Cina, India ed il nuovo Ordine Globale

dal Corsera del 12 aprile

Il gran gioco di Pechino: linea dura con Tokio e nuovo asse con l’ India

Da un lato la politica del sorriso, delle strette di mano fra Cina e India, degli accordi che chiudono l’ epoca della incomunicabilità. Dall’ altro le tensioni che esplodono fra Cina e Giappone, pilastri della globalizzazione e degli equilibri internazionali. Sono giorni delicati per gli assetti geopolitici dell’ Asia e per i rapporti fra i giganti del Continente. Al centro del complesso mosaico, comunque lo si prenda, c’ è in queste ore la Cina che sta affrontando contemporaneamente e sta tenendo il pallino del comando in due fronti dal contenuto contrapposto, ma che ha per oggetto finale la leadership nel Continente e in esso il ridimensionamento degli Stati Uniti. La Cina si presenta e lo dimostrano gli accordi con l’ India e il suo aiuto alle regioni colpite dallo tsunami in un’ ottica multilaterale come nuovo punto di riferimento economico e diplomatico della regione. Ormai da mesi protagonista di una offensiva diplomatica in tutta l’ area del Pacifico, compresa la sponda sudamericana, Pechino ha chiuso il contenzioso con l’ India riguardante 3.500 chilometri di confine, un contenzioso che all’ inizio degli anni Sessanta aveva provocato un brevissimo confron to militare. Qualche mese fa, aveva compiuto la stessa mossa con Mosca, regolando le questioni sul versante Nord. Il premier Wen Jiabao, in visita ufficiale, ha portato con sé la bozza di un accordo in undici punti e una mappa geografica che definitivamente riconosce la sovranità di New Delhi sul Sikkim, regione centro orientale della catena dell’ Himalaya, dal 1975 ventiduesimo Stato dell’ Unione Indiana e sempre conteso da Pechino. Di pari passo ha posto le basi per una cooperazione che dovrebbe alzare il livello degli scambi dai tre miliardi di dollari attuali ai 30 miliardi di dollari nel 2010. E così consolidare un asse economicamente sinergico e fortissimo. Con una regia perfetta, con in tasca i risultati storicamente pesanti degli incontri bilaterali in corso di svolgimento nell’ Asia occidentale, Pechino ha deciso di spostare le sue pedine sull’ area politico diplomatica dell’ Asia orientale. Da mesi le relazioni con il Giappone sono difficili. Ora sono al punto di massima frizione. Tanto che fra gli stessi osservatori del Celeste Impero c’ è chi ricorda un proverbio: « Basta una scintilla per incendiare la prateria » . Formalmente la scintilla, che ha acceso i risentimenti nazionalisti, è stata la pubblicazione in Giappone di alcuni libri, nei qua li viene sottaciuto e deformato il periodo dell’ occupazione delle truppe imperiali di Tokio in Cina e i massacri da esse compiuti. Migliaia di studenti cinesi hanno manifestato in corteo in diverse città. Striscioni e vie bloccate. Sassi e bottiglie contro l’ Ambasciata giapponese a Pechino. E a ciò si aggiungono iniziative di boicottaggio di prodotti giapponesi e una petizione ( no al Giappone nel Consiglio di Sicurezza Onu) che via Internet è stata sottoscritta da 30 milioni di cinesi. Dura la reazione del premier Koizumi: « Non bisogna permettere che queste cose accadano. La Cina è responsabile dell’ incolumità dei giapponesi che vi lavorano. Chiedo a Pechino che faccia tutto il possibile per evitare che si ripetano simili violenze » . Non accadeva dal 1989 salvo le manifestazioni antiamericane dopo il bombardamento della rappresentanza cinese a Belgrado durante la guerra in Serbia che i giovani si impadronissero di alcune strade centrali nella capitale. Il viale che da Est porta a Tiananmen sabato è stato attraversato da ragazzi di scuole e università senza che intervenisse la polizia. Anzi. Allora, nel giugno ‘ 89, il regime aveva represso con il sangue. Oggi il quadro è ben diverso. Lì era la richiesta, intollerabile, di una apertura democratica. Una crisi interna. Adesso l’ obiettivo è strumentale alla politica estera del governo. Il regime tollera e osserva. Forse le agitazioni hanno assunto forme tali da mettere in qualche imbarazzo Pechino. Ma resta la considerazione che queste proteste rappresentino per Pechino una carta di pressione in più per opporsi all’ ingresso del Giappone come membro permanente nel Consiglio di Sicurezza Onu. E al tempo stesso un’ arma per impedire il rafforzamento non solo di un vicino potente, ma anche del suo principale alleato, gli Stati Uniti. La Cina si è abilmente posta al centro del puzzle politico diplomatico che investe l’ Asia. Capace di mantenere ben distinte le relazioni commerciali ed economiche e le relazioni politiche. Apparirà come un paradosso, ma nella complessità è invece un elemento che impone una riflessione: con il Giappone i rapporti diplomatici sono oggi tesissimi, ma osservando i dati degli scambi commerciali fra i due Paesi si rilevano numeri straordinari. Nel 2004 e nei primi mesi del 2005 il primo partner del Giappone ( più del 20 per cento dell’ import export) è stata la Cina. Che ha superato gli Stati Uniti. Fermi al 18 per cento. I GIGANTI ELL’ ASIA CELESTE IMPERO La Cina Con un miliardo e 300 milioni di abitanti, la Cina è il Paese più popoloso del mondo. Il prodotto interno lordo è di 1.300 miliardi di dollari. Il pil pro capite è di mille dollari annui SOL LEVANTE Il Giappone Gli abitanti del Giappone sono 127 milioni. Il pil lordo è di 5 mila miliardi di dollari. Il pil pro capite arriva a 33 mila dollari annui SUBCONTINENTE L’ India L’ India, secondo Paese più popoloso del mondo con il suo miliardo di abitanti, ha un pil di 650 miliardi di dollari. Il pil pro capite annuo è di 600 dollari
Cavalera Fabio

India, China Hoping to ‘Reshape the World Order’ Together

By John Lancaster

Washington Post Foreign Service
Tuesday, April 12, 2005; Page A16

 

NEW DELHI, April 11 — India and China announced a new "strategic partnership" Monday, pledging to resolve long-standing border disputes and boost trade and economic cooperation between two rising powers that together account for more than a third of the world’s population.

The announcement came after a summit between Indian Prime Minister Manmohan Singh and his Chinese counterpart, Wen Jiabao, who began a four-day visit to India with a weekend stop in Bangalore, the center of India’s booming information-technology sector.

The agreements signed Monday mark an important shift in relations between the Asian giants, which fought a brief border war in 1962 and have long regarded each other with suspicion. The prospect of a more cooperative relationship has significant global implications, given the vast economic potential of India and China and their voracious appetites for energy and other natural resources.

"India and China can together reshape the world order," Singh said at a ceremony welcoming Wen to India’s presidential palace.

On a practical level, the two governments agreed to a framework for addressing long-standing differences over their 2,175-mile border, promising to resolve the dispute through "peaceful and friendly consultations." They also signed agreements on trade, economic cooperation, technology sharing, civil aviation and other matters.

As a goodwill gesture, China formally abandoned its claim to the tiny Himalayan province of Sikkim, presenting Indian officials with a map showing the area as part of India. Chinese officials also delighted their hosts by pledging explicitly, and for the first time, to support India’s bid for a permanent seat on the U.N. Security Council, Indian and Chinese officials said.

"There is a raising of the level of the relationship between the two countries," India’s foreign secretary, Shyam Saran, said at a news conference Monday afternoon. "We do not look upon each other as adversaries but we look upon each other as partners."

India’s differences with China go back decades. In 1962, the countries fought the brief border war that China is generally acknowledged to have won. India has long been wary of China’s close ties to India’s neighbor and arch rival Pakistan. But in recent years, India and China have begun to draw closer, recognizing their common interest in trade, regional stability and, more recently, containing the threat of Islamic extremism.

In 2003, Atal Bihari Vajpayee, then India’s prime minister, pledged during a visit to Beijing to respect China’s sovereignty over Tibet and not to allow "anti-China political activities" in India, a reference to the Tibetan government-in-exile in Dharmsala, led by the Dalai Lama. That commitment was reiterated in the joint declaration on Monday.

"The two sides agreed that India-China relations have now acquired a global and strategic character," the statement said. It also said both governments had agreed to establish a "strategic and cooperative partnership for peace and prosperity."

In the short term, the most significant of the agreements signed Monday calls for resolving the border dispute on the basis of historical records, geography, security needs and the interests of people who live in the area, among other factors. Indian officials acknowledged that resolution of the issue was some years off.

In geopolitical terms, the consequences of a rapprochement between the world’s two most populous countries could be profound. "In the same way that commentators refer to the 1900s as the American Century, the early 21st century may be seen as the time when some in the developing world, led by India and China, come into their own," said a December 2004 study by the U.S. National Intelligence Council.

Such "arriviste" powers, the study noted, "could usher in a new set of international alignments, potentially marking a definitive break with some of the post-World War II institutions and practices." The report also said that India "could emerge as the world’s fastest-growing economy" by 2020, overtaking China.

In pursuing closer ties, each country is clearly eager to capitalize on the other’s economic strengths — manufacturing and computer hardware in China, services and software in India — while boosting trade that by all accounts has remained far below its potential. Last year, trade between the two countries came to $13.6 billion, compared with about $20 billion between India and the United States. India and China pledged Monday to boost their trade to $20 billion by 2008.

"If India and China cooperate in the IT industry, we will be able to lead the world," Wen said in Bangalore on Sunday. "It will signify the coming of the Asian century in the IT industry."

Economic motives aside, China also wants better relations with India because it is competing for influence in New Delhi with the United States, which was several years ahead of Beijing in recognizing India’s potential as a military and economic power and has greatly increased its cooperation with India in both spheres.

This week alone, India’s foreign minister, Natwar Singh, will travel to Washington for meetings, while two senior U.S. officials — Adm. William J. Fallon, commander of the U.S. Pacific Command, and Transportation Secretary Norman Y. Mineta — will be visiting the Indian capital.

"Everybody started talking about the rise of China a long time ago, and now they’re talking about the rise of India, so I think there’s a shared sense that something terribly important is now happening," said Vinod C. Khanna, a former Indian diplomat who served in China and once ran the East Asia division of the Indian Foreign Ministry.

Khanna added, "If you had asked me in 2001 if this was where we’d be in 2005, I would have said, ‘That’s terrific, but aren’t you being overoptimistic?’ "