri di merito, ma nell’ipotesi più generosa a caso, e in quella più maligna sulla base delle simpatie personali. E ha trasformato la Borsa in una casa da gioco perché qualsiasi analisi fondamentale sui titoli viene stravolta dalle azioni di un Governo che cambia le sue decisioni una volta alla settimana. Non conta chi ha gestito il suo patrimonio in maniera oculata. Chi è stato prudente. Chi non ha assunto rischi in modo eccessivo. Conta chi è nei favori del potere politico.
Una delle funzioni essenziali della Borsa è quella di raccogliere informazioni per indirizzare in modo opportuno l’allocazione di risorse. Con i suoi continui ed erratici interventi il Governo americano ha distrutto questo funzione. Oggi a Wall Street si scommette solo su cosa farà Henry Paulson durante il weekend.
Molti scriveranno che il salvataggio era doloroso ma inevitabile. Che senza un intervento statale sarebbe stato il caos. Ma mentono, per ignoranza o per complicità. Negli Stati Uniti esiste una procedura molto chiara per rilevare le banche in crisi. Quando un istituto viene dichiarato insolvente, non viene necessariamente liquidato: la Federal deposit insurance corporation (Fdic) ne assume il controllo e la gestisce per recuperare il massimo possibile per i creditori. Può vendere le attività a pezzi o ristrutturare l’intera banca e riprivatizzarla. In questa procedura i depositanti vengono pagati in toto (grazie alla garanzia del Governo), mentre gli altri creditori no. Dipende dal valore di realizzo dell’attivo. Questa procedura ha sempre funzionato ottimamente in tutti i casi fin qui sperimentati e i depositanti, perfettamente tutelati, non hanno perduto accesso ai loro risparmi neppure per un giorno (la mia fiducia nell’Fdic è anche dimostrata dal fatto che, pur sospettandone il collasso imminente, non ho spostato il mio conto corrente da Citigroup).
Ma se il Governo avrebbe comunque assunto il controllo di Citigroup, qual è la differenza tra quello che sarebbe stato auspicabile e il piano di Paulson? 1.140 miliardi di dollari. Questa è infatti la somma del debito e delle altre passività diverse dai depositi. Salvando Citigroup il Governo ha di fatto garantito questi 1.140 miliardi, di cui altrimenti i creditori avrebbero recuperato solo una frazione. Nel caso di Lehman i creditori hanno ricevuto solo 7 cents per ogni dollaro di valore nominale del titolo. Se così fosse stato anche per Citigroup, si tratta di un trasferimento di mille miliardi dai contribuenti americani ai vari creditori della banca. Perché? Il dubbio diventa ancora più atroce di fronte al fallimento di Lehman e al rifiuto del Congresso (almeno per il momento) a salvare General Motors. Perché Citigroup sì e Gm no?
Già dopo il salvataggio di Aig avevo dichiarato la fine del modello americano di capitalismo. Un modello basato sul merito e la responsabilità. Purtroppo avevo ragione. Il sistema americano sta sempre più scivolando verso l’assistenzialismo e la discrezionalità politica."
In pratica: dal modello americano a quello italiano…
Consoliamoci con le proposte del Gruppo 2003 in materia di referaggio e finanziamenti alla ricerca.
Silendo carissimo,
hai notato come nell’articolo del sole24ore sulla proposta del Gruppo 2003 si legga “..all’estero ci sono numerosi ed efficaci modelli da imitare: si tratta di importare in italia l’ “acqua calda”” ?
Conosco almeno due persone che – magari a cena di fronte a una pizza, disquisendo sulla NON necessità di reinventare da capo cose che esistono già – hanno usato quasi gli stessi termini. Se non proprio gli stessi.
Deve esser diventata un “bene di lusso”… l’acqua calda.
Salutoni
Giovanni
… ho pensato la stessa cosa… 😉
ed aggiungo io: come mai (sempre se ho capito bene!!!) alcune banche..non ce la fanno(!) ed altre vengono “salvate”???? dipenderà dai nomi dei correntisti???? mah!!! meno male che l’economia non mi piace….
mmmmmm… “omissis”…
Giovanni
La mia riflessione da ‘buonista’ in prosposito è che un Governo, in linea generale, sia più propenso ad aiutare quelle banche caratterizzate da una buona amministrazione e lasciar fallire quelle invece la cui amministrazione si è rivelata pessima (vuoi per sciacallaggio, per banchieri pescecani, o per OPA marce e infingarde). D’altronde ci sono banche con buone amministrazioni che non hanno da temere riguardo la recessione e altre che, pur avendo un altrettanto valida amministrazione, necessitano comunque di un supporto…
La mia riflessione in proposito, caro Daniele, è che il governo sia più propenso ad aiutare quelle banche caratterizzate da una buona amministrazione piuttosto che altre, le cui amministrazioni vivono di scacallaggio, controllate da banchieri ‘pescecani’ o che si buttano su operazioni finanziarie poco raccomandabili (tipo le OPA, tanto care all’attuale e al precedente Governatore della Banca d’Italia, ad esempio).
Certo poi occorrerebbe fare un distinguo tra banche con buone amministrazioni che non hanno da temere alcuna recessione e altre invece che, pur avendo buone amministrazioni, necessitano comunque di un aiuto…
e vabbè… scusate il doppio post.
raffox!!!
animo nobile!!!:-)
mi piacerebbe che tu avessi ragione, anzi sicuramente è cosi!!! io in materia economia sono apena sufficente e più che…diffidente!!!
ma non avevo preso in considerazione la tua riflessione!!!:-)
grazie!!!
Raffox, purtroppo non è assolutamente come dici tu
Sottolineo il “purtroppo”.
La crisi attuale è manifestazione dell’esatto contrario. La politica, i Governi, tendono a tutelare i propri amici e non premiano il merito e la buona governance di banche o aziende. Anzi, per questo motivo si crea un meccanismo perverso per cui sono proprio coloro che le hanno combinate più grosse che, alla fine, la passano liscia.
Federico
Certo Fede, per questo infatti dicevo ‘da buonista’ nel primo post…
Il mondo e’ peggio di quel che sembra.