Quanto segue è una piccola riflessione che trae spunto dagli eventi degli ultimi giorni ma che, tutto sommato, va oltre.
E’ proprio di queste ultime ore l’allarme lanciato dal nostro Presidente del Consiglio sul pericolo che Paesi stranieri, utilizzando i loro Fondi Sovrani, possano scalare aziende nazionali di interesse strategico approfittando del crollo delle quotazioni delle stesse.
Dato che è buona norma riflettere a fondo su questioni così importanti e, soprattutto, dato che è imperativo fare analisi partendo da dati di fatto, mi domando: (a) ma esiste davvero questo pericolo? Ed in che misura?
E anche se esiste la possibilità che soggetti stranieri acquistino aziende italiane (strategiche e non) è (b) davvero un male per la nostra sicurezza nazionale?
Premesso che non sono un economista, le domande sono reali. Non ho una risposta certa e mi piacerebbe capirne di più. Possibilmente cercando di non cadere nei luoghi comuni.
Sul punto (a) confesso che qualche dubbio me l’ha fatto venire questo breve saggio di Sandro Brusco e Fausto Panunzi. I due economisti affermano che "in realtà, l’Italia si caratterizza per un mercato per il controllo societario ingessato, in cui la contendibilità è ridotta. Ad esempio, in Eni ed Enel lo stato detiene una quota compresa tra il 30 e il 40 per cento e sono presenti tetti al possesso azionario di altri soci. In una situazione analoga si trova Finmeccanica. E anche le nostre banche non sono veramente scalabili. In un articolo del Riformista dal titolo “Opa ostili, la top ten del rischio” si scrive che tra le quaranta società S&P/Mib solo dieci sono possibili obiettivi di Opa ostile, salvo poi concludere che a guardare bene, come i piccoli indiani di Agatha Christie, di veramente scalabile non rimane (quasi) nessuno."
Che l’elite economica italiana sia, da generazioni, costituita dai soliti noti è cosa fin troppo evidente e quindi non mi serve essere un economista per trovarmi d’accordo.
Detto ciò, quindi, si passa al secondo punto. E’ davvero un pericolo l’entrata nel mercato societario italiano di capitali stranieri? E se di pericolo si tratta siamo proprio certi che riguardi i cittadini?
Ragionando molto alla buona a me pare che in Italia si paghino i costi più alti in Europa per elettricità, autostrade e servizi vari. E mi pare anche che il principale vantaggio non vada alla collettività (considerando il livello mediocre dei servizi stessi…) quanto ai pochi nomi di cui sopra che operano in regime di monopolio grazie alle concessioni pubbliche.
Sbaglio?
Mi viene quindi il dubbio che forse eventuali OPA ostili siano tali solo per una ristrettissima cerchia di soggetti (imprenditori e manager) che dall’arrivo di soggetti esterni vedrebbero minacciate le loro rendite di posizione.
Se così stanno le cose (ma ripeto, non sono un economista!) forse il pericolo non riguarda esattamente la sicurezza nazionale…
Attendo (dico sul serio…) lumi.
Piccola aggiunta: in tutto questo mi chiedo se non sia il caso, come hanno fatto molti Paesi che la sanno lunga, di definire con precisione, mediante una legge dello Stato, il concetto di sicurezza nazionale e di sicurezza economica nazionale (persino la Bosnia l’ha fatto…).
Per dare chiarezza prima di tutto ma anche per evitare che definizione di importanza capitale possano essere volutamente oggetto di lotta politica contingente.
sono d’accordo.
vedrai che la vera preoccupazione sarà quella di bloccare il take-over (fisiologico data l’abissale divario in efficienza e stabilità) di Francia e Germania sull’Italiaì: grande distribuzione, telecom, energia, banche, assicurazioni.
Ci aveva provato anche Fazio con Fiorani.
Adesso c’è la scusa della crisi.
Oserei dire “Amen”.. sono completamente d’accordo con te sull’analisi. E meno male che non sei un economista..!
Mi permetto di prendere spunto, però, per sottolineare quello che io reputo essere il reale pericolo, ovvero la pesante infiltrazione di “altri” Governi nelle nervature strutturali italiane. Mi viene immediatamente in mente Telecom, ad esempio. Siamo sicuri che, nel caso avvenisse un OPA, questa non sarebbe qualcosa di molto più di un semplice investimento economico? A mio parere, infatti, sarebbe un “investimento” sotto molti punti di vista per questi Signori,anche decisamente più remunerativi. Immaginiamo per un attimo la Russia che abbia la possibilità di ascoltare direttamente tutto quello che transita nelle nostre linee telefoniche, senza chiedere il permesso a nessuno, dato che ha (magari) acquistato il secondo pacchetto di maggioranza della Società. E questo a maggior ragione se ricordiamo a tutti che siamo e restiamo la portaerei dell’occidente, nonchè la punta estrema verso i Paesi arabi (sia per le alleanze che per le “guerre”).
The Jackal
Beh, da utente illustre devo dire che per avere fatto il “classico” non te la cavi niente male.
Purtroppo il pesce puzza dalla testa.
Non dico altro.
A venerdì
Silendo si sottovaluta sempre, ve lo assicuro.
Benchè non economista (anche se oramai studia la “triste scienza” a tempo pieno…) conosce bene i meccanismi che regolano il potere.
Io sono meno diplomatico di lui per cui dirò che
– su un piano tattico secondo me è un modo per giocare meglio le partite di potere italiane (Geronzi, Profumo, Mediobanca…)
– su un livello strategico non c’è niente. Nel senso che l’Italia dovrebbe riflettere seriamente su come attrezzarsi per combattere nell’arena internazionale (istruzione, assetti di potere interni, Intelligence)… anche e soprattutto a livello economico-finanziario…!! E invece…!?!?!?!
F.
Per Jackall: infatti, vedi, il problema è che, in mancanza di una chiara e LIMPIDA pianificazione ed in mancanza di una chiara e LIMPIDA definizione dei termini e degli interessi nazionali, si lasci il campo all’azione lobbista di auto-protezione di certi poteri a totale discapito di quelli che invece sarebbero davvero gli interessi nazionali da tutelare.
Definire in modo chiaro (a questo serve il Parlamento, a mio avviso) cosa è di interesse nazionale e cosa non lo è serve proprio a questo.
Ma il senso del mio post è anche un altro.
Per anni, da quel buon “nazionalista” che ero, quando mi trovavo a riflettere su questi temi pensavo sempre in un’ottica di “Stato”.
Nel corso degli anni ho capito che è sbagliato il punto di vista.
Sempre nazionalista sono rimasto (anche più di prima eh eh eh) ma ho imparato che l’ottica deve essere quella della tutela degli interessi del “cittadino” (da “Stato” a “cittadino” insomma… da statalista a liberale, tanto per intenderci…).
Per vari motivi. In particolare perchè quando non c’è il “cittadino” e c’è lo “Stato” alla fine quest’ultimo termine corrisponde a “lobby politico-economiche”. A detrimento degli interessi dei cittadini, appunto.
Mi spiego?
Quindi è meglio riflettere attentamente quando i nostri legittimi governanti parlando di tutela di interessi nazionali 😉
Illustre utente: dimentichi che il mio Classico è pur sempre uno dei più antichi del Paese… :))
Vorrà pur dire qualcosa, no ? :))
Federico ti riferivi a questo?
Giovanni Pons per “La Repubblica”
Dalla plancia di Comando di Piazza Cordusio, dove ha sede l’Unicredit, Alessandro Profumo si è affrettato a dire che l’intervento dei fondi libici nel capitale della banca è stato consensuale. “E’ un’operazione amichevole, un segnale di fiducia nella strategia della banca e nel management che la guida”, fanno sapere i bankers della sua squadra. E in effetti, i fondi sovrani che maneggiano i petrodollari del mondo arabo, soprattutto in un momento così delicato, ben si guardano dal farsi dipingere nella veste di avvoltoi.
Il pericolo sventolato da Silvio Berlusconi nei giorni scorsi, di possibili Opa ostili nei confronti delle aziende italiane lanciate da fondi sovrani, in questo caso non appare verosimile. L’allarme, semmai, potrebbe essere servito a confondere le acque e a preparare il campo a ci che è successo ieri sera in Unicredit, un fatto che assomiglia molto alla sterilizzazione di Profumo nel sistema di potere italiano.
Già, perché risulta difficile non rilevare come questi fondi libici siano gli stessi che entrarono in Banca di Roma nel lontano 1997 invitati dal presidente di allora Cesare Geronzi, oggi alla testa di Mediobanca. Gli stessi che salirono fino al 5% di Capitalia e che poi risultarono diluiti fino allo 0,9% in seguito alla fusione della banca romana con l’Unicredit nell’estate 2007.
Ora con il 4,2391 diventano il secondo azionista del gruppo di Piazza Cordusio dopo aver garantito una parte dell’aumento di capitale (attraverso il bond) lanciato da Profumo in tutta fretta meno di due settimane fa quando il prezzo del titolo correva pericolosamente verso i 2 euro. Con questi precedenti come si fa a non pensare che Profumo si stia mettendo in casa l’amico del suo peggior nemico.
La morsa che si sta stringendo intorno all’amministratore delegato di Unicredit, infatti, rischia di diventare letale. Basta scorrere i fatti: Berlusconi non più tardi di un mese fa ha firmato un protocollo di amicizia con Muammar Gheddafi in cui il governo italiano ha chiesto scusa per il passato coloniale in quel paese e ha stanziato una serie di compensazioni monetarie tra cui una lunga autostrada costiera.
Tutto appare anche più chiaro se si dà uno sguardo al riassetto di potere interno che si sta consumando intorno a Mediobanca, protagonisti il presidente Geronzi e una serie di azionisti molto vicini a Berlusconi, tra cui Salvatore Ligresti, i francesi di Vincent Bolloré, la Mediolanum di Ennio Doris, Tronchetti Provera. Un asse che a Roma ruota intorno alla figura di Gianni Letta, il potente sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
L’unica voce fuori dal coro, finora, era rappresentata dall’Unicredit di Dieter Rample. Profumo che anche recentemente aveva costituito un contrappeso importante per l’equilibrio dei poteri in Italia, dalle Generali al Corriere della Sera, fino alla Telecom. Ma con i libici buoni amici di Geronzi e Berlusconi che diventano azionisti di peso in Unicredit c’è da aspettarsi che alla prossima battaglia in Mediobanca le voci fuori dal coro verranno troncate sul nascere.
Sicuramente gli emissari di Gheddafi otterranno almeno un posto nel consiglio di amministrazione e faranno sentire la loro voce nei vari comitati strategici della banca. insomma, se non si tratta di un vero e proprio commissariamento di Profumo poco ci manca. E l’asse Berlusconi-Geronzi-Letta in questa fase risulta vincitore anche rispetto al compagno di viaggio e di schieramento Giulio Tremonti, il ministro dell’Economia che ha minacciato le dimissioni sull’emendamento salva-manager e che nei giorni scorsi, insieme a Emma Marcegaglia, aveva accarezzato la possibilità di collocare Matteo Arpe al vertice di Unicredit qualora lo Stato fosse stato costretto a entrare nel capitale della banca.
Un’ipotesi che sarebbe suonata come un affronto proprio per Geronzi, colui che in Capitalia condusse una durissima battaglia contro il manager che ha portato Capitalia fuori dalle secche, e ora sventata con l’aiuto di Gheddafi.
Hmmmm, Raffaele ti rispondo accussì:
TREMONTISSIMO INCAZZATO PER LA MOSSA LIBICA DI PROFUMO, IN DUPLEX CON DRAGHI (GIULIETTO apre mille fronti ma non riesce ancora ad affermare la sua autorevolezza)
L’indovinello che gira a Milano è questo: chi è il miglior banchiere tra Alessandro Profumo e Corradino Passera?
La domanda se la pongono i pendolari e gli esperti di finanza, ma la risposta più precisa la danno gli uscieri di piazza Cordusio e del quartier generale di BancaIntesa. Per loro non c’è alcun dubbio: entrambi sono figli della Bocconi e di McKinsey, hanno lo stesso quoziente di arroganza, ma Profumo è un tecnico migliore mentre Passera è un banchiere più completo perché ha alle spalle esperienze industriali e una sensibilità politica più forte.
È un giudizio generoso perché l’autocritica che Profumo ha fatto sugli errori commessi in Italia e in Europa per costruire il suo impero, basta da sola a incrinare l’immagine del tecnico eccellente, ma non c’è dubbio che le mosse dell’ultima settimana sembrano aver risvegliato (in articulo mortis) quel tasso di competenza che gli ha consentito di fare dentro la sua banca una carriera strepitosa e strepitose stock options.
La velocità con cui ha messo in piedi l’aumento di capitale e le operazioni per rafforzare il patrimonio di Unicredit, è pari a quella degli ultimi tre giorni in cui è riuscito a tirar fuori dalla tenda di Gheddafi 1,2 miliardi pari al 4,23% del capitale. A Dagospia risulta che nella giornata di martedì l’ex-boyscout genovese abbia sudato le sette camice per convincere Paolo Biasi, presidente di Cariverona e azionista con il 5% di Unicredit, che i soldi del Fondo sovrano libico non puzzavano, anzi sono la soluzione per risollevare le sorti della banca. Il colloquio è durato più di due ore, ma alla fine Profumo l’ha spuntata e ieri sera l’operazione è andata in porto.
Bisogna chiedersi a questo punto chi sono stati i referenti primari del banchiere genovese perché a quanto pare Berlusconi e Giulietto Tremonti sono piuttosto incazzati per l’exploit libico. Il più seccato dei due è sicuramente il genietto di Sondrio che al di là dei monumenti scritti da giornalisti compiacenti, apre mille fronti ma non riesce ancora ad affermare la sua autorevolezza. Tremonti gioca su molti tavoli e non fa mistero di essersi convertito sulla strada dell’interventismo statale. Dopo il protezionismo alla Colbert, il suo cuore di ex-socialista ha preso a pulsare per il keynesismo e l’italianità.
Il suo avversario non sono soltanto gli speculatori che considera la peste del secolo, e nemmeno i petrolieri per i quali aveva concepito la Robin Hood Tax; nel mirino c’è un uomo freddo e misurato che potrebbe sbarrargli la strada quando il Cavaliere dai capelli cremolati sarà accompagnato dai corazzieri dentro il Quirinale, e si chiama Mario Draghi.
Rispetto al Governatore il Robin Hood della Valtellina non ha all’estero la credibilità dell’uomo di via Nazionale. Se ne sono accorti a Washington e a Parigi nonostante il tentativo di far passare le proposte italiane come la salvezza dei mercati. In realtà nelle sedi della finanza che conta (soprattutto quella inglese dove perfino un cadavere politico come Gordon Brown è riuscito a diventare un gigante) Draghi è considerato l’unico interlocutore attendibile dell’economia italiana.
Ed è con lui che Profumo ha costruito l’operazione del Fondo sovrano libico. Le altre interpretazioni che corrono oggi sui giornali circa l’accerchiamento di Unicredit da parte dell’asse Geronzi-Berlusconi sono fantaeconomia, come infondata è la voce che Giulietto Tremonti dopo aver minacciato le dimissioni sull’emendamento salvamanager, avrebbe accarezzato l’ipotesi di sostituire Profumo con Matteuccio Arpe.
L’idraulico del ministero del Tesoro è rimasto semplicemente spiazzato dal tecnico di piazza Cordusio. E dopo avergli procurato 100.000 punture di spillo, adesso è terribilmente incazzato.
😉
AVVISO AI NAVIGANTI:
Ragazzi, non giriamola troppo su questioni politiche di casa nostra, please.
Chè noi sappiamo cosa intendiamo ma chi ci legge può male interpretare e prenderlo per un forum di becero dibattito politico nostrano.
Obbedisco!
F.
del resto anche silvio è quotato in borsa con la sua mediaset…
Questione preliminare:
l’Italia è ancora annoverabile tra le potenze e, se sì, tra le piccole o tra le medie?
Eh… la domanda preliminare richiede un fiòr di dibattito ‘accademico’ in Relazioni Internazionali…
La mia opinione è che è una media potenza in tendenziale rapido declassamento.
Vabbeh… adesso non c’è più niente da temere…
http://www.imf.org/external/pubs/ft/survey/so/2008/NEW101508B.htm
X Graf: penso che l’Italia sia una media potenza e che, in questo frangente storico, tutte le medie potenze stiano attraversando una fase critica di riassestamento.
Gli equilibri mondiali si stanno redistribuendo.
Roberto
Così, tanto per ulteriori riflessioni
http://oddo.blog.ilsole24ore.com/finanza_e_potere/2008/10/ecco-cosa-nasco.html#more